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Commette il reato di calunnia chi dichiara di aver perso un assegno che ha in realtà dato in pagamento

Commette il reato di calunnia chi dichiara di aver perso un assegno che ha in realtà dato in pagamento, in quanto il risvolto, per nulla innocuo, di tale bugia potrebbe avere come effetto quello di trasformare in ladro o ricettatore chi in tutta buona fede ha incassato il titolo consegnato spontaneamente. Il reato in questione, peraltro, scatta a prescindere dalla mancata querela per appropriazione indebita da parte del mentitore. Il reato di appropriazione indebita di una cosa smarrita si configura solo nel caso il bene sia uscito definitivamente dalla sfera della disponibilità del legittimo proprietario e che questo non sia più in condizione di rintracciarlo. Circostanza che non può certo verificarsi nel caso di un assegno che contiene tutte le informazioni che consentono di risalire al titolare del conto, per questa ragione chi se ne impossessa illegittimamente commette il reato di furto o di ricettazione.

Corte di Cassazione, Sezione 6 penale, Sentenza 28 ottobre 2011, n. 39237



- Leggi la sentenza integrale -

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DE ROBERTO Giovanni - Presidente

Dott. GARRIBA Tito - Consigliere

Dott. GRAMENDOLA Francesco P. - Consigliere

Dott. ROTUNDO Vincenzo - Consigliere

Dott. CITTERIO Carlo - Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso proposto da:

Cu. Si. ;

avverso la sentenza 7 ottobre 2010 della Corte di appello di Catania;

Visti gli atti, la sentenza denunciata ed il ricorso;

Udita in pubblica udienza la relazione fatta dal Presidente De Roberto;

Udite le conclusioni del Pubblico ministero, nella persona del Sostituto Procuratore Generale, Dott. D'AMBROSIO Vito, che ha concluso per il rigetto del ricorso;

Udito il difensore di parte civile, avvocato Pietro Marino.

OSSERVA

1. Con sentenza 7 ottobre 2010 la Corte di appello di Catania confermava la decisione 17 marzo 2009 del locale Tribunale, Sezione distaccata di Mascalucia, che aveva affermato la penale responsabilita' di Cu.Si. in ordine a due reati di calunnia uniti dal vincolo della continuazione (piu' precisamente, perche' con denuncia presentata il 9 giugno 2004 ai carabinieri di S. Agata Li Battiati affermava falsamente che un assegno dell'importo di euro 1.550 tratto sul suo conto corrente presso il Cr. Si. intestato a se stessa e con apposta la firma di girata, era stato smarrito, cosi' simulando a carico del beneficiario del titolo, che sapeva innocente, le tracce del reato di ricettazione, essendosi accertato che era stata la Cu. ad autorizzare la consegna dell'assegno al legale rappresentante del MA. Co. spa; e perche' denunciava falsamente lo smarrimento di altro assegno tratto sulla medesima banca gia' negoziato, cosi' da simulare a favore del successivo prenditore le tracce del reato di furto o di ricettazione), condannandola, concesse le circostanze attenuanti generiche, alla pena di un anno e quattro mesi di reclusione, oltre al risarcimento del danno in favore del legale rappresentante del MA. , Gi.Sa. .

2. Ricorre per cassazione la Cu. , articolando cinque ordini di motivi.

Denuncia, anzi tutto, erronea applicazione dell'articolo 178 c.p.p., lettera c), e manifesta illogicita' della motivazione della sentenza impugnata nella parte in cui ha disatteso la censura incentrata sul rigetto, da parte del giudice di primo grado, dell'ordinanza con cui veniva revocata l'ammissione dell'unico teste indicato dalla difesa. Il punto riguarda la falsa interpretazione del diniego di testimonianza da parte della madre dell'imputata Zi. Da. , colei che aveva consegnato gli assegni al Gi. , provocata anche dai reiterati interventi del difensore di parte civile.

Con un secondo motivo si denuncia la nullita' dell'ordinanza 17 marzo 2009 con la quale il Tribunale aveva revocato la richiesta di esame dell'imputata con conseguenti riverberi sulla sentenza impugnata la quale ha, oltre tutto, ritenuto equiparabile l'esame alle dichiarazioni spontanee.

Si denuncia, ancora, violazione dell'articolo 159 c.p. avendo il Tribunale disposto illegittimamente la sospensione della prescrizione nonostante l'udienza fosse stata rinviata per l'acquisizione della prova.

Con il quarto motivo si lamenta mancanza e manifesta illogicita' della motivazione, in relazione alla ritenuta sussistenza dell'elemento psicologico del reato di calunnia.

Si deduce, infine, violazione della legge penale per l'omesso riconoscimento della circostanza attenuante del danno di speciale tenuita'.

3. Il ricorso e' inammissibile.

3.1. Non consentita, ai sensi dell'articolo 606 c.p.p., comma 3, e' la censura con la quale la ricorrente ha contestato il rigetto, da parte del giudice di primo grado, dell'ordinanza con cui veniva "revocata" l'ammissione dell'unico teste indicato dalla difesa, vale a dire la madre dell'imputata, Zi.Da. , che avrebbe negoziato il titolo pervenuto al legale rappresentante del MA. Co. spa.

La sentenza impugnata, riportando il contenuto del verbale stenotipico, ha ritenuto che la Zi. abbia espresso la volonta' di non deporre cosi' esercitando la facolta' di cui all'articolo 199 c.p.p. Gli argomenti addotti dalla difesa si risolvono, dunque, in una interpretazione arbitraria dell'atto processuale e che, come tale, non puo' trovare ingresso in questa sede di legittimita', considerato l'univoco incontestabile contenuto del verbale stenotipico.

3.2. Identica e' la sorte da assegnare al secondo motivo.

La Corte territoriale ha rigorosamente precisato che, come risulta dal verbale stenotipico dell'udienza 4 novembre 2008, il Tribunale ha rinviato il processo all'udienza del 2 dicembre 2008 anche per l'esame dell'imputata; a tale udienza la Cu. non si e' presentata e correttamente il giudice di primo grado all'udienza successiva ha ammesso soltanto le sue spontanee dichiarazioni. D'altro canto, la giurisprudenza costante di questa Corte e' nel senso che il mancato esame dell'imputato, anche se in precedenza ammesso dal giudice del dibattimento, non comportando alcuna limitazione alla facolta' di intervento, di assistenza e di rappresentanza dell'imputato medesimo, non integra alcuna violazione del diritto di difesa, tanto piu' che in ogni momento l'imputato ha la facolta' di rendere le sue spontanee dichiarazioni (cfr., ex plurimis, Sez. 4, 3 novembre 2005, Di Mauro).

3.3. Sempre nel catalogo delle cause di inammissibilita' (piu' precisamente, in quella prevista dall'articolo 591 c.p.p., comma 1, lettera a)) va annoverato il terzo motivo in quanto non computando il periodo di sospensione (erroneamente disposto), il termine di prescrizione sarebbe comunque maturato il 9 dicembre 2011.

3.4. Nel novero delle doglianze non consentite va apprezzato pure il quarto motivo di ricorso.

Va premesso che la falsa dichiarazione di aver smarrito un assegno consegnato invece in pagamento ad un altro soggetto integra il reato di calunnia poiche' simula ai danni del prenditore del titolo il reato di furto o di ricettazione e non eventualmente quello di appropriazione indebita di cosa smarrita. E' percio' irrilevante il fatto che alla denuncia di smarrimento non abbia fatto seguito la proposizione della querela per i reati di appropriazione indebita di cosa smarrita e di falso in assegno. Perche' possa configurarsi il delitto di appropriazione indebita di cosa smarrita infatti e' necessario che la cosa sia uscita definitivamente dalla sfera di disponibilita' del legittimo possessore e che questi non sia in grado di ripristinare su di essa il primitivo potere e poiche' e' sicuramente e agevolmente possibile risalire, sulla base delle annotazioni contenute nell'assegno, al titolare del conto, chi se ne impossessa illegittimamente commette o il reato di furto o quello di ricettazione (Sez. 6, 4 luglio 1996, Arno; Sez. 6, 29 gennaio 1999, Gioviale).

A tale stregua le censure della ricorrente sono iscrivibili, ancora una volta, nel catalogo delle cause di inammissibilita' di cui all'articolo 606 c.p.p., comma 3, anche considerando l'assoluta irrilevanza, ai fini della integrazione degli elementi oggettivi e soggettivi della fattispecie per cui e' intervenuta condanna, delle vicende concernenti i rapporti tra l'imputata e la Zi. .

Le doglianze si risolvono allora in una non ammessa rilettura delle fonti di prova ampiamente e correttamente vagliate dal giudice a quo. Ma, come e' ormai diritto vivente, in sede di ricorso per cassazione sono rilevabili esclusivamente i vizi di motivazione che incidano sui requisiti minimi di esistenza e di logicita' del discorso argomentativo svolto nel provvedimento e non sul contenuto della decisione. Il controllo di logicita' deve rimanere all'interno del provvedimento impugnato e non e' possibile procedere a una nuova e diversa valutazione degli elementi probatori o a un diverso esame degli elementi materiali e di fatto delle vicende oggetto del giudizio, salvo i casi prevista dal "novellato" articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera e.

Le ricostruzioni alternative, al pari delle censure sulla selezione e l'interpretazione del materiale probatorio, non possono essere idonee ad accedere al giudizio di legittimita' quando la motivazione sia, nei suoi contenuti fondamentali, coerente e plausibile. In presenza di una corretta ricostruzione della vicenda, in questa sede non e' ammessa incursione alcuna nelle risultanze processuali per giungere a diverse ipotesi ricostruttive dei fatti, dovendosi la Corte di legittimita' limitare a ripercorrere l'iter argomentativo svolto dal giudice di merito per verificarne la completezza e la insussistenza di vizi logici ictu oculi percepibili (cfr., ex plurimis, Sez. un., 23 febbraio 2003, Petrella).

3.5. Palesemente inammissibile e', infine, il quinto motivo, avendo la Corte di merito adeguatamente argomentato, con giudizio di fatto, incensurabile in questa sede, le ragioni del diniego dell'invocata circostanza.

4. Alla dichiarazione di inammissibilita' del ricorso consegue la condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali e di una somma in favore della cassa delle ammende che si ritiene equi determinare in euro mille. La Cu. va altresi' condannata a rimborsare alla parte civile le spese di questo grado che si liquidano in complessivi euro 2.500, oltre IVA e CPA.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali ed alla somma di euro mille alla cassa delle ammende. Condannata altresi' la ricorrente a rimborsare alla parte civile le spese del grado che si liquidano in complessivi euro 2.500, oltre IVA e CPA.

 

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