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Commette reato il vigile urbano che non esegue le disposizioni impartitegli dal superiore gerarchico

Si rende colpevole del reato di cui all'articolo 329 c.p., il vigile urbano che si rifiuta di obbedire agli ordini impartitigli dal superiore gerarchico, comandante del corpo di appartenenza, di instaurare un posto di controllo della circolazione stradale e di eseguire sopralluoghi per la verifica di regolarita' presso centri di attivita' artigianale. (Corte di Cassazione Sezione 6 Penale, Sentenza del 28 settembre 2009, n. 38119)



- Leggi la sentenza integrale -

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DE ROBERTO Giovanni - Presidente

Dott. MANNINO Saverio Felic - Consigliere

Dott. LANZA Luigi - Consigliere

Dott. CORTESE Arturo - Consigliere

Dott. CITTERIO Carlo - Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso proposto da:

(OMESSO) nata il (OMESSO);

Avverso la sentenza della Corte d'appello di Brescia 12 marzo 2007 n. 486;

Sentita la relazione svolta dal Cons. Dott. S. F. Mannino;

Sentita la requisitoria del PROCURATORE GENERALE, in persona del Dott. Tindari Baglione, il quale ha concluso per il rigetto del ricorso;

Sentita l'arringa del difensore, Avv. BALLERIO ANTONIO, il quale ha chiesto l'accoglimento.

Osserva:

IN FATTO E DIRITTO

Con sentenza del 20 giugno 2005 n. 2419 il Tribunale di Brescia dichiarava (OMESSO) colpevole del reato previsto dall'articolo 81 c.p., comma 2, articolo 61 c.p., n. 9, e articolo 329 c.p., commesso in (OMESSO), perche' nella sua qualita' di agente municipale, comandava di servizio il giorno (OMESSO) per effettuare un posto di controllo in via (OMESSO), dichiarava esplicitamente che non l'avrebbe fatto e abbandonava il servizio senza giustificato motivo; inoltre, comandata di servizio il giorno (OMESSO) per effettuare due sopralluoghi presso attivita' artigiane del luogo, rifiutava di adempiervi e si allontanava dall'ufficio senza giustificato motivo; e la condannava, con le attenuanti generiche prevalenti sull'aggravante contestata, alla pena di due mesi e quindici giorni di reclusione, sostituita con la corrispondente sanzione pecuniaria di euro 2.850,00 di multa.

Avverso la sentenza proponeva appello il difensore dell'imputata, chiedendone l'assoluzione, e, in subordine, l'eliminazione dell'aggravante, gia' presente come elemento costitutivo del reato, e la riduzione della pena.

Con sentenza del 12 marzo 2007 n. 486 la Corte d'appello di Brescia, in parziale riforma della sentenza impugnata, escludeva la contestata aggravante dell'articolo 61 c.p., n. 9, confermando nel resto.

Avverso la sentenza di appello la (OMESSO) ha proposto ricorso per cassazione, chiedendone l'annullamento per i seguenti motivi:

1. contraddittorieta' e manifesta illogicita' della motivazione (articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera e)) in ordine alla palese reticenza delle testimonianze dei colleghi dell'imputata e alla ricostruzione dell'episodio e alla parte avutavi dalla reazione irosa del Comandante, e alla valutazione del certificato medico, confermato da quello del medico fiscale e dai successivi controlli medico - legali, che hanno confermato la diagnosi di agorafobia e la conseguente incapacita' di svolgere determinati tipi di lavoro;

2. erronea applicazione dell'articolo 329 c.p., (articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera b) perche' non ogni rapporto fra l'agente della Forza Pubblica e l'Autorita' competente puo' essere ricondotto alla tutela della norma, ma solo quelli in cui l'agente e' richiesto di esercitare i poteri caratterizzanti, di coercizione diretta di persone e cose ai fini della tutela dell'azione e della sicurezza pubblica, che nella specie mancavano perche' gli ordini impartiti riguardavano un controllo della circolazione stradale e un sopralluogo su attivita' commerciali, in relazione ai quali il ricorso ai poteri d'imperio e di coercizione erano solo potenziali, con conseguente insussistenza del presupposto che qualifica il rapporto gerarchico oggetto della tutela normativa.

L'impugnazione e' infondata.

La sentenza impugnata riepiloga i termini della vicenda sottoposta alla cognizione del Giudice d'appello partendo dall'esposto di (OMESSO), gia' comandante della Polizia Municipale di (OMESSO), il quale - dopo aver segnalato gli screzi verificatisi fra lui e la vigile (OMESSO) che non intendeva svolgere esercizi esterni e aspirava a cambiare ufficio, e la propria richiesta all'Amministrazione comunale di cambiare funzioni assegnate alla (OMESSO) o di procedesse disciplinarmente nei confronti della stessa - aveva riferito che quest'ultima l'(OMESSO), richiesta di eseguire un controllo stradale insieme con la sua collega (OMESSO) si era rifiutata e se n'era andata dall'ufficio sbattendo la porta, sicche' il servizio era stato svolto dall'altra Vigile e dal Comandante.

Successivamente - aveva aggiunto il Comandante - il (OMESSO) la (OMESSO) richiesta di eseguire un controllo su attivita' artigianali, si era rifiutata, affermando che non avrebbe eseguito ordini che qualificava come cazzate. Solo piu' tardi aveva presentato certificati medici relativi alla patologia detta agorafobia, di cui la stessa era sofferente.

Di seguito la sentenza impugnata passa in rassegna la versione dei fatti opposta dall'imputata, la quale, in ordine al primo episodio, ha solo obiettato di aver chiesto unicamente il permesso di andare in bagno, dopo che il Comandante l'aveva aggredita in termini molto pesane; poi si era attardata per consentire a una signora di pagare una "contravvenzione" e, avendo visto che nel frattempo il Comandante allontanarsi in bicicletta, si era recata dal Sindaco che l'aveva autorizzata a compiere altre operazioni.

Il Giudice d'appello ha tracciato, inoltre, un bilancio delle prove acquisite e, in particolare, delle deposizioni testimoniali assunte, osservando come dai testi siano venute notizie vaghe ed evasive - con reticenza ritenuta attribuibile piuttosto al rapporto attuale di colleganza con la (OMESSO) che all'influenza del (OMESSO) che non era piu' al suo posto, del quale nessuno dei testimoni aveva messo in discussione correttezza e credibilita' - con conferma da parte di due di loro (OMESSO) ed (OMESSO), di aver sentito in epoca imprecisata, dire dalla (OMESSO) che avrebbe eseguito un ordine dopo essere andata in bagno e da uno di loro ((OMESSO)) che successivamente, essendosi il Comandante allontanato, si doveva recarsi dal sindaco.

Le conclusioni, sui si e' pervenuti in sede di merito, della veridicita' della versione accusatoria, appare logicamente conseguente all'analisi critica svolta, a seguito della quale emerge che la giustificazione offerta dall'imputata in ordine al primo episodio appare in realta' inconsistente, in quanto la stessa, lungi dall'eseguire l'ordine, aveva tergiversato finche' era data dal sindaco a farselo revocare.

E lo stesso puo' dirsi della giustificazione del secondo episodio in quanto il certificato dell'agorafobia e' giunto successivamente e il disturbi certificato non aveva in precedenza determinato problemi sull'esecuzione dei servizi esterni da parte dell'imputata.

Di conseguenza il vizio di motivazione dedotto col primo motivo d'impugnazione appare infondato.

Lo stesso deve dirsi del secondo motivo.

Secondo l'orientamento giurisprudenziale in materia sono da considerare soggetti attivi del reato di cui all'articolo 329 c.p., da un lato, i militari, dall'altro lato, gli agenti della forza pubblica, comprendendo in tale categoria gli agenti di pubblica sicurezza, i carabinieri, le guardie di finanza, i vigili del fuoco, gli agenti di custodia e le persone ad essi equiparate, nonche' tutti quegli organismi pubblici non militarizzati i cui dipendenti sono investiti di potesta' di coercizione diretta sulle persone e sulle cose ai fini dell'ordine e della sicurezza pubblica (Sez. 6, 5 dicembre 1986, D'Ascoli).

L'inserimento degli appartenenti alla polizia municipale nella categoria degli agenti della forza pubblica (meglio, nella categoria degli agenti di polizia giudiziaria) e' stato affermato dalla giurisprudenza, sia pure a fini diversi dall'applicazione dell'articolo 329 c.p..

Secondo tale linea interpretativa il vigile urbano ha la qualita' di agente di polizia giudiziaria a norma della Legge 7 marzo 1986, n. 65, articolo 5, che attribuisce simile qualita' al personale che svolge servizio di polizia municipale nell'ambito del territorio dell'ente di appartenenza e nei limiti delle proprie attribuzioni esercita anche funzioni di ufficiale di polizia giudiziaria il responsabile del servizio o del corpo degli addetti al coordinamento ed al controllo (Sez. 1, 30 ottobre 1992, Pignatiello).

Pertanto il c.d. rifiuto di obbedienza di cui all'articolo 329 c.p., ha come destinatari, i militari e gli agenti della forza pubblica (una nozione, quest'ultima, che non coincide con quella di agenti della polizia giudiziaria, perche' la qualita' di agente della forza pubblica impone che il soggetto sia investito di un potere di coercizione diretta su persone o cose ai fini di tutela dell'ordine o della sicurezza pubblica; coerentemente, dunque, anche alla luce dei profili teleologici a base della norma in esame, assume rilievo esponenziale il potere coercitivo cosi' da escludere la sussistenza del reato tutte le volte che la condotta omissiva riguardi l'espletamento di un'attivita' meramente amministrativa (arg. da Sez. 6; 19 giugno 2000, Grech).

La qualita' soggettiva di agente della forza pubblica assume, allora, ai fini della qualificazione del fatto nell'ambito dell'ipotesi di reato in esame, una duplice significazione; da un lato sta a designare una soggettivita' piu' ampia rispetto a quella propria dell'agente di polizia giudiziaria; dall'altro lato, acquistando rilevanza esclusiva il profilo funzionale, richiede che - sempre avendo di mira gli scopi perseguiti dall'articolo 329 c.p. - quale condizione ineludibile che l'atto oggetto del rifiuto di obbedienza si incentri sul mancato esercizio di poteri coercitivi (Cass., Sez. 6, 13 ottobre 2005 n. 5393, ric. Tobia).

Con l'ulteriore specificazione che l'articolo 329 c.p., per quel che attiene l'elemento materiale del reato, considera come fatto punibile il rifiuto di obbedienza agli ordini emanati dalle competenti autorita' e quindi si riferisce, quanto agli agenti della forza pubblica non militarizzata, sia dagli orini impartiti da autorita' civili non sovraordinate (es: i giudici ex articolo 220 c.p.p.) sia ai superiori gerarchi ai quali il relativo potere e' riconosciuto dai singoli ordinamenti interni (Cass., Sez. 6, 5 dicembre 1986 n. 4259, ric. Dascola).

Tra poteri coercitivi, intesi come caratterizzati dal legittimo uso della forza in funzione del conseguimento di finalita' di natura pubblica precisamente determinate, rientrano quelli connessi con i settori della pubblica amministrazione riservati per legge alla competenza dei vigili urbani e inerenti alla funzione istituzionale loro propria, e, in particolare, quelli relativi alla disciplina della circolazione stradale ed al controllo della regolarita' degli esercizi commerciali.

Pertanto si rende colpevole del reato di cui all'articolo 329 c.p., il vigile urbano che si rifiuta di obbedire agli ordini impartitigli dal superiore gerarchico, comandante del corpo di appartenenza, di instaurare un posto di controllo della circolazione stradale e di eseguire sopralluoghi per la verifica di regolarita' presso centri di attivita' artigianale.

La decisione impugnata si e' correttamente uniformata ai principi suesposti ed e' percio' immune dalla violazione di legge dedotta col secondo motivo di ricorso.

Pertanto il ricorso dev'essere rigettato.

Segue per legge la condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali.

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