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Commette violenza sessuale il mago che costringe la vittima a compiere atti sessuali con la promessa di scacciare in questo modo gli spiriti maligni

Induzione un individuo a compiere atti sessuali con la promessa così di scacciare gli spiriti maligni integra il reato di violenza sessuale anche se sussiste il consenso della vittima, in quanto detto consenso deve ritenersi viziato dalla condizione di inferiorità psichica della stessa, che non significa esistenza di una patologia mentale "essendo ben riferibile a fattori di natura diversa, anche ambientale, connotati da tale consistenza ed incisivita' da viziare il consenso all'atto sessuale della persona offesa (vedi Cass., Sez. 3, 20.10.1994, n. 10804, Masi ed altri). E' sufficiente che il soggetto passivo versi in condizioni intellettive e spirituali di minore resistenza atta altrui opera di coazione psicologica o di suggestioni, condizioni pure dovute ad un limitato processo evolutivo mentale e culturale, esclusa ogni causa propriamente morbosa: situazioni psichiche siffatte devono ritenersi idonee ad elidere comunque, in tutto o in parte, la un valido consenso, si' da impedirle di respingere."
E' quanto stabilito dalla Corte di Cassazione con sentenza n. 33761 del 3 settembre 2007.



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SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

La Corte di Appello di Firenze, con sentenza del 5.5.2005, confermava la sentenza 17.3.2003 del Tribunale di Arezzo, che aveva affermato la responsabilita' penale di Ve. Ia. in ordine ai reati di cui:

- all'articolo 609 bis c.p., comma 1 e comma 2, n. 1, perche', abusando delle condizioni di inferiorita' psichica in cui si trovava Ce. Fi., la costringeva a compiere ed subire atti sessuali culminati con un rapporto sessuale completo e cio' avendola persuasa che si trattava di una pratica necessaria per scacciare gli spiriti maligni ed il malocchio che incombevano su di lei - in (OMESSO); - all'articolo 521 c.p., in relaz. all'articolo 519 c.p., comma 2 - nn. 1 e 3, perche', approfittando delle condizioni di inferiorita' psichica di Me.Ka. (all'epoca non ancora quattordicenne), a lui condotta per motivi di salute dalla madre di lei, che lo riteneva un santone guaritore, la costringeva a compiere ed subire atti sessuali - in (OMESSO) e, unificati i delitti medesimi nel vincolo della continuazione ex articolo 81 cpv. cod. pen., lo aveva condannato, con la contestata recidiva, alla pena principale complessiva di anni sei e mesi due di reclusione, ed alle pene accessorie di legge, nonche' al risarcimento dei danni morali (liquidati equitativamente in euro 20.000,00) in favore della Ce., costituitasi parte Civile.

Avverso tale Sentenza ha proposto ricorso il difensore del Ve., il quale - sotto i profili della violazione di legge e del vizio di motivazione - ha eccepito:

- la insussistenza dell'elemento materiale del reato contestato in danno della Ce., per carenza di una situazione di abuso delle condizioni di inferiorita' psichica della donna;

- la mancanza assoluta di prove in ordine al reato contestato in danno della Me., in quanto la Corte di merito si sarebbe limitata "a riprodurre il contenuto della sua dichiarazione, senza neppure sforzarsi di enunciare le ragioni della sua attendibilita' ed il rinvenimento di ulteriori elementi atti a confermarne la credibilita' oggettiva";

- la mancata giustificazione del trattamento sanzionatorio.

MOTIVI DELLA DECISIONE

Il ricorso deve essere rigettato, perche' infondato.

1. Quanto alla prima doglianza, va ribadita la giurisprudenza costante di questa Corte Suprema, secondo la quale, in tema di violenza sessuale in danno di persona che si trovi in stato di inferiorita' psichica o fisica ex articolo 609 bis c.p., comma 2, n. 1, la disciplina posta dalla Legge n. 66 del 1996 - a differenza di quella previgente, dettata dall'abrogato articolo 519 cod. pen., per il quale la violenza carnale eta', presunta per il solo fatto che l'agente si fosse consapevolmente congiunto con persona infraquattordicenne, ovvero malata di mente o psichicamente inferiore - in linea con l'intenzione del legislatore di assicurare pure ai soggetti in condizioni di inferiorita' psichica una sfera di estrinsecazione della loro individualita', anche sotto il profilo sessuale, purche' manifestata in un clima di assoluta liberta', ha inteso punire soltanto le condotte consistenti nell'induzione all'atto sessuale mediante abuso delle suddette condizioni di inferiorita'.

L'induzione si realizza quando, con un'opera di persuasione spesso sottile o subdola, l'agente spinge o convince la persona che si trovi in stato di inferiorita' a sottostare ad atti che diversamente non avrebbe compiuto.

Non e' necessario che l'induzione determini un inganno della vittima, essendo sufficiente anche un'opera di persuasione sottile o subdola che convinca il soggetto a compiere o subire l'atto sessuale (vedi Cass., Sez. 3 7.9.2005, n. 32971, Marino).

L'abuso, a sua volta, si verifica quando le condizioni di menomazione sono strumentalizzate per accedere alla sfera intima della persona che, versando in situazione di difficolta', viene ad essere ridotta al rango di un mezzo per il soddisfacimento della sessualita' altrui (vedi Cass., Sez. 3 : 11.12.2003, n. 47453, Ungaro; 11.10.1999, n. 11541, Bombaci ed altri; 15.2.1997, n. 4114, Pennese).

Sussiste, dunque, un consenso della vittima all'atto sessuale, ma esso e' viziato dalla condizione di inferiorita' e dalla strumentalizzazione di detta condizione: e', pertanto, dovere del giudice espletare un'indagine adeguata per verificare se l'agente abbia avuto la Consapevolezza non soltanto delle minorate condizioni del soggetto passivo ma anche di abusarne per fini sessuali.

Nel caso in esame i giudici del merito hanno accertato che l'imputato gestiva un centro per fenomeni paranormali.

La Ce. versava in grave stato di depressione ansiosa ed era stata curata con psicofarmaci che non avevano sortito alcun effetto (la donna ha riferito che aveva perduto piu' di dieci chili di peso corporeo, che non aveva appetito e non riusciva a dormire) : trovandosi in tale stato, si era radicata in lei la convinzione che la sua prostrazione psicologica fosse imputabile ad un sortilegio da attribuire alle sorelle ed alla madre.

Ella si era percio' recata nello studio del Ve., il quale aveva puntualmente confermato i suoi timori e - asseritamente per compiere una pratica necessaria al fine di allontanare gli spiriti maligni, che non avrebbe costituito "tradimento" del marito - l'aveva dapprima palpeggiata in tutto il corpo e baciata anche sulla bocca, le aveva imposto poi di toccargli gli organi genitali, ponendo in essere, infine, una penetrazione completa, nonostante la donna piangesse manifestando il suo diniego.

L'uomo le aveva consegnato, quindi, un sacchetto contenente del sale ed un sasso, raccomandandole di spargere il primo ai quattro angoli della Casa e di mettere il secondo sotto il materasso all'altezza della testa; le aveva prospettato, inoltre, la necessita' di un'altra seduta, invitandola a portare anche la figlia.

La Ce. si era recata poi presso l'ospedale di (OMESSO), ove i sanitari avevano riscontrato una lieve irritazione imenale.

Le condotte dianzi descritte - per le condizioni della vittima, integranti ad evidenza uno stato di "inferiorita' psichica" - appaiono indubbiamente idonee a configurare la "induzione" richiesta dalla norma incriminatrice, stante la idoneita' delle affabulazioni di un maleficio in atto (da contrastare con indispensabili riti esoterici) a coartare la volonta' della vittima o comunque a persuaderla.

La situazione di inferiorita' psichica, ancorche' non certificata da documentazione sanitaria, risulta palesata dalla convinzione, dichiarata dalla medesima, che i suoi malori fossero da attribuire ad un qualche sortilegio dei suoi stretti familiari, convinzione questa avvalorata dall'ambiente e dal contesto parentale nei quali la donna era inserita.

La condizione di inferiorita' psichica prevista all'articolo 609 bis cod. pen., comma 2, n. 1, infatti, prescinde da fenomeni di patologia mentale, essendo ben riferibile a fattori di natura diversa, anche ambientale, connotati da tale consistenza ed incisivita' da viziare il consenso all'atto sessuale della persona offesa (vedi Cass., Sez. 3, 20.10.1994, n. 10804, Masi ed altri). E' sufficiente che il soggetto passivo versi in condizioni intellettive e spirituali di minore resistenza atta altrui opera di coazione psicologica o di suggestioni, condizioni pure dovute ad un limitato processo evolutivo mentale e culturale, esclusa ogni causa propriamente morbosa: situazioni psichiche siffatte devono ritenersi idonee ad elidere comunque, in tutto o in parte, la un valido consenso, si' da impedirle di respingere.

I giudici del merito, nella vicenda in esame, hanno valutato con motivazione adeguata le condizioni psichiche del soggetto passivo al momento del fatto ed hanno altresi' razionalmente argomentato in ordine alla consapevolezza, da parte dell'agente, di tale particolare stato psichico.

2. Con riferimento, poi, agli atti sessuali in danno di Me. Ka. - condotta anch'essa presso il Ve. dalla madre (Fo.An., cognata della Ce.), allorquando non aveva ancora 14 anni, nell'aspettativa della risoluzione di problemi di salute - va rilevato che, secondo la giurisprudenza di questa Corte Suprema, in tema di valutazione probatoria, la deposizione della persona offesa dal reato, anche se quest'ultima non e' equiparabile al testimone estraneo, puo' tuttavia essere, anche da sola e senza necessita' di riscontri esterni, assunta come fonte di prova, ove venga sottoposta ad un'accurata indagine positiva sulla credibilita' soggettiva ed oggettiva di chi l'ha resa (vedi, ad esempio, Cass.: Sez. 3, 23.5.2003, n. 22848; Sez. 5, 1.6.1999, n. 6910).

Un'indagine siffatta, nella fattispecie in esame, risulta correttamente effettuata ed esaurientemente motivata, poiche' i giudici di merito hanno sottoposto ad un controllo rigoroso le dichiarazioni accusatorie provenienti dalla parte lesa (ormai quasi ventenne al momento in cui ha reso la sua deposizione) ed hanno riconosciuto credibilita' alle stesse con argomentazioni assolutamente razionali, individuando elementi di conferma sia nella deposizione della sorella Ma. (con la quale ella si era immediatamente confidata) sia nella circostanza che, gia' all'epoca dei fatti, Ka., benche' ancora bambina, non aveva avuto remore a rappresentare il suo disagio, rifiutando di recarsi nuovamente presso l'imputato.

3. Il trattamento sanzionatorio non costituiva oggetto dei motivi di appello e la pena, comunque, risulta determinata con corretto riferimento alla gravita' oggettiva delle vicenda ed alla personalita' dell'imputato.

4. Al rigetto del ricorso segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.

la Corte Suprema di Cassazione, visti gli articoli 607, 615 e 616 c.p.p., rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

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