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Commette reato colui che detiene lire italiane contraffatte
Pubblicata il 07/05/2008
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QUINTA SEZIONE PENALE
Composta dagli Ill.mi sigg.ri:
Dott. Fazzioli Edoardo Presidente
1. dott. Pizzetti Giuseppe Consigliere
2. Dott. Marasca Gennaro consigliere
3. Dott. Nappi Aniello consigliere
4. Dott. Palla Stefano consigliere
Ha pronunciato la seguente
SENTENZA
Sul ricorso proposto da:
1) P.A. n. il 25/02/1975
Avverso sentenza del 19/05/2006
Corte Appello di Firenze
Visti gli atti, la sentenza ed il ricorso
Udita in Pubblica udienza la relazione fatta dal Consigliere
Marasca Gennaro
Udito il Pubblico Ministero in persona del dottor Gianfranco Ciani
Che ha concluso per l'inammissibilità del ricorso;
La corte di Cassazione osserva:
P. A. , che veniva trovato in possesso di banconote da £ 100.000 e £ 10.000 contraffatte, veniva condannato per il reato di cui all'articolo 455 c.p.[1] con il rito abbreviato in entrambi i gradi di merito con sentenza del Tribunale di Pisa del 3 novembre 2004 e della corte di Appello di Firenze del 19 maggio 2006.
Con il ricorso per cassazione il P. deduceva quattro motivi di impugnazione. Con il primo sosteneva che il fatto non costituiva piu' reato perché le lire non avevano piu' corso legale in Italia.
Il motivo è infondato.
Tralasciando molte valide ragioni che si oppongono ad una interpretazione dell'articolo 2 c.p. come quella prospettata dal ricorrente, sarà sufficiente osservare che, come osservato dalla Suprema corte (Cass. Pen., Sez. 1, 6 giugno 2003 – 22 agosto 2003, n. 34695, in CED 225991), le lire italiane conservano, anche se indirettamente, la qualità conferita dall'ordinamento giuridico di mezzo di pagamento con efficacia liberatoria in ragione della legale possibilità, per un periodo decennale, della sua conversione nella nuova valuta riconosciuta dall'ordinamento.
Con il secondo motivo il ricorrente ha riproposto l'eccezione di incompetenza territoriale, già proposta nei precedenti gradi, dovendosi accertare il luogo di acquisto delle monete false ed, in caso di impossibilità, determinarsi la competenza per territorio secondo quanto prescritto dall'articolo 9 comma II c.p.p.
Il motivo non è fondato perché l'articolo 455 c.p. prevede una pluralità di modi di violazione dello stesso precetto previsti in via alternativa e non cumulativa, cosicché è sufficiente per integrare l'elemento oggettivo del reato in discussione anche la semplice detenzione delle monete contraffatte.
Il reato si perfeziona, quindi, con la detenzione delle monete e non appare assolutamente necessario individuare il luogo di acquisto delle stesse.
Nel caso di specie al P. è stata contestata la detenzione delle monete e non l'acquisto delle stesse.
Il reato si consuma nel luogo della detenzione; correttamente, pertanto, è stata individuata la competenza territoriale del Tribunale di Pisa.
Con il terzo motivo di impugnazione il ricorrente si è doluto della violazione dell'articolo 157 comma 8 bis c.p.p. per non essere stato previamente avvertito che la notifica della citazione per l'appello sarebbe potuta avvenire anche con siffatta modalità.
Il motivo non è fondato perché il comma 8 bis dell'articolo 157 c.p.p. stato introdotto dall'articolo 2 del DL 21 febbraio 2005 n. 17 proprio allo scopo di semplificare il sistema delle notificazioni e garantire una ragionevole durata del processo ed esso è applicabile a tutte le ipotesi di notificazione successiva alla prima, non consentendo la lettera della disposizione e la ratio della stessa di restringerne la applicabilità, come pretesto dal ricorrente, soltanto alle ipotesi previsti dai consumi 7 ed 8 dell'articolo 157 c.p.
La norma è immediatamente applicabile a tutti i processi in corso in virtù del principio del tempus regit actum e non è necessario, perché non imposto da nessuna norma di legge, preavvertire l'imputato dell'uso della nuova procedura.
Con un quarto motivo di impugnazione il ricorrente ha dedotto la manifesta illogicità della motivazione perché non sono stati confutati tutti gli argomenti posti dall'appellante a sostegno della richiesta assolutoria.
Il motivo non è fondato perché il giudice deve tener conto degli argomenti difensivi, ma poi, in sentenza, deve indicare le ragioni che legittimano la decisione, dovendosi intendere disattesi tutti gli argomenti incompatibili con la decisione assunta.
La corte di merito ha correttamente spiegato che la mala fede dell'imputato e la destinazione alla spendita delle monete erano desumibili dal numero delle banconote, dal fatto che alcune di esse erano costudite nel portafoglio insieme a quelle non contraffatte, e quindi, pronte all'uso e dalle modalità di occultamento delle altre monete contraffatte nascoste sotto un tappeto, fatto che denota la sicura consapevolezza della falsità delle stesse.
Infine i giudici del merito hanno accertato che gli altri inquilini della casa non avevano alcuna responsabilità, tutta da ricondurre al P.
La motivazione non è censurabile sotto il profilo della legittimità.
Quanto, infine, alla attenuante della speciale tenuità è vero che la Corte di merito non la ha esplicitamente presa in considerazione, ma dal contesto della motivazione, che ha posto in evidenza il numero ed il valore delle banconote contraffatte, è agevole desumere che i giudici di merito non hanno affatto considerato di particolare tenuità il fatto (vede, peraltro, anche Cass. 18.5.1984 u. 7276, RV 165591).
Anche quest'ultimo motivo, è quindi infondato.
Il ricorso deve, pertanto, essere rigettato ed il ricorrente condannato a pagare le spese del procedimento.
P.Q.M.
La corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente a pagare le spese del procedimento.
Così deliberato in camera di Consiglio, in Roma, in data 12 febbraio 2008.
Il consigliere estensore Il Presidente
DEPOSITATA IN CANCELLERIA
IL 27 FEBBRAIO 2008