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Commette reato il genitore che impedisca all'ex coniuge di trascorrere con il figlio il periodo di vacanze stabilito dal giudice

Ai fini della configurabilità del reato di cui all'articolo 388 del Cp, l'elusione dell'esecuzione del provvedimento giurisdizionale adottato in sede di separazione dei coniugi relativamente all'affidamento del figlio minore si realizza anche attraverso la mancata ottemperanza al provvedimento medesimo, giacché «eludere» significa frustrare e rendere vane le legittime pretese altrui e ciò anche attraverso una mera omissione. Da ciò conseguendo che il reato è ravvisabile a carico del genitore affidatario che rifiuti di far sì che il minore trascorra con l'altro genitore il periodo di vacanza prestabilito, trattandosi di comportamento violativo del dovere del genitore affidatario di favorire, a meno che sussistano contrarie indicazioni di particolare gravità, il rapporto del figlio con l'altro genitore, perché entrambe le figure genitoriali sono centrali e determinanti per la crescita equilibrata del minore. Né, in senso contrario, potrebbe valere la pretesa indisponibilità del bambino, trattandosi di situazione che, laddove reale, avrebbe dovuto essere rappresentata tempestivamente alla competente autorità giudiziaria per gli opportuni provvedimenti.

Corte di Cassazione Sezione 6 Penale Corte di Cassazione Sezione 6 Penale, Sentenza del 8 luglio 2009, n. 27995



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REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DE ROBERTO Giovanni - Presidente

Dott. SERPICO Francesco - Consigliere

Dott. MILO Nicola - Consigliere

Dott. LANZA Luigi - Consigliere

Dott. FAZIO Anna Maria - Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso proposto da:

1) FI. LI. N. IL (OMESSO);

avverso SENTENZA del 23/11/2005 CORTE APPELLO di PALERMO;

visti gli atti, la sentenza ed il ricorso;

udita in PUBBLICA UDIENZA la relazione fatta dal Consigliere Dott. MILO NICOLA;

udito il P.G. in persona del Dott. Selvaggi E. che ha concluso per l'inammissibilita' del ricorso;

udito il difensore avv. Rubero S. che ha concluso per l'accoglimento del ricorso.

FATTO E DIRITTO

1- Il Tribunale di Agrigento - sezione di Canicatti'-, con sentenza 22/3/2005, dichiarava Fi.Li. colpevole del reato di cui all'articolo 388 c.p. (per avere eluso il provvedimento del giudice civile in ordine all'affidamento del figlio minore An. , impedendo al padre, La.Gi. , di tenerlo con se' nel periodo stabilito) e la assolveva dal reato di tentata violenza privata (per avere tentato di costringere il marito, con la minaccia di non fargli vedere il figlio, a corrispondergli l'assegno mensile stabilito in sede di separazione) perche' il fatto non sussiste.

2- La Corte d'Appello di Palermo, investita dai gravami dell'imputata e del P.G., con sentenza 23/11/2005, riformando in parte la decisione di primo grado, dichiarava la Fi. colpevole anche di tentato esercizio arbitrario delle proprie ragioni (articolo 393 c.p.), cosi' qualificata l'originaria imputazione ex articoli 56 e 610 c.p., unificava i due reati sotto il vincolo della continuazione, rideterminava la pena, tenuto conto delle gia' concesse attenuanti generiche, in giorni venti di reclusione, sostituiti con euro 760,00 di multa, e confermava nel resto la pronuncia impugnata.

3- Ha proposto ricorso per cassazione l'imputata, lamentando la violazione della legge penale e il vizio di motivazione:

a) quanto al reato di cui all'articolo 388 c.p., ha stigmatizzato lo scarso interesse del La. ad intrattenere rapporti significativi col figlio, tanto che quest'ultimo, a lei affidato, non aveva dimostrato alcuna disponibilita' ad allontanarsi, nel mese di (OMESSO), dal suo ambiente abituale, sicche' la scelta da lei fatta era stata determinata dalla sola ragione di evitare un trauma al bambino;

b) quanto al reato di cui agli articoli 56 e 393 c.p., nessuna prova affidabile era stata acquisita.

Il ricorso non e' fondato.

Rileva la Corte, in ordine alla prima doglianza, che l'elusione dell'esecuzione del provvedimento giurisdizionale adottato in sede di separazione dei coniugi si realizza anche attraverso la mancata ottemperanza al provvedimento medesimo. "Eludere", infatti, significa frustrare, rendere vane le legittime pretese altrui e cio' anche attraverso una mera omissione, che, nella specie, e' consistita nel rifiuto della Fi. , alla quale era affidato il bambino, di far si' che lo stesso trascorresse col padre il periodo di vacanza prestabilito. L'asserito esercizio del diritto-dovere di avere agito esclusivamente nell'interesse del minore, che avrebbe manifestato indisponibilita' ad allontanarsi, sia pure temporaneamente, dal suo ambiente abituale, e' rimasto indimostrato. Non va, peraltro, sottaciuto che rientra nei doveri del genitore affidatario quello di favorire, a meno che sussistano contrarie indicazioni di particolare gravita' il rapporto del figlio con l'altro genitore, e cio' proprio perche' entrambe le figure genitoriali sono centrali e determinanti per la crescita equilibrata del minore. L'ostacolare gli incontri tra padre e figlio, fino a recidere ogni legame tra gli stessi, puo' avere effetti deleteri sull'equilibrio psicologico e sulla formazione della personalita' del secondo.

Non risulta che la Fi. si sia mossa nella direzione che il suo dovere di madre, a prescindere da spinte egoistiche, le imponeva a tutela della posizione del figlio, ne' risulta una situazione che rendeva impraticabile l'affidamento, sia pure temporaneo, del minore al padre, situazione che, peraltro, se reale, avrebbe dovuto essere rappresentata tempestivamente alla competente Autorita' Giudiziaria per gli opportuni provvedimenti.

La seconda censura e' assolutamente generica e non idonea a porre in crisi gli argomenti che il Giudice a quo ha posto a base del ritenuto reato di cui agli articoli 56 e 393 c.p., provato dalla precisa e attendibile testimonianza del La. , destinatario della telefonata ricattatoria da parte della moglie, che, per indurlo a rispettare piu' puntualmente i suoi obblighi di natura economica, aveva minacciato di ostacolare in ogni modo gli incontri tra padre e figlio, circostanza quest'ultima che rappresenta - tra l'altro - una ulteriore conferma della fondatezza del primo capo d'accusa.

Il ricorso deve, pertanto, essere rigettato. Consegue, di diritto, la condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali.
 

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