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Commette il reato di estorsione il creditore che minaccia di morte il debitore per farsi pagare
Pubblicata il 06/01/2010
Corte di Cassazione Sezione 2 Penale, Sentenza del 18 novembre 2009, n. 44029
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IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SECONDA PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. CARMENINI Secondo L. - Presidente
Dott. GALLO Domenico - Consigliere
Dott. MACCHIA Alberto - Consigliere
Dott. DE CRESCIENZO Ugo - Consigliere
Dott. MANNA Anton - rel. Consigliere
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
Ba. Al. ;
avverso la sentenza 23.2.07 della Corte d'Appello di Roma;
visti gli atti, il provvedimento impugnato ed il ricorso;
udita in pubblica udienza la relazione del Consigliere Dott. MANNA Antonio;
udito il Procuratore Generale nella persona del Dott. GALATI Giovanni, che ha concluso per l'inammissibilita' del ricorso.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Con sentenza 23.2.07 la Corte d'Appello di Roma confermava la condanna emessa il 22.4.03 dal Tribunale di Cassino a carico di Ba. Al. per il delitto di tentata estorsione nei confronti di Di. Pa. De. .
Il Ba. ricorreva contro detta sentenza, di cui chiedeva l'annullamento per i motivi qui di seguito riassunti:
a) violazione di legge per difetto dell'ingiusto profitto: infatti, premesso che il Ba. era stato assolto dal concorrente reato di usura, il chiedere che la Di. Pa. onorasse le obbligazioni cartolari (cambiali) assunte integrava lecita pretesa riconosciuta dall'ordinamento giuridico, di guisa che - al piu' - sarebbe stato configurabile il solo delitto p. e p. ex articolo 612 c.p. e non quello di tentata estorsione;
b) al reato in esame era comunque applicabile l'indulto ex Legge 31 luglio 2006, n. 241.
1- Osserva la Corte che il ricorso e' inammissibile perche' manifestamente infondato.
Quanto al primo motivo, premesso che secondo l'impostazione difensiva del ricorrente il reato configurabile sarebbe - semmai - quello p. e p. ex articolo 393 c.p. e non quello di cui all'articolo 612 c.p., valga ricordare il costante insegnamento di questa Corte Suprema in virtu' del quale "Nel delitto di esercizio arbitrario delle proprie ragioni, la condotta violenta o minacciosa e' strettamente connessa alla finalita' dell'agente di far valere il preteso diritto, rispetto al cui conseguimento si pone come elemento accidentale, e, pertanto, non puo' consistere in manifestazioni sproporzionate e gratuite di violenza, in presenza delle quali deve, al contrario, ritenersi che la coartazione dell'altrui volonta' sia finalizzata a conseguire un profitto "ex se" ingiusto, configurandosi in tal caso il piu' grave delitto di estorsione, (In applicazione del principio, la S.C. ha ritenuto integrato il delitto di estorsione in un caso nel quale l'imputato, al fine di ottenere l'adempimento di un debito di importo pari inizialmente ad euro 8.676,00, e poi cresciuto fino ad euro 30.000,00, aveva minacciato il debitore sia con armi che con esplosivi)" (Cass. Sez. 2 n. 35610 del 27.6.2007, dep. 26.9.2007, rv. 237992; conf. Cass. N. 14440/07, rv. 236457; Cass. n. 47972/2004, rv. 230709; Cass. n. 10336/04, rv. 228156; Cass. n. 29015/02, rv. 222292).
Nel caso di specie, a fronte di un prestito complessivo di lire 14.400.000 erogato alla Di. Pa. , per il quale il Ba. aveva ottenuto il rilascio di svariati titoli cambiali per importi largamente superiori (in prime cure l'odierno ricorrente e' stato assolto dal delitto di usura per incertezza del quadro probatorio in ordine all'enucleazione dei tassi di interesse da lui praticati), il mezzo per ottenere il soddisfacimento del credito vantato e' consistito in gratuite minacce di morte e di far saltare in aria il negozio della parte offesa, minacce del tutto sproporzionate e poste in essere con modalita' gravemente intimidatorie e sintomatiche dell'intento di andare ben al di la' di ogni ragionevole soddisfacimento d'un proprio preteso diritto, di guisa che la coartazione della volonta' della Di. Pa. ha assunto ex se i caratteri dell'ingiustizia.
2- Il secondo motivo di doglianza e' manifestamente infondato perche' l'indulto ben puo' essere applicato - ove spettante, sia ben chiaro - in sede esecutiva. L'ometterne l'applicazione e' censurabile soltanto ove essa abbia formato oggetto di esplicita richiesta da parte dell'appellante, il che nella fattispecie non e' avvenuto ne' nei motivi d'appello (risalenti ad epoca anteriore alla Legge 31 luglio 2006, n. 241) ne' nelle conclusioni rassegnate dalla difesa del Ba. all'esito della discussione di secondo grado (v. verbale d'udienza del 23.2.07).
In proposito e' appena il caso di ricordare che l'articolo 591 c.p.p., che abilita questa Corte Suprema, in presenza delle condizioni di legge, a provvedere direttamente all'applicazione dell'indulto, senza rinviare il processo al giudice di merito, va correlato al principio devolutivo delle impugnazioni e presuppone, quindi, che la sentenza di appello abbia interloquito al riguardo o abbia omesso di farlo nonostante che fosse stato avanzato apposito motivo di gravame in tal senso, diversamente non avendo il giudice di legittimita' poteri di iniziativa per l'applicazione di ufficio del beneficio che va, in ipotesi e sempre concorrendovi tutti i requisiti oggettivi e soggettivi, applicato in sede esecutiva (cfr., ad es. Cass. Sez. 4 n. 1995 del 2.12.93, dep. 18.2.94).
3- All'inammissibilita' del ricorso consegue, ex articolo 616 c.p.p., la condanna del ricorrente alle spese processuali ed al versamento a favore della cassa delle ammende di una somma che stimasi equo quantificare in euro 1.000,00 alla luce dei profili di colpa ravvisati nell'impugnazione, secondo i principi affermati dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 186/2000.
P.Q.M.
La Corte Suprema di Cassazione, Seconda Sezione Penale, dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e al versamento di euro 1.000,00 alla cassa delle ammende.