perizia di stima nel caso di conferimento di azienda e non di immobili

Massima - L'art. 50, comma 3, del D.P.R. n. 131 del 1986 (nel testo vigente fino al 1° gennaio 2000) stabiliva in modo chiaro ed incontrovertibile che la perizia di stima dei conferimenti in natura o crediti, redatta ai sensi dell'art. 2343 del codice civile, spiegasse effetti vincolanti, nei confronti dell'Amministrazione finanziaria, solo in caso di conferimento di azienda o complesso aziendale e non in caso di conferimento di un singolo immobile ovvero di un complesso di immobili non costituenti una azienda

Sent. n. 1135 del 20 gennaio 2006 (ud. del 30 novembre 2005) della Corte Cass.,



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Sent. n. 1135 del 20 gennaio 2006 (ud. del 30 novembre 2005) della Corte Cass., Sez. tributaria - Pres. Favara, Rel. Marigliano Imposte sui trasferimenti - Conferimento di immobile in società  -  Perizia di stima ex art. 2343 del codice civile - Effetti vincolanti nei  confronti dell'amministrazione finanziaria - Esclusione  -  Art.  50,  comma  3,  del D.P.R. 26 aprile 1986, n. 131     Massima - L'art. 50, comma 3, del D.P.R. n. 131  del  1986  (nel  testo vigente fino al 1° gennaio 2000) stabiliva che  la  perizia  di  stima  dei conferimenti in natura o crediti,  redatta  ai  sensi  dell'art.  2343  del codice   civile,    spiegasse    effetti    vincolanti,    nei    confronti dell'Amministrazione finanziaria, solo in caso di conferimento di azienda o complesso  aziendale  e  non  in  caso  di  conferimento  di   un   singolo immobile. (1)
    Fatto - Con atto del 28 giugno 1993,  registrato  il  1°  ottobre  1993 presso L'Ufficio del registro di Chiari, la società V. S.r.l. procedeva  ad aumento del capitale sociale mediante conferimento di un immobile da  parte del socio E.R.     All'atto  del  conferimento  le  parti  procedevano  a   fare   stimare l'immobile ai sensi dell'art. 2343 del codice civile da un perito  nominato dal Presidente del tribunale di Brescia  che  valutava  l'immobile  per  un valore pari a lire 856.000.000; sulla base di tale valutazione  computavano la partecipazione del conferente in  lire  106.000.000  ed  il  resto  alla società in quanto si era accollata il mutuo di lire 750.000.000,  contratto all'epoca dell'acquisto dell'immobile.     L'Ufficio del registro di Chiari notificava, in data 2 settembre  1995, avviso di accertamento innalzando il valore dichiarato a lire 3.300.200.000 ai fini dell'imposta di registro e d lire 3.000.000.000 ai fini Invim.     I contribuenti proponevano distinti ricorsi  innanzi  alla  Commissione tributaria provinciale  di  Brescia  chiedendo  una  pronuncia  di  nullità dell'avviso di accertamento per difetto di motivazione perché in  contrasto con gli 52 D.P.R. n.  131/1986,  nonché dell'art. 31 del D.P.R. n. 643/1972 per l'Invim. In  subordine,  chiedevano la  dichiarazione  di  illegittimità   dello   stesso   atto   per   omessa dimostrazione della congruità del valore accertato, per omessa  indicazione di elementi di raffronto con immobili similari e  mancanza  di  riferimento alla stima UTE, peraltro, non allegata.     La Commissione tributaria provinciale riuniti i ricorsi, li  accoglieva parzialmente, determinando il  valore  in  lire  2  miliardi  sia  ai  fini dell'imposta  di  registro  che  Invim,  pretermettendo  tutte  le  censure avanzate dai ricorrenti e ponendo a base della propria decisione il  valore attribuito  al  bene  per  la  concessione  di  un  mutuo   fondiario   per lire 1.875.000.000.     La società V. S.r.l. e E.R.  proponevano  appello,  adducendo,  in  via principale, la violazione degli artt. 112 e 132  del  codice  di  procedura civile, nonché degli 36, comma  2,  n.  4),del  D.Lgs. n. 546/1992 e riproponendo tutte le censure avanzate in primo grado.     La Commissione tributaria regionale della Lombardia rigettava l'appello confermando la sentenza di primo grado, ritenendo l'avviso di  accertamento dotato di "analitica accurata esposizione".     Avverso detta decisione la società V. S.r.l. e E.R. propongono  ricorso per cassazione  sulla  base  di  quattro  motivi.  Non  risulta  costituita l'Amministrazione finanziaria.       Diritto - Con il primo motivo, articolato in due censure,  si  denuncia la violazione di norme di diritto (artt. 51 e 52 del D.P.R. n. 131/1986) per avere la  Commissione  tributaria  regionale ritenuto l'art. 2343 del codice civile  non  vincolante  per  la  normativa tributaria, mentre a giudizio dei ricorrenti detta norma avrebbe  carattere inderogabile con conseguente nullità del conferimento in  caso  di  mancata osservanza.     Con la seconda censura si lamenta la falsa applicazione degli artt.  51 e 52 del D.P.R. n. 131/1986 per avere  i  giudici  del  merito  escluso  il criterio  del  valore  commerciale  e/o  di  mercato  quale  parametro  per pervenire ad una corretta valutazione del bene conferito, tanto più che nel caso di specie la specificità del bene (palazzo di epoca cinquecentesca  in pessime condizioni e  soggetto  ad  onerosa  manutenzione)  avrebbe  dovuto indurre che la valutazione di tale bene doveva essere  avulsa  dal  mercato degli immobili commerciali e valutato in modo diverso da questi.     Il giudice, infine, avrebbe dovuto solo  verificare  la  sussistenza  o meno  dei  presupposti  idonei  a  legittimare  i  presupposti  del  potere esercitato dall'ufficio senza tuttavia sostituirsi a questo  nell'esercizio di tale potere.     Con il secondo motivo si lamenta  l'omessa  motivazione  in  ordine  al valore  accertato,  basato  sul  valore  attribuito  al  bene  in  sede  di accensione di  un'ipoteca  a  garanzia  di  un  mutuo  per  l'acquisto,  ma sopravvalutato rispetto a questo senza addurre alcuna  giustificazione,  né alcuna comparazione con situazioni similari.     Con la terza censura si deduce la violazione degli artt. 112 del codice di procedura civile e 35, comma 3, del D.Lgs.  n.  546/1992  per  avere  il giudice di appello violato il principio della corrispondenza tra il chiesto ed il pronunciato, essendosi di fatto  sostituito  all'ufficio  accertatore nei compiti ad esso demandati dalla legge.     Con l'ultimo motivo si denuncia l'omessa od  insufficiente  motivazione dell'atto di accertamento emesso dall'Ufficio del registro di  Chiari,  per essere detto atto privo di qualunque  riferimento  ai  criteri  mediante  i quali l'Amministrazione ha effettuato la valutazione del valore  del  bene, limitandosi solo ad  una  mera  descrizione  di  esso  ed  ad  un  generico riferimento ad altri beni similari, peraltro non specificati, senza fornire alcuna prova in ordine al valore accertato con conseguente limitazione  del diritto di difesa del  contribuente,  impossibilitato  di  vagliare  l'iter logico giuridico seguito.     Il ricorso non merita accoglimento.     In relazione alla prima censura concernente la ritenuta  inderogabilità dell'art. 2343 del codice civile il collegio osserva che tale  affermazione è erronea; è, infatti, ormai principio di  diritto  consolidato  di  questa Corte e, nella  specie,  non  sussistono  elementi  che  giustifichino  una diversa decisione che "con riguardo al conferimento  in  natura  effettuato dal socio, la stima contemplata dall'art. 2343 del codice civile rileva nei rapporti fra il socio medesimo e la  società,  mentre  non  spiega  effetti vincolanti  nei  confronti  dei  terzi   (ivi   inclusa   l'amministrazione finanziaria, ai fini dell'imposta di registro)" (Cass. civ., n.  12343  del 2001, 7839 del 1987 e Commissione  tributaria  centrale,  Sez. XXVII, 25 ottobre 1988, n. 7039).     Né la disposizione dell'art. 50, comma 3, del testo unico  sull'imposta di  registro,  che  ha  previsto,  per   alcune   ipotesi   specifiche   di conferimenti, l'efficacia vincolante del valore risultante dalla  relazione di stima anche rispetto alla Amministrazione finanziaria, può incidere  nel caso di specie, in quanto la norma,  per  la  sua  formulazione  e  per  la specifica collocazione, ha carattere di specialità e non è suscettibile  di interpretazione estensiva (vd. Comm. trib.  centr.,  Sez.  IV,  3  febbraio 1992, n.  12343  del  2001).  Infatti,  si  deve ritenere  che  il  legislatore   abbia   inteso   limitare   il   principio dell'inefficacia, nei confronti del Fisco, della relazione di stima di  cui all'art. 2343 del codice civile,  affermato  dalla  citata  giurisprudenza, escludendo che operi solo nelle ipotesi specificamente indicate dalla legge sulla imposta di registro, tra le  quali  non  figura  il  conferimento  di immobili a società a responsabilità limitata,  come  la  V.  S.r.l.  Ne  dà ulteriore  conferma  il  fatto  che  non  sia  stata  prevista   un'omologa disposizione in relazione alla valutazione del reddito d'impresa.     Tutte  le  altre  censure,  addotte  dai  contribuenti   da   esaminare congiuntamente dato lo stretto nesso logico giuridico, sono infondate.     Se è vero infatti che  ove  il  contribuente  contesti  la  legittimità dell'accertamento  spetta  all'Amministrazione  finanziaria  dimostrare  la congruità  del  valore  da  essa  attribuito  all'immobile  nell'avviso  di accertamento (Cass. civ., sent. n. 5776 del 2000) e  che  la  contestazione dell'accertamento  da  parte   del   contribuente   contiene   un'implicita affermazione che il bene non ha valore indicato dall'ufficio, il  quale  ha pertanto, l'onere di provarlo in giudizio (Cass. civ., sent. n.  12162  del 2005), è vero, altresì, che la constatazione che tale  prova  non  è  stata offerta dal Fisco rientra pur sempre nei poteri dei  giudici  tributari,  i quali possono dunque addivenire ad una valutazione in concreto del bene  in contestazione (Cass. n. 4565/1993, n. 3235/1995 e 5776/2000), proprio  a seguito del fallimento di tale prova.     Sostengono, nondimeno, i ricorrenti che alle Commissioni tributarie non competerebbe tale potere estimativo sostitutivo di quello, spiegato in  via puramente amministrativa, dall'ufficio.     L'assunto non può essere condiviso.     L'art. 7 del D.Lgs. 31 dicembre  1992,  n.  546  assegna  infatti  alle Commissioni tributarie ampi poteri istruttori, compresa la  possibilità  di acquisire elementi conoscitivi mediante la richiesta di apposite  relazioni affidate ad organi tecnici dell'Amministrazione, con  la  sola  esclusione, fra le prove ammissibili, del giuramento e dell'assunzione di testimoni,  o mediante esame di documentazione comunque prodotta in giudizio dalle parti.     Tali poteri sono conferiti proprio in funzione  della  valutazione,  ad esse  affidata,  della  legittimità  e  della   congruità   delle   pretese dell'ufficio; i giudici tributari di merito possono cioè acquisire aliunde, prescindendo dagli accertamenti dell'ufficio, gli elementi di decisione, di cui compiono una valutazione autonoma, rispetto all'assunto di quest'ultimo (cass. civ., sentt. 15209 del 2000).     Nella fattispecie, dunque, la Commissione Regionale, ha fatto  corretto uso di tali poteri, avendo ritenuto congruo il valore determinato in  punto di fatto dai giudici di primo grado mediante la parziale utilizzazione,  da un lato, dell'accertamento  dell'ufficio,  che  poteva  essere  liberamente valutato, non  essendo  assistito  da  presunzione  di  legittimità  (Cass. n. 7180/1994),  dall'altro  della   esistenza   di   un'ipoteca   bancaria, risultante dagli atti, iscritta sul bene per cui è causa, a garanzia  della concessione del mutuo fondiario, anche essa liberamente apprezzata in  sede di merito. Peraltro la scelta dei criteri ai quali ancorare la  valutazione del valore del bene costituisce giudizio di merito, insindacabile in questa sede di legittimità in presenza di logica e sufficiente motivazione  scevra da errori di diritto.     Anche la lamentata omessa motivazione sull'arrotondamento in eccesso di detta valutazione (da lire 1.850.000.000  a  2  miliardi  di  lire)  non  è ostativa al rigetto di tale istanza, essendo un fatto più che  notorio  che le banche, al momento di concedere un mutuo, nel valutare il bene  concesso in garanzia (nella specie, accensione di un'ipoteca) valutano  con  estrema accuratezza il valore di mercato dello stesso, mantenendosi al ribasso  per non avere alcuna sorpresa in caso di inadempimento del debitore.     Conclusivamente,  dichiarata  assorbita   ogni   altra   censura,   non sussistono nell'impugnata sentenza né le lamentate violazioni di  legge  né la carenza di motivazione avendo le Commissioni tributarie di merito  fatto buon uso dei poteri loro conferiti dalla  legge;  da  detta  considerazione consegue il rigetto del ricorso proposto dalla società V. S.r.l. e da E.R.     Sussistono tuttavia giusti motivi per la  compensazione  tra  le  parti delle spese di giudizio.       P.Q.M. - la Corte rigetta il ricorso e compensa le spese.              

                                                                           

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