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perizia di stima nel caso di conferimento di azienda e non di immobili
Pubblicata il 29/12/2010
Sent. n. 1135 del 20 gennaio 2006 (ud. del 30 novembre 2005) della Corte Cass.,
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Fatto - Con atto del 28 giugno 1993, registrato il 1° ottobre 1993 presso L'Ufficio del registro di Chiari, la società V. S.r.l. procedeva ad aumento del capitale sociale mediante conferimento di un immobile da parte del socio E.R. All'atto del conferimento le parti procedevano a fare stimare l'immobile ai sensi dell'art. 2343 del codice civile da un perito nominato dal Presidente del tribunale di Brescia che valutava l'immobile per un valore pari a lire 856.000.000; sulla base di tale valutazione computavano la partecipazione del conferente in lire 106.000.000 ed il resto alla società in quanto si era accollata il mutuo di lire 750.000.000, contratto all'epoca dell'acquisto dell'immobile. L'Ufficio del registro di Chiari notificava, in data 2 settembre 1995, avviso di accertamento innalzando il valore dichiarato a lire 3.300.200.000 ai fini dell'imposta di registro e d lire 3.000.000.000 ai fini Invim. I contribuenti proponevano distinti ricorsi innanzi alla Commissione tributaria provinciale di Brescia chiedendo una pronuncia di nullità dell'avviso di accertamento per difetto di motivazione perché in contrasto con gli 52 D.P.R. n. 131/1986, nonché dell'art. 31 del D.P.R. n. 643/1972 per l'Invim. In subordine, chiedevano la dichiarazione di illegittimità dello stesso atto per omessa dimostrazione della congruità del valore accertato, per omessa indicazione di elementi di raffronto con immobili similari e mancanza di riferimento alla stima UTE, peraltro, non allegata. La Commissione tributaria provinciale riuniti i ricorsi, li accoglieva parzialmente, determinando il valore in lire 2 miliardi sia ai fini dell'imposta di registro che Invim, pretermettendo tutte le censure avanzate dai ricorrenti e ponendo a base della propria decisione il valore attribuito al bene per la concessione di un mutuo fondiario per lire 1.875.000.000. La società V. S.r.l. e E.R. proponevano appello, adducendo, in via principale, la violazione degli artt. 112 e 132 del codice di procedura civile, nonché degli 36, comma 2, n. 4),del D.Lgs. n. 546/1992 e riproponendo tutte le censure avanzate in primo grado. La Commissione tributaria regionale della Lombardia rigettava l'appello confermando la sentenza di primo grado, ritenendo l'avviso di accertamento dotato di "analitica accurata esposizione". Avverso detta decisione la società V. S.r.l. e E.R. propongono ricorso per cassazione sulla base di quattro motivi. Non risulta costituita l'Amministrazione finanziaria. Diritto - Con il primo motivo, articolato in due censure, si denuncia la violazione di norme di diritto (artt. 51 e 52 del D.P.R. n. 131/1986) per avere la Commissione tributaria regionale ritenuto l'art. 2343 del codice civile non vincolante per la normativa tributaria, mentre a giudizio dei ricorrenti detta norma avrebbe carattere inderogabile con conseguente nullità del conferimento in caso di mancata osservanza. Con la seconda censura si lamenta la falsa applicazione degli artt. 51 e 52 del D.P.R. n. 131/1986 per avere i giudici del merito escluso il criterio del valore commerciale e/o di mercato quale parametro per pervenire ad una corretta valutazione del bene conferito, tanto più che nel caso di specie la specificità del bene (palazzo di epoca cinquecentesca in pessime condizioni e soggetto ad onerosa manutenzione) avrebbe dovuto indurre che la valutazione di tale bene doveva essere avulsa dal mercato degli immobili commerciali e valutato in modo diverso da questi. Il giudice, infine, avrebbe dovuto solo verificare la sussistenza o meno dei presupposti idonei a legittimare i presupposti del potere esercitato dall'ufficio senza tuttavia sostituirsi a questo nell'esercizio di tale potere. Con il secondo motivo si lamenta l'omessa motivazione in ordine al valore accertato, basato sul valore attribuito al bene in sede di accensione di un'ipoteca a garanzia di un mutuo per l'acquisto, ma sopravvalutato rispetto a questo senza addurre alcuna giustificazione, né alcuna comparazione con situazioni similari. Con la terza censura si deduce la violazione degli artt. 112 del codice di procedura civile e 35, comma 3, del D.Lgs. n. 546/1992 per avere il giudice di appello violato il principio della corrispondenza tra il chiesto ed il pronunciato, essendosi di fatto sostituito all'ufficio accertatore nei compiti ad esso demandati dalla legge. Con l'ultimo motivo si denuncia l'omessa od insufficiente motivazione dell'atto di accertamento emesso dall'Ufficio del registro di Chiari, per essere detto atto privo di qualunque riferimento ai criteri mediante i quali l'Amministrazione ha effettuato la valutazione del valore del bene, limitandosi solo ad una mera descrizione di esso ed ad un generico riferimento ad altri beni similari, peraltro non specificati, senza fornire alcuna prova in ordine al valore accertato con conseguente limitazione del diritto di difesa del contribuente, impossibilitato di vagliare l'iter logico giuridico seguito. Il ricorso non merita accoglimento. In relazione alla prima censura concernente la ritenuta inderogabilità dell'art. 2343 del codice civile il collegio osserva che tale affermazione è erronea; è, infatti, ormai principio di diritto consolidato di questa Corte e, nella specie, non sussistono elementi che giustifichino una diversa decisione che "con riguardo al conferimento in natura effettuato dal socio, la stima contemplata dall'art. 2343 del codice civile rileva nei rapporti fra il socio medesimo e la società, mentre non spiega effetti vincolanti nei confronti dei terzi (ivi inclusa l'amministrazione finanziaria, ai fini dell'imposta di registro)" (Cass. civ., n. 12343 del 2001, 7839 del 1987 e Commissione tributaria centrale, Sez. XXVII, 25 ottobre 1988, n. 7039). Né la disposizione dell'art. 50, comma 3, del testo unico sull'imposta di registro, che ha previsto, per alcune ipotesi specifiche di conferimenti, l'efficacia vincolante del valore risultante dalla relazione di stima anche rispetto alla Amministrazione finanziaria, può incidere nel caso di specie, in quanto la norma, per la sua formulazione e per la specifica collocazione, ha carattere di specialità e non è suscettibile di interpretazione estensiva (vd. Comm. trib. centr., Sez. IV, 3 febbraio 1992, n. 12343 del 2001). Infatti, si deve ritenere che il legislatore abbia inteso limitare il principio dell'inefficacia, nei confronti del Fisco, della relazione di stima di cui all'art. 2343 del codice civile, affermato dalla citata giurisprudenza, escludendo che operi solo nelle ipotesi specificamente indicate dalla legge sulla imposta di registro, tra le quali non figura il conferimento di immobili a società a responsabilità limitata, come la V. S.r.l. Ne dà ulteriore conferma il fatto che non sia stata prevista un'omologa disposizione in relazione alla valutazione del reddito d'impresa. Tutte le altre censure, addotte dai contribuenti da esaminare congiuntamente dato lo stretto nesso logico giuridico, sono infondate. Se è vero infatti che ove il contribuente contesti la legittimità dell'accertamento spetta all'Amministrazione finanziaria dimostrare la congruità del valore da essa attribuito all'immobile nell'avviso di accertamento (Cass. civ., sent. n. 5776 del 2000) e che la contestazione dell'accertamento da parte del contribuente contiene un'implicita affermazione che il bene non ha valore indicato dall'ufficio, il quale ha pertanto, l'onere di provarlo in giudizio (Cass. civ., sent. n. 12162 del 2005), è vero, altresì, che la constatazione che tale prova non è stata offerta dal Fisco rientra pur sempre nei poteri dei giudici tributari, i quali possono dunque addivenire ad una valutazione in concreto del bene in contestazione (Cass. n. 4565/1993, n. 3235/1995 e 5776/2000), proprio a seguito del fallimento di tale prova. Sostengono, nondimeno, i ricorrenti che alle Commissioni tributarie non competerebbe tale potere estimativo sostitutivo di quello, spiegato in via puramente amministrativa, dall'ufficio. L'assunto non può essere condiviso. L'art. 7 del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546 assegna infatti alle Commissioni tributarie ampi poteri istruttori, compresa la possibilità di acquisire elementi conoscitivi mediante la richiesta di apposite relazioni affidate ad organi tecnici dell'Amministrazione, con la sola esclusione, fra le prove ammissibili, del giuramento e dell'assunzione di testimoni, o mediante esame di documentazione comunque prodotta in giudizio dalle parti. Tali poteri sono conferiti proprio in funzione della valutazione, ad esse affidata, della legittimità e della congruità delle pretese dell'ufficio; i giudici tributari di merito possono cioè acquisire aliunde, prescindendo dagli accertamenti dell'ufficio, gli elementi di decisione, di cui compiono una valutazione autonoma, rispetto all'assunto di quest'ultimo (cass. civ., sentt. 15209 del 2000). Nella fattispecie, dunque, la Commissione Regionale, ha fatto corretto uso di tali poteri, avendo ritenuto congruo il valore determinato in punto di fatto dai giudici di primo grado mediante la parziale utilizzazione, da un lato, dell'accertamento dell'ufficio, che poteva essere liberamente valutato, non essendo assistito da presunzione di legittimità (Cass. n. 7180/1994), dall'altro della esistenza di un'ipoteca bancaria, risultante dagli atti, iscritta sul bene per cui è causa, a garanzia della concessione del mutuo fondiario, anche essa liberamente apprezzata in sede di merito. Peraltro la scelta dei criteri ai quali ancorare la valutazione del valore del bene costituisce giudizio di merito, insindacabile in questa sede di legittimità in presenza di logica e sufficiente motivazione scevra da errori di diritto. Anche la lamentata omessa motivazione sull'arrotondamento in eccesso di detta valutazione (da lire 1.850.000.000 a 2 miliardi di lire) non è ostativa al rigetto di tale istanza, essendo un fatto più che notorio che le banche, al momento di concedere un mutuo, nel valutare il bene concesso in garanzia (nella specie, accensione di un'ipoteca) valutano con estrema accuratezza il valore di mercato dello stesso, mantenendosi al ribasso per non avere alcuna sorpresa in caso di inadempimento del debitore. Conclusivamente, dichiarata assorbita ogni altra censura, non sussistono nell'impugnata sentenza né le lamentate violazioni di legge né la carenza di motivazione avendo le Commissioni tributarie di merito fatto buon uso dei poteri loro conferiti dalla legge; da detta considerazione consegue il rigetto del ricorso proposto dalla società V. S.r.l. e da E.R. Sussistono tuttavia giusti motivi per la compensazione tra le parti delle spese di giudizio. P.Q.M. - la Corte rigetta il ricorso e compensa le spese.