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Commette il reato di peculato il dipendente pubblico che utilizza per fini personale il computer dell'ufficio

Si configura il reato di peculato, sia in caso danno patrimoniale all'ente pubblico, sia nel caso di violazione del buon andamento degli uffici della pubblica amministrazione, in quanto basato sul rapporto di fiducia e lealtà col personale dipendente. Appare evidente che la mancanza di danno patrimoniale non esclude automaticamente la sussistenza del reato in questione, allorché l'uso del bene pubblico da parte del dipendente che ne abbia la disponibilità sia tale da ledere comunque il buon andamento degli uffici. Fattispecie: utilizzo da parte di un dipendente pubblico, del computer dell'ufficio, per uso personale usufruendo della rete elettrica e informatica del Comune, navigando in internet su siti non istituzionali, scaricando e masterizzando su archivi personali dati e immagini non inerenti alla pubblica funzione. (Corte di Cassazione Sezione 6 Penale
Sentenza del 21 maggio 2008, n. 20326)



- Leggi la sentenza integrale -

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA PENALE

Composta dagli Ill.mi Magistrati:

Dott. AMBROSINI Giangiulio - Presidente

Dott. MANNINO Saverio Feli - Consigliere

Dott. COLLA Giorgio - Consigliere

Dott. ROTUNDO Vincenzo - Consigliere

Dott. MATERA Lina - Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso proposto da:

Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Bari;

nel procedimento nei confronti di:

D'. Ma. Ma., avverso l'ordinanza del Tribunale della citta' in data 21 maggio 2007;

udita la relazione fatta dal Consigliere Dott. COLLA Giorgio;

udito il Procuratore generale nella persona del sostituto Dott. MARTUSCIELLO Vittorio, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

FATTO E DIRITTO

Con l'ordinanza in epigrafe, il Tribunale di Bari, in accoglimento dell'appello proposto da D'.Ma. Ma. nei confronti dell'ordinanza del Tribunale di Trani del 24 aprile 2007, con la quale era stata applicata al medesimo la misura interdittiva della sospensione dall'esercizio del pubblico servizio, revocava l'ordinanza stessa, ritenendo la insussistenza di gravi indizi di colpevolezza e di esigenze cautelari.

All'indagato - dipendente del Comune di (OMESSO) - era stato contestato il reato di peculato perche' si serviva del computer dell'ufficio, cui era collegato un masterizzatore DVD, per uso personale usufruendo della rete elettrica e informatica del Comune: navigava in internet su siti non istituzionali, scaricando su archivi personali dati e immagini non inerenti alla pubblica funzione - prevalentemente materiale di carattere pornografico - con danno economico dell'Ente. Sul computer in questione e sul sopporto esterno, venivano rinvenuti circa 10.000 documenti di cui solo una minima parte di natura lavorativa.

Il Tribunale, nel revocare la misura cautelare, osservava che il reato di peculato tutela il patrimonio della P.A. e che lo stesso non poteva essere depauperato a seguito dei collegamenti in questione di un computer "comunque e sempre collegato alla rete elettrica e telefonica indipendentemente dall'uso e dalla navigazione". Con particolare riferimento al collegamento alla rete elettrica, non si era "indicato il danno patrimoniale", atteso che "i computers sono sempre collegati alla rete elettrica, ne' puo' ritenersi ulteriore consumo di energia elettrica per il fatto che a un computer siano collegate una o piu' periferiche".

II Tribunale disconosceva anche la sussistenza di esigenze cautelari perche' "pur ritenendo un danno patrimoniale per l'ente per la navigazione in internet sino al 2003" (il consulente tecnico aveva accertato che la navigazione in internet si arrestava al giugno 2003) non era ipotizzabile un pericolo di reiterazione "in considerazione della sua illibata personalita' e dell'atteggiamento pacatamente esplicativo tenuto in occasione del suo interrogatoria.

Avverso la predetta ordinanza propone ricorso per cassazione il Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Bari il quale richiama tutta la giurisprudenza di questa Corte di cassazione che ritiene che con il reato di peculato non sia offeso solo il patrimonio dell'ente pubblico, ma anche il buon andamento degli uffici della pubblica amministrazione il quale puo' non essere turbato solo da un uso occasionale della cosa pubblica, ma non in caso di condotta reiterata e consolidata nel tempo. Peraltro, non risultava affatto accertato agli atti del processo se il contratto del Comune con l'ente gestore di internet prevedesse un uso illimitato del servizio con tariffa fissa, circostanza per nulla verificata da parte dei giudici di merito, ma solo supposta. Del tutto inadeguata appariva infine la motivazione sulle esigenze cautelari sopra riportata.

Premesso che l'ordinanza impugnata sembra quasi trascurare la circostanza che la disposizione dell'articolo 314 c.p., oltre a tutelare il patrimonio della pubblica amministrazione mira ad assicurare anche il corretto andamento degli uffici della stessa basato su un rapporto di fiducia e di lealta' col personale dipendente, secondo la costante giurisprudenza di questa Corte, il Tribunale del riesame da per scontato un dato che non emerge affatto dagli atti, cioe' che il computer fosse perennemente collegato alla rete elettrica e telefonica in modo da comportare costi fissi per la pubblica amministrazione indipendente dalla navigazione in internet. Ora, a parte il fatto che tale assunto e' errato per cio' che attiene alla energia elettrica, che viene consumata in quanto l'apparecchio sia acceso, cio' che piu' conta e' che da nessun dato si ricava che il tipo di convenzione con il provider prevedesse un accesso costante al web a un costo fisso anziche' un accesso di volta in volta consentito solo previo contatto telefonico, non occorrendo spendere parole per dimostrare come in questo secondo caso l'indagato si sarebbe appropriato anche delle energie appartenenti all'ente sotto forma di telefonate di volta in volta eseguite per la navigazione in internet per finalita' totalmente estranee alla pubblica funzione (masterizzazione di DVD audio e scaricamento di immagini e di film). L'ordinanza impugnata da la prima ipotersi come appartenente al notorio ma cio' e' del tutto arbitrario, specie in considerazione che tale tipo di convenzione si e' diffusa recentemente, mentre i fatti di cui e' causa risalgono all'anno 2003, onde la questione avrebbe dovuto formare oggetto di dimostrazione precisa. L'ordinanza va quindi annullata in punto di gravi indizi di colpevolezza con rinvio al Tribunale di Bari perche' spieghi non solo per quali motivi ha ritenuto la insussistenza dei gravi indizi del reato solo in relazione al danno cagionato (asseritamene mancante), ma anche da quali dati probatori concreti relativi al caso di specie abbia desunto l'esistenza di un certo tipo di convenzione con l'ente gestore del servizio telefonico.

Ma l'ordinanza impugnata va annullata anche in punto di esigenze cautelari perche' la incensuratezza, considerato il tipo e la reiterazione del reato di specie, non ha un significato decisivo; significato men che meno attribuibile all'"atteggiamento esplicativo" avuto dall'indagato in sede di interrogatorio. Il Tribunale dovra' motivare se sussista un pericolo di reiterazione, tenuto conto del fatto che sono stati trovati sull'apparecchio in questione e sul disco esterno ben 10.000 files, di cui solo una modestissima parte di natura attinente alle funzioni esercitate.

P.Q.M.

Annulla l'ordinanza impugnata e rinvia al Tribunale di Bari per nuovo esame.

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