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La libertà d'iniziativa economica e negoziale accordata all'imprenditore non è suscettibile di essere sindacata dall'Amministrazione finanziaria
Pubblicata il 29/12/2010
Sent. n. 388 del 19 novembre 2010 (ud. del 5 novembre 2010) della Comm. trib. prov. di Milano, Sez. XXI
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Fatto e Diritto - Con ricorso depositato il 16 luglio 2010, la società ricorrente (in qualità di società ceduta), contestava l'avviso di liquidazione impugnato. Tale atto impositivo, notificato il 25 maggio 2010, veniva emesso a seguito di presunta elusione fiscale realizzata attraverso la stipula di due contratti in breve lasso temporale. Con atto del 26 aprile 2007, la società Sa.Go. S.p.A. poneva in essere due distinti negozi giuridici, costituiti, l'uno, da un aumento di capitale sociale, nella controllata O.It. (attuale ricorrente), da Euro 10.000,00 ad Euro 40.000.000, l'altro dal conferimento, nella stessa società ricorrente "O.It.", del ramo d'azienda relativo alla produzione di filati in vetro per un valore dichiarato di Euro 71.445.000 determinato dalla perizia asseverata del perito Pa.Mi.. Tale valore di conferimento veniva realizzato in regime di neutralità fiscale ai sensi dell'art. 176 T.U.I.R.. Successivamente, con atto del 23 maggio 2007 la società "Sa.Go." (ora "O.Ch." acquisiva dalla società "Sa.Go. S.p.A." il 100% delle quote della società ricorrente "O.It. S.r.l." (già "Re. S.r.l."), per un valore dichiarato di Euro 110.626.000. Con tale atto impugnato, l'ufficio procedeva alla rettifica delle imposte di registro, ipotecaria e catastale ai sensi dell'art. 20 del D.P.R. 131/86, sostenendo che la pluralità dei negozi posti in essere dalle sopramenzionate società andavano considerati come fenomeno unitario, il cui scopo ultimo era quello della cessione d'azienda. In riferimento agli immobili ceduti, l'AdE rettificava l'imposta principale assolta dalle società, pari ad Euro 168,00 per ognuna delle tre imposte in questione, in complessivi Euro 688.760,62 oltre interessi (imposta di registro pari all'8%, imposta ipotecaria 2%, imposta catastale 1%). Dal momento che il conferimento sopraccitato comprendeva anche terreni edificabili, per i quali non era stata versata alcuna imposta di registro, l'ufficio valutava tali beni in Euro 65.178.958 ( Euro 71.445.000 - 6.266.042) sui quali applicava l'imposta di registro pari all'8%, per un totale di Euro 5.214.316,64 oltre interessi. Complessivamente la richiesta erariale ammontava ad Euro 6.415.892,50. La società ricorrente eccepiva, in primis, la nullità dell'avviso di liquidazione in violazione dell'art. 76, comma 2, D.P.R. n. 131/86; sosteneva infatti decaduti i poteri accertativi dell'ufficio dal momento che per l'imposta di registro il relativo termine di decadenza era di tre anni. A fronte dell'atto registrato il 4 maggio 2007, l'Agenzia notificava l'avviso di liquidazione soltanto il 25 maggio 2010. In secondo luogo, la ricorrente eccepiva la propria carenza di legittimazione passiva in quanto, di fatto, costituiva la società conferitaria e le cui quote sono state successivamente oggetto di cessione. La società contestava, altresì, l'illegittimità dell'atto impugnato, per violazione del principio del contraddittorio, previsto dagli artt. 6 e 12, Legge 212/2000 (c.d. Statuto del Contribuente); allo stesso modo sottolineava la mancata redazione del PVC e la violazione del principio dell'onere della prova, di cui all'art. 2697 c.c.. Nel merito, la società ricorrente contestava la legittimità dell'avviso di liquidazione ritenendo insussistenti i presupposti dell'art. 20 del D.P.R. 131/86. Nello specifico, la società affermava che l'operazione così realizzata non poteva prefigurarsi quale unico negozio giuridico, come invece prospettato dall'ufficio. Sosteneva infatti la legittimità dei singoli negozi messi in atto al fine di conseguire, attraverso una pluralità di atti, un unico obiettivo economico - imprenditoriale consistente nella riorganizzazione del gruppo societario di appartenenza. La società eccepiva inoltre l'incoerenza delle assunzioni mosse dall'ufficio, il quale riteneva consistente il fumus elusivo alla luce della sola imposta di registro, nulla eccependo in tema di imposizione diretta. In riferimento all'art. 20 del D.P.R. 131/86, ai sensi del quale veniva emesso l'avviso di liquidazione in questione, la ricorrente sosteneva non presenti i requisiti richiesti invece dallo stesso articolo: identità di soggetti, identità di oggetto ed identità di finalità. Venivano altresì contestati i riferimenti giurisprudenziali addotti dall'ufficio in quanto fondati su condizioni e presupposti non assimilabili e confrontabili con quelli del caso in esame. A sostegno di quanto asserito, la ricorrente evidenziava l'assenza di fondamento probatorio alla base delle assunzioni formulate dall'ufficio, le quali potevano assumersi esclusivamente al rango di pure affermazioni, senza dimostrare il fondamento su cui basare il presunto intento elusivo dell'operazione che aveva disconosciuto l'avvenuta regolare registrazione dell'atto di conferimento d'azienda e di quello di cessione di partecipazioni. A detta della società con tali negozi giuridici si era perseguito l'obiettivo di riorganizzare il gruppo societario. Spiegava infine che con l'operazione posta in esser, in realtà, non vi era stato alcun vantaggio fiscale indebito. Anche in caso di conferimento diretto, infatti, le imposte di registro dovuto sarebbero state pari a quelle versate nell'ipotesi realizzata di conferimento d'azienda e successiva cessione di partecipazioni, quantificabili in Euro 168,00 (imposta in misura fissa). Per tali motivazioni chiedeva l'annullamento dell'atto impugnato. L'ufficio si costituiva in giudizio con controdeduzioni depositate il 25 ottobre 2010, nelle quali chiedeva il rigetto del ricorso. In via preliminare, chiedeva la riunione della presente causa con quelle relative alle altre due società che hanno posto in essere gli atti negoziali in questione. Sosteneva effettuata nei termini la notifica dell'atto impositivo, in quanto nell'ambito di operazioni antielusive andava presa in considerazione la data di registrazione dell'ultimo atto registrato che, nel caso in esame, coincideva con 31 maggio 2007. In riferimento alla presunta mancata notifica del PVC, l'AdE sottolineava che tale tipologia di documenti era prevista solamente nell'ipotesi di avvisi di accertamento o di avvisi di liquidazione che richiamavano espressamente il relativo PVC. Relativamente alla eccepita carenza di legittimazione passiva di parte ricorrente, l'ufficio sosteneva che la stessa fosse pienamente parte' delle operazioni messe in atto, in qualità di "veicolo/forziere". La società in questione costituiva infatti la destinataria del conferimento e l'oggetto di cessione (quote), poi. L'ufficio affermava, quale ulteriore precisazione, che la partecipazione della ricorrente, inizialmente acquisita da "Sa.Go. S.A." veniva ulteriormente ceduta a "O.Ho. S.r.l.". La medesima società veniva poi incorporata da "O.It. S.r.l." (ricorrente). Nel merito l'ufficio sottolineava l'esistenza di elementi di criticità che avrebbero portato a smascherare il reale intento delle parti, ai fini della rettifica ex art. 20, D.P.R. 131/86, consistenti nel breve intervallo temporale intercorso fra le due operazioni (aumento di capitale e cessione di quote) e nella natura di società "inattiva" della società veicolo. Quest'ultima affermazione sarebbe suffragata, a detta dell'ufficio dal messo notificatore che aveva attestato che l'immobile della sede sociale risultava non più abitato da anni. Tali elementi di criticità, a detta dell'ufficio, costituirebbero i presupposti per considerare gli atti posti in essere dalla "Sa.Go." come due momenti di un'unica operazione di cessione d'azienda. Tali negozi giuridici, pertanto, dovevano pertanto essere valutati come produttivi di un unico effetto giuridico-tributario di cessione d'azienda e non come momenti di una più generale "riorganizzazione aziendale". Sottolineava che la società avesse effettuato un "abuso di diritto", che si espletava nell'utilizzo di schemi giuridici leciti con la finalità di ottenere un vantaggio fiscale atto ad evitare l'assoggettamento alle relative imposte. L'ufficio riteneva, di conseguenza, legittima l'attività accertatrice effettuata e chiedeva il rigetto del ricorso di parte avversa. Presenti all'udienza le parti. La Sezione giudicante così decide. L'ufficio per giungere nella determinazione di ricavare l'avviso di liquidazione dell'imposta di registro, ove la stessa era pari a Euro 5.715.432,00, imposta ipotecaria pari a Euro 125.152,84, l'imposta catastale pari a Euro 62.492,42 e gli interessi pari a Euro 512.779,96, spese di notifica pari a Euro 35,28, il tutto per un valore complessivo di Euro 6.415.892,50, ha dovuto riunire fra di loro gli effetti di più atti notarili, con i quali erano stati posti in essere distinti negozi giuridici. La preoccupazione principale dell'ufficio è stata quella di collegare fra di loro fatti economici di contenuto diverso, da contratto a contratto, anche se legittimi. Preso atto dell'aspetto temporale in cui gli stessi sono stati posti in essere, a giudizio dell'ufficio, i medesimi hanno configurato una fattispecie elusiva ai fini dell'imposta di registro e ipocatastale. L'intento principale del Collegio giudicante verte invece nel dissociare tali atti fra di loro, considerando l'uno diverso dall'altro, mettendo in risalto, quindi, la loro singola autonomia. Ciò perché con il primo atto era stato deliberato l'aumento del capitale sociale a Euro 40.000.000,00, mentre con il secondo veniva conferito nella società ricorrente, il ramo d'azienda per il valore dichiarato nel contratto, pari a Euro 71.445.00,00, determinato a mezzo di perizia. Tale conferimento veniva effettuato in regime di neutralità fiscale a' sensi dell'art. 176, D.P.R. 917/86, a saldi contabili aperti. L'ufficio, con notevole sforzo interpretativo, ha fatto ricadere nella fattispecie di cui all'art. 20 del D.P.R. 131/86 i due negozi sopra citati, strutturalmente e funzionalmente collegati al fine di produrne un unico effetto giuridico finale. Gli stessi sono stati considerati ai fini dell'imposta di registro, come un fenomeno unitario, il cui scopo ultimo come indicato in perizia, era quello della cessione d'azienda. L'ufficio procedendo alla riqualificazione ai soli fini tributari degli atti sopra citati, provvedeva in tema di imposte di registro, alla tassazione individuale dei compendi immobiliari (terreni edificabili), come da certificati di destinazione urbanistica allegati all'atto di conferimento, prendendo spunto dal valore degli immobili. Ciò veniva ricavato dalla perizia asseverata, prodromica alla determinazione del valore del "conferimento", ottenendo da dette valutazioni un'imposta complessiva di Euro 6.415.892,50. Il Collegio giudicante, tenuto conto di quanto sopra descritto, non condivide il comportamento dell'ufficio perché non si è in presenza di operazione elusiva, a' sensi dell'art. 20 del D.P.R. 131/86. Gli atti economici sopra descritti, che sono poi sfociati in atti notarili autonomi fra loro, devono essere considerati indipendenti l'uno dall'altro e, quindi, i medesimi non possono essere caratterizzati da collegamento negoziale, in quanto gli stessi sono intervenuti fra soggetti terzi. Le scelte economiche devono essere lasciate alla libertà dell'imprenditore e, pertanto, i fatti aziendali che ne derivano (ad esempio aumento di capitale sociale, eventuali conferimenti di rami d'azienda, cessioni di quote e quant'altro) non possono subire un'analisi critica da parte dell'amministrazione finanziaria. L'imprenditore deve essere libero di fare le scelte che meglio gli si addicono nel contesto sociale in cui si trova, senza elementi di criticità e di censura che, purtroppo, portano ad interpretare in modo diverso, il negozio giuridico compiuto dall'impresa. L'ufficio non può sottolineare il fatto dell'intervallo temporale ravvicinato fra le varie operazioni economiche che hanno causato gli atti giuridici, oggetto del presente contenzioso. L'elemento ostile addotto dall'ufficio, che ha considerato la natura degli atti posti in essere come due momenti di un'unica operazione di cessione d'azienda, con l'unico scopo di assoggettare a tassazione in materia di imposta di registro, nella misura proporzionale, sulla base dell'applicazione dei dettami di cui all'art. 20 del D.P.R. 131/86, non regge affatto. Nel caso specifico, non si è in presenza di negozi giuridici strutturalmente e funzionalmente collegati al fine di produrre un unico effetto giuridico finale, che per l'imposta di registro, devono essere considerati come un fenomeno unitario. I comportamenti contrattuali e la "consecutio" degli atti negoziali posti in essere, non sono da considerarsi, come ha fatto l'ufficio, produttivi di un unico effetto giuridico - tributario, ma devono essere visti come momenti di una più generale "riorganizzazione aziendale". L'ufficio, partendo dall'assunto generale "dell'abuso di diritto" è riuscito a intendere l'artificioso utilizzo di schemi giuridici leciti, con il principale motivo di ottenere un vantaggio fiscale, che nel caso in esame ha causato — a suo aire — per la società, il risparmio di imposta, in tema di imposizione indiretta, alquanto notevole. A giudizio del Collegio giudicante non è vietato al contribuente ricercare legittimamente il risparmio d'imposta, così come garantito dalla Costituzione, ex artt. 23 e 41, con la scelta di atti che gli consentono tutto questo. Nel caso in esame non si è in presenza di elusione d'imposta, così come sostenuto dall'ufficio, in quanto, parte ricorrente non ha "raggirato" norme fiscali. Con gli atti sopra descritti, per il Consesso, non si è in presenza di comportamenti che possono aver sfociato nell'elusione mediante l'uso di strumenti contrattuali e di documenti ad essi connessi. La fattispecie in esame non può rientrare in un contesto elusivo, e quindi nel citato abuso di diritto. Le operazioni poste in essere con gli atti sopra descritti non integrano gli estremi del comportamento abusivo, in quanto la finalità elusiva non è stata posta come elemento predominante ed assorbente, nei medesimi atti. Pertanto il contenuto giuridico deve essere riqualificato sulla base del singolo atto, con la specifica finalità economica, e non come complessiva serie di atti, disconoscendo i singoli effetti fiscali. Vi è di più. L'imposta di registro ha ad oggetto gli effetti giuridici dell'atto presentato per la registrazione, e non i suoi effetti economici. E'assolutamente illegittimo l'operato dell'ufficio che, in mancanza di una specifica norma di legge, pretenda di interpretare unitariamente, attraverso la configurazione di un'unica presunta causa negoziale, quelli che sono in realtà distinti atti giuridici, assoggettati nel sistema dell'imposta di registro, che è "un'imposta di atto" a distinta ed autonoma imposizione. Ogni atto è autonomo, e come tale, va trattato. Alla luce delle argomentazioni e motivazioni sopra esposte, l'operato dell'ufficio non trova conferma. Tenuto conto della peculiarità della fattispecie, le spese di giudizio seguono la compensazione. Il Collegio giudicante P.Q.M. - Accoglie il ricorso. Spese compensate.