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Commette il reato di ingiuria colui che dà del 'dilettante' a qualcuno, specie se questo è un professionista

Commette il reato di ingiuria colui che dà del 'dilettante' a qualcuno, specie se questo è un professionista. Detta espressione, infatti, ha un significato di dispregio "specialmente quando si vuole evidenziare mancanza di adeguata preparazione in relazione ad attivita' professionali".



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Cassazione – Sezione quinta penale – sentenza 23 gennaio – 27 febbraio 2008, n. 8639 Presidente Fazzioli – Relatore Carrozza Pm Izzo – conforme – Ricorrente F. W.
Fatto

1. Con sentenza del 14 dicembre 2005 il Tribunale di Treviso, in composizione monocratica, in riforma di quella del giudice di pace della stessa città del 6 aprile precedente, ha dichiarato la F. W. responsabile del reato di cui all’art. 594, comma 1, c.p. per avere, mediante l’invio di un fax, offeso l’onore e il decoro di Z. Franca, affermando che era ignorante e dilettante.

Il giudice dell’appello ha argomentato che non poteva desumersi, come aveva affermato il giudice di pace, che con il fax in questione l’imputata avesse inteso solo evidenziare la scarsa professionalità della Z. , in quanto aveva già scritto che le cavalle, che erano state affidate alla parte lesa per l’allevamento, erano state tenute in cattive condizioni igieniche ed alimentate in modo insufficiente, descrivendo così in modo oggettivo l’inadeguatezza della prestazione, mentre aggiungendo le parole “dilettante e ignorante” aveva voluto dare alla critica una connotazione inequivocabilmente spregiativa.

1.2. Il Tribunale ha, pure, precisato che doveva escludersi che l’imputata non avesse compreso il significato delle parole usate, perché non risultava che la stessa, di nazionalità straniera, avesse una limitata o incompleta comprensione della lingua italiana. Anzi risultava che essa aveva usato correttamente l’italiano sia nel fax che nel corso dell’interrogatorio davanti al giudice di pace.

1.3. Lo stesso giudice ha escluso l’applicabilità dell’art. 599 c.p. perché non vi era alcuna prova che le cavalle fossero state tenute male dalla Z. e che l’imputata avesse scritto il fax nello stato d’ira determinato da tale comportamento.

L’imputata ricorre per cassazione deducendo:

2.1. l’inosservanza ed erronea applicazione dell’art. 594, comma 1, c.p. perché questo prevede espressamente la presenza dell’offeso, per cui, semmai, l’imputata sarebbe stata responsabile della fattispecie di cui al comma 2 stessa disposizione normativa.

2.2. l’inosservanza ed erronea applicazione dell’art. 599 c.p. perché il Tribunale non ha tenuto conto di quanto acquisito durante l’istruttoria, con particolare riguardo alle dichiarazioni della parte civile, nelle quali si ammetteva che le cavalle avevano contratto alcune patologie durante la permanenza nell’allevamento della stessa.

2.3. la manifesta e illogicità della motivazione sull’esistenza dell’elemento soggettivo sia perché frasi ben più gravi di quelle usate da essa imputata sono entrate ormai nel linguaggio comune, sia perché risulta che il fax è gonfio di errori e sgrammaticature, fa riferimento a termini impropri, dimostrando la mancanza di non saper scrivere in perfetta lingua italiana.

Diritto

4.1. Il primo motivo è inammissibile, perché manifestamente infondato.

Il riferimento, nell’imputazione, al comma 1 dell’art. 594 c.p. costituisce un mero errore materiale, perché in essa si fa riferimento proprio all’offesa mediante l’invio di un fax come previsto dal comma 2 della stessa disposizione normativa.

4.2. La seconda censura è, poi, inammissibile perché generica.

Anche l’interpretazione dell’art. 606, lett. e c.p.p., nella formulazione operata dall’art. 8 della legge n. 46 del 2006 (“mancanza, contraddittorietà o manifesta illogicità della motivazione, quando il vizio risulta dal testo del provvedimento impugnato ovvero da altri atti del processo specificatamente indicati nei motivi di gravame”) che estende il vizio deducibile in sede di legittimità, anche alla contraddizione ad un atto esterno al testo, costituito da un atto del processo e, quindi, anche da un atto probatorio (tra le tante Cass., sez. VI, 24 maggio 2007, n. 24680, Cass., sez. Vi, 28 settembre 2006 n. 35964, Cass., sez. I, 14 luglio 2006, n. 25117, Cass. sez. V, 24 maggio 2006, 36764) richiede che gli atti del processo siano specificatamente indicati e rappresentati.

Nella specie manca la specificità, perché si deduce, ai fini dell’esimente di cui all’art. 599 c.p., che la parte civile avrebbe ammesso che le cavalle avevano contratto alcune patologie, senza specificare quali queste fossero, né da quali atti risultassero. Dette patologie non sono evidenziate dalla sentenza di primo grado, ove si fa riferimento genericamente alle condizioni fisiche in cui gli animali erano stati restituiti, senza ulteriore approfondimento. Non sono stati, inoltre specificatamente indicati e rappresentati gli atti del processo da cui risulterebbe l’ammissione della parte civile.

4.3. È, infine, manifestamente infondato, e quindi, inammissibile il terzo motivo.

Rettamente il giudice dell’appello ha ritenuto che le parole dilettante e ignorante sono state usate insieme in senso spregiativo, perché esse comunemente hanno un tale significato, specialmente quando si vuole evidenziare mancanza di adeguata preparazione in relazione ad attività professionali, come quella esercitata dalla parte offesa, allevatore di cavalli, che richiedono sapere tecnico e cultura. Inoltre, l’accertamento del giudice dell’appello circa la perfetta comprensione della lingua italiana da parte dell’imputata è immune da vizi logici, avendo lo stesso fatto riferimento alla coerenza delle espressioni usate, “dilettante ed ignorante”, con il residuo contenuto del fax e all’interrogatorio della stessa imputata, svoltosi senza necessità di interprete.

Con la memoria si chiede la dichiarazione della prescrizione triennale che sarebbe maturata successivamente alla sentenza di appello. Però, l’inammissibilità del ricorso per cassazione, dovuta alla manifesta infondatezza dei motivi, non consente il formarsi di un valido rapporto di impugnazione e preclude la possibilità di rilevare e dichiarare le cause di non punibilità di cui all’art. 129 c.p.p. nel caso di prescrizione del reato maturata successivamente alla sentenza impugnata con il ricorso (Cass. Sez. Un., 22 novembre 2000, De Luca – Cass., Sez. Un., 22 marzo 2005, n. 23428). Pertanto, il ricorso va dichiarato inammissibile e la F. condannata al pagamento delle spese processuali.

Poi, tenuto conto della sentenza 13/6/2000 n. 186 della Corte Costituzionale e del fatto che non sussistono elementi per ritenere che “la parte abbia proposto ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità”, la ricorrente è tenuta anche al versamento di una somma, in favore della Cassa delle Ammende, determinata, per le ragioni di inammissibilità, nella misura di Euro 1000,00.

PQM

La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali e al versamento in favore della Cassa delle Ammende della somma di euro 1000,00.

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