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Costituisce condotta penalmente rilevante qualsiasi attività non autorizzata di coltivazione di marjuana

Costituisce condotta penalmente rilevante qualsiasi attività non autorizzata di coltivazione di piante dalle quali sono estraibili sostanze stupefacenti, anche quando sia realizzata per la destinazione del prodotto a uso personale. (Corte di Cassazione Sezioni Unite Penale, Sentenza del 10 luglio 2008, n. 28605)



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REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE UNITE PENALI

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CARBONE Vincenzo - Presidente

Dott. FAZZIOLI Edoardo - Consigliere

Dott. LATTANZI Giorgio - Consigliere

Dott. CALABRESE Renato Luigi - Consigliere

Dott. AGRO' Antonio Stefan - Consigliere

Dott. GIRONI Emilio Giovann - Consigliere

Dott. CANZIO Giovanni - Consigliere

Dott. FIALE Aldo - rel. Consigliere

Dott. MACCHIA Alberto - Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso proposto da:

DI. SA. Vi., nato a (OMESSO);

avverso la sentenza 5.12.2003 della Corte di Appello di Milano;

visti gli atti, la sentenza impugnata ed il ricorso;

Udita, in pubblica udienza, la relazione fatta dal Consigliere Dr. Aldo Fiale;

Udito il Pubblico Ministero, in persona dell'Avvocato Generale Dr. Esposito Vitaliano, il quale ha concluso per l'annullamento senza rinvio della sentenza impugnata, perche' il fatto non e' previsto dalla legge come reato.

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

La Corte di Appello di Milano, con sentenza del 5 dicembre 2003, ha confermato la sentenza resa in data 25.3.2003 dal Tribunale di Vigevano in composizione monocratica, che aveva dichiarato Di. Sa. Vi. colpevole del reato di cui:

- al Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 73 commi 1 e 4, (perche', senza l'autorizzazione di cui all'articolo 17, coltivava n. 7 piante di cannabis indica con titolo medio dello 0,21% pari a grammi 2,13 di principio attivo puro - acc. In (OMESSO)) e lo aveva condannato - ritenuta l'ipotesi di cui al Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 73 comma 5, e previo riconoscimento di circostanze attenuanti generiche prevalenti sulla contestata recidiva - alla pena, condizionaimente sospesa, di mesi quattro di reclusione ed euro mille di multa, disponendo la confisca e distruzione di quanto in sequestro.

Le piante tratte in sequestro erano risultate di cannabis e l'imputato aveva ammesso il fatto, precisando che il raccolto era destinato al suo esclusivo uso personale.

In punto di diritto, la Corte meneghina ha osservato che il reato contestato ha natura di reato di pericolo, alla cui configurabilita' non osta l'eventuale insufficiente grado di tossicita' del raccolto (precisando, peraltro, che nel caso di specie "la sostanza era idonea ed aveva efficacia drogante anche se nel momento del sequestro le piante non erano in piena maturazione"), ne' la dimensione ridotta (domestica) della coltivazione ("tale reato non puo' essere escluso nel caso di coltivazione limitata in quanto trattasi di reato di pericolo che si perfeziona con la coltivazione volontariamente attuata dall'imputato per consumo proprio e forse di altri in quanto non e' provato che fosse solo destinata ad uso personale. Non puo' considerarsi semplice detenzione per uso personale in quanto trattasi di coltivazione destinata anche a terzi, anche se di modesta quantita'").

Avverso tale sentenza l'imputato ha proposto tempestivo ricorso per cassazione, deducendo:

- inosservanza o erronea applicazione della legge penale o di altre norme giuridiche di cui si deve tener conto nell'applicazione della legge penale (articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera c).

Il ricorrente, in particolare, prospetta che la condotta accertata non costituirebbe una "coltivazione" in senso tecnico, perche' rudimentale e limitata ad un numero esiguo di piante con destinazione all'uso personale, in difetto della prova (che sarebbe stato onere del P.M. fornire) di una destinazione diversa, e comunque che la totale assenza di principio attivo rinvenuto nella sostanza sequestrata farebbe escludere la sussistenza del reato contestato.

Tali rilievi indurrebbero a ritenere l'inidoneita' della condotta accertata a porre in pericolo il bene tutelato penalmente dal Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990 sicche' residuerebbe il mero illecito amministrativo ex Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990 articolo 75.

Il coordinatore dell'Ufficio esame preliminare dei ricorsi ha rilevato che, in merito alla configurabilita' del delitto contestato all'imputato, sussiste un persistente contrasto giurisprudenziale e, conseguentemente, ha trasmesso il ricorso al Primo Presidente a norma dell'articolo 618 c.p.p..

Il Primo Presidente ha assegnato il ricorso alle Sezioni Unite penali, fissando per la trattazione l'odierna udienza pubblica.

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. La questione controversa sottoposta all'esame delle Sezioni Unite consiste nello stabilire "se la condotta di coltivazione di piante, dalle quali sono estraibili sostanze stupefacenti, sia penalmente rilevante anche quando sia realizzata per destinazione del prodotto ad uso personale".

2. In relazione a tale questione esiste effettivamente un contrasto nella giurisprudenza di legittimita'.

2.1 L'orientamento prevalente ritiene che la coltivazione di piante da cui possono ricavarsi sostanze stupefacenti sia penalmente illecita, quale che sia la destinazione del raccolto.

La destinazione ad uso personale non puo' assumere alcun rilievo, sia perche' difetta il nesso di immediatezza della coltivazione con l'uso personale, sia perche' non puo' determinarsi a priori la potenzialita' della sostanza stupefacente ricavabile (vedi Cass., Sez. 4, 23.3.2006, n. 10138, Colantoni).

In tal senso - all'esito del referendum abrogativo del 1993 - si e' pronunciata, per la prima volta, la Sez. 4 con la sentenza 5.5.1995, n. 913, P.G. in proc. Paoli, affermando il principio secondo il quale "l'attivita' di coltivazione costituisce reato a prescindere dall'uso che il coltivatore intende fare della sostanza ricavabile, dal momento che la coltivazione e la detenzione costituiscono due condotte del tutto distinte e il Decreto del Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990, n. 309, articolo 75, come modificato dal Decreto del Presidente della Repubblica 5 giugno 1993, n. 171 in applicazione dell'esito del referendum, non fa alcun riferimento all'attivita' di coltivazione" (principio ribadito dalla stessa Sez. 6, con le sentenze 5.1.1997, n. 100, Garcea e 5.4.2000, n. 4209, P.G. in proc. Reile).

Ai fini della verifica circa la sussistenza del reato di coltivazione abusiva non rilevano la quantita' e qualita' delle piante, la loro effettiva tossicita' o la quantita' di sostanza drogante da esse estraibile, poiche' la previsione incriminatrice e' rivolta a vietare la produzione di specie vegetali idonee a produrre l'agente psicotropo, indipendentemente dal principio attivo estraibile (Cass., Sez. 4, 29.9.2004, n. 46529, Aspri ed altro).

La modesta estensione della coltivazione, la qualita' delle piante ed il loro grado di tossicita' possono al piu' rilevare solo ai fini della considerazione della gravita' del reato e della commisurazione della pena (vedi Cass.: Sez. 4, 6.2.2004, n. 4836, Felsini e Sez. 6, 9.6.2004, n. 31472, De Rimini).

Ancora la 4 Sezione, con la sentenza 5.2.2001, n. 4928, Croce, ha osservato che il differente trattamento riservato alla coltivazione rispetto alla mera detenzione si fonda sulla valutazione di maggiore pericolosita' ed offensivita' insita nell'essere la coltivazione, la produzione e la fabbricazione di sostanze stupefacenti (sempre penalmente sanzionate ancorche' non qualificate da una precisa finalita' di commercio) attivita' che sono tutte rivolte alla creazione di nuove disponibilita', con conseguente pericolo di circolazione e diffusione delle droghe nel territorio nazionale e rischio per la pubblica salute e incolumita'.

Il legislatore - delimitando i confini della liceita' giuridica in base al criterio dell'impiego dello stupefacente per il proprio esclusivo bisogno soltanto a quelle determinate forme di condotta che sono menzionate nel Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 75 del (le quali, se connotate dal fine di uso personale della sostanza, restano fuori dal campo di repressione penale) - non ha voluto sottrarre alla generale disciplina proibizionistica il tatto di chi, invece, coltiva e fabbrica la droga e cio' allo scopo di colpire, in vista della tutela di superiori interessi collettivi, una delle fonti di produzione delle sostanze, indipendentemente dall'accertamento dell'esclusivita' della destinazione all'uso personale che alle stesse venga data, per l'immanente pericolo, non altrimenti controllabile, di dilatazione e propagazione del degenerativo ed antisociale fenomeno delle tossicomanie.

Alla stregua delle considerazioni anzidette e' stata disattesa la tesi della equiparabilita' della c.d. "coltivazione domestica" alla detenzione per uso personale, poiche' le due condotte sono "ontologicamente distinte sul piano della stessa materialita'" ed e' stato affermato che, stante la natura di reato di pericolo del correlato delitto, la coltivazione, intesa in senso ampio, purche' idonea alla produzione di sostanze con effetti stupefacenti, si differenzia nettamente dalle condotte colpite da sanzioni di natura amministrativa, indicate nell'articolo 75.

Tali affermazioni sono state comunque "temperate" - tenuto conto delle considerazioni svolte dalla giurisprudenza costituzionale, di cui si dara' conto di seguito - dalla specificazione che, ove la sostanza ricavabile dalla coltivazione sia assolutamente inidonea a porre a repentaglio il bene giuridico tutelato, ben puo' il giudice di merito escludere l'offensivita' in concreto e ritenere la condotta non punibile (cosi' Cass., Sez. 4; 13.4.2001, n. 15688, Vicini; 7.11.2002, n. 37253, Cantini; 30.5.2003, n. 23842, Morrone; 6.2.2004, n. 4836, Felsini; 8.3.2006, n. 8142, P.G. in proc. Fanfani; nonche' Sez. 6, 6.6.2005, n. 20938, Bortoletto).

Sempre la 4 Sezione, con la sentenza 10.6.2005, n. 22037, Gallob, ha rilevato che, pure alla stregua del letterale disposto del Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 26 non e' dato distinguere tra una coltivazione "di tipo tecnico-agrario" ed una coltivazione "domestica". Viene osservato, al riguardo, che e' vero che il citato Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 27 fa riferimento anche alle "particelle catastali" ed alla "superficie del terreno sulla quale sara' effe'ttuata la coltivazione", ed i successivi articoli 28, 29 e 30 richiamano, oltre che le modalita' di vigilanza, raccolta e produzione delle "coltivazioni autorizzate" e le eccedenze di produzione "sulle quantita' consentite", le sanzioni in caso di mancata autorizzazione; tali prescrizioni, pero', riguardano la "autorizzazione alla coltivazione" e sono indicative, cioe', dei requisiti richiesti per ottenere detta autorizzazione. Del tutto configgente con la ratio normativa sarebbe la conclusione che, in mancanza della prescritta autorizzazione, concedibile solo in presenza dei requisiti indicati dalla legge, sarebbe in ogni caso consentita la coltivazione di piante di sostanze stupefacenti, quale che sia la loro quantita', purche' non messe a dimora in un terreno identificabile nelle sue particelle catastali e secondo le altre prescrizioni al riguardo indicate dalla legge.

L'orientamento maggioritario, di cui si e' dato conto dianzi, e' stato ribadito - successivamente all'entrata in vigore dalla Legge 21 febbraio 2006, n. 49 (di conversione del Decreto Legge 30 dicembre 2005, n. 272) - dalla Sez. 4, con le sentenze 7.12.2006, n. 40295, Quaquero ed altro; 10.1.2008, n. 871, Costa e dalla Sez. 6, con le sentenze 23.3.2007, n. 12328, P.G. in proc. Fiorillo; 24.5.2007, n. 20426, Casciano; 28.9.2007, n. 35796, Franchellucci).

2.2 Un diverso (e minoritario) orientamento, affermatosi nella giurisprudenza piu' recente, ritiene, al contrario, che la c.d. "coltivazione domestica" non integri gli estremi della fattispecie tipica della "coltivazione" oggetto di incriminazione nell'ambito dell'articolo 73 comma primo, del Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, ma costituisca species del piu' ampio genus (di chiusura) della "detenzione", di cui al citato Decreto del Presidente della Repubblica, articolo 75, comma 1, risultando conseguentemente depenalizzata se finalizzata all'esclusivo uso personale, e cio' anche alla luce del regime normativo introdotto dalla Legge n. 49 del 2006.

La prima affermazione di principio in tal senso si rinviene in Cass. Sez. 6, 30.5.1994, n. 6347, Polisena, secondo la quale "una volta abrogato il divieto dell'uso personale di sostanze stupefacenti ... ed una volta che il discrimine fra gli illeciti penale ed amministrativo resta fissato soltanto nella destinazione della sostanza al consumo personale, l'esigenza di evitare irragionevoli disparita' di trattamento per condotte (caratterizzate) dal medesimo fine e quindi di interpretare l'articolo 75 in senso conforme alla Costituzione impone in modo piu' stringente di estendere tale discrimine anche alla coltivazione. E tale risultato puo' essere agevolmente realizzato attraverso un'interpretazione estensiva dell'espressione comunque detiene di cui al testo del Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 75 comma 1, in modo da comprendervi anche quelle attivita' che, come appunto la coltivazione, implichino comunque la detenzione della sostanza stupefacente prodotta" (principio affermato in relazione alla detenzione-coltivazione di due piantine di canapa indiana).

Nel medesimo senso si pose Cass. Sez. 6, 13.9.1994, n. 3353, Gabriele, caratterizzata inoltre dal tentativo di precisare la nozione normativa di "coltivazione". Tale decisione ritenne la manifesta infondatezza della questione di legittimita' costituzionale del Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 75 come modificato dal Decreto del Presidente della Repubblica n. 171 del 1993, nella parte in cui affermava la non punibilita' del tossicodipendente per detenzione, acquisto ed importazione della sostanza stupefacente per uso personale, e ne prevedeva invece la punizione nel caso che si fosse procurato la droga mediante coltivazione domestica, osservando che l'ipotesi normativa di coltivazione evocherebbe, in realta', la disponibilita' di un terreno ed una serie di attivita' dei destinatari delle norme sulla coltivazione (preparazione del terreno, semina, governo dello sviluppo delle piante, ubicazione dei locali destinati alla custodia del prodotto ecc.), quali si evincono dal Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articoli 27 e 28.

Cosi' intesa la coltivazione di sostanze stupefacenti e psicotrope penalmente rilevante, considerata la diversita' dei presupposti ed avuto riguardo alla complessa attivita' svolta dal tossicodipendente per procurarsi la droga - qualunque sia il fine cui essa e' rivolta - si ritenne ragionevole la diversita' della disciplina normativa ad essa riservata rispetto alle altre ipotesi singolarmente contemplate dal Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 75 relativamente alle quali e' stata esclusa l'illiceita' penale delle condotte, quando la droga sia destinata all'uso personale.

L'orientamento, dopo l'intervento della Corte Costituzionale con la sentenza n. 360 del 1995, fu abbandonato per oltre un decennio, ed e' stato solo recentemente riproposto, successivamente all'entrata in vigore della Legge n. 49 del 2006 da Cass., Sez. 6, 10.5.2007, n. 17983, Notaro, le cui argomentazioni sono state richiamate da quattro successive decisioni conformi della stessa Sezione (3.8.2007, n. 31968, P.M. in proc. Satta; 31.10.2007, n. 40362, P.G. in proc. Mantovani; 6.11.2007, n. 40712, Nicolotti ed altro; 19.11.2007, n. 42650, P.G. in proc. Piersanti).

La sentenza n. 17983/07, Notaro, nel riepilogare l'evoluzione storica della normativa del settore, ha evidenziato che, nell'originaria formulazione del Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 75 sanzionava come illecito amministrativo la condotta di chiunque, per farne uso personale, "importava, acquistava o comunque deteneva" sostanze stupefacenti, senza menzionare la condotta di coltivazione, in quanto quella normativa ricollegava la destinazione all'uso personale al non superamento della "dose media giornaliera", dato quantitativo ontologicamente incompatibile con il concetto di coltivazione. Una volta espunto pero', dal Decreto del Presidente della Repubblica 5 giugno 1993, n. 171, all'esito del referendum abrogativo del 1993, il riferimento alla "dose media giornaliera", deve ritenersi possibile far rientrare la coltivazione c.d. domestica (per il solo consumo personale) nell'ambito della detenzione pura e semplice riconducibile all'espressione "comunque detiene" tuttora presente nella vigente previsione di cui al Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 75 comma 1.

L'analisi storicizzata dell'espressione "o comunque detiene" conduce a ritenere che essa si riferisca ad un comportamento descrittivo formulato in termini di sintesi, dato che tutte le condotte previste dal Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 73 sembrano comunque presupporre una forma di detenzione.

Il Decreto Legge 30 dicembre 2005, n. 272, convertito dalla Legge 21 febbraio 2006, n. 49, ha adottato un modello repressivo apparentemente in grado di sottrarre la coltivazione dal regime di chi comunque detiene sostanze stupefacenti o psicotrope di cui alla tabella 1 prevista dall'articolo 14 (opportunamente "rimodernata" con la previsione alla lettera a), n. 6, fra l'altro, proprio della cannabis indica, e dei prodotti da essa ottenuti, nonche' dei tetraidrocannabinoli, dei loro analoghi naturali, delle sostanze ottenute per sintesi o semisintesi che siano ad essi riconducibili per struttura chimica o per effetto farmaco-tossicologico; v. anche il n. 7 della stessa lettera a); ma cio' non deve far trascurare che il Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 75 comma 1, reiterando l'espressione "o comunque detiene", consente di ricomprendere nel lessico di genere anche la coltivazione, come sintesi di tutte le condotte richiamate dal Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 73 nel suo integrale contesto, ben potendosi ritenere compatibile con l'attuale regime una coltivazione che "per le altre circostanze dell'azione", appare destinata ad un uso non esclusivamente personale.

D'altro canto - sempre secondo la sentenza Notaro - il regime dell'equiparazione quoad poenam della repressione delle attivita' illecite concernenti gli stupefacenti (vedi il richiamo dell'articolo 73 all'articolo 14) conduce ad escludere che un legislatore (non tanto razionale, quanto) ragionevole possa aver previsto la pena da anni sei di reclusione ed euro 26.000,00 di multa ad anni venti di reclusione ed euro 260.000,00 di multa (nella compresenza delle circostanze richieste dal Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 73 comma 5, per la configurazione dei "fatti di lieve entita'", da un anno di reclusione ed euro 3.000,00 di multa ad anni sei di reclusione ed euro 26.000,00 di multa) per la coltivazione di un numero circoscritto di piante di marijuana (dotate di effetto drogante) per chi non intenda fare commercio del risultato della coltivazione, ma coltivi la cannabis per uso personale (consumo voluttuario o curativo, studio, etc.).

Viene ripresa la distinzione tra la nozione di "coltivazione c.d. domestica" e quella di "coltivazione in senso tecnico" (che si afferma dover assumere rilievo anche a seguito della Legge n. 49 del 2006) : la prima configurabile quando il soggetto agente mette a dimora, in vasi detenuti nella propria abitazione, alcune piantine di sostanze stupefacenti. Tale condotta rientrerebbe nel piu' ampio genus della detenzione, con la conseguenza che, ove si accerti la destinazione esclusiva del prodotto all'uso personale della sostanza, essa risulterebbe depenalizzata.

Un solido fondamento di tale assunto viene individuato nella disciplina amministrativa complementare (Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 26 e segg.) che regola le procedure per il rilascio dell'autorizzazione ministeriale alla "coltivazione" e le modalita' con le quali tale attivita' puo' essere lecitamente svolta: il concetto tecnico-giuridico di "coltivazione" di piante contenenti principi attivi di sostanze stupefacenti penalmente rilevante comprenderebbe soltanto la coltivazione in senso tecnico-agrario ovvero imprenditoriale, che e' caratterizzata da una serie di presupposti, quali la disponibilita' del terreno, la sua preparazione, la semina, il governo dello sviluppo delle piante, la presenza di locali destinati alla raccolta dei prodotti, laddove, al contrario, la coltivazione c.d. domestica rientrerebbe nell'ambito della nozione di "detenzione".

Rileva ancora la sentenza n. 17983/07 che la conclusione contraria - che fa ricadere in ogni caso le condotte di "coltivazione" nell'area del penalmente rilevante, negando l'autonomo rilievo della nozione di detenzione-coltivazione - non fa che trasferire un dato di inferenza probatoria (quale e' quello della destinazione della sostanza stupefacente) nella ratio del precetto, "tanto da assegnare al contesto di scoperta forza dirimente ai fini della identificazione della fattispecie". Ed infatti, sul presupposto che la detenzione per uso personale e' penalmente irrilevante, il tema probatorio costituito dall'uso personale finisce col coincidere con la stessa struttura della norma, nel senso che, una volta accertato l'uso personale, la sua forza esimente e' affidata al contesto in cui il fatto e' accertato. Nel caso in cui il prodotto della coltivazione sia stato gia' raccolto, viene meno il pericolo astratto della condotta di coltivazione, fino a consentire l'utilizzazione di strumenti di verifica del pericolo effettivo, e se, invece, la coltivazione e' ancora in corso, tale accertamento resta precluso, perche' del tutto irrilevante ai fini dell'identificazione dell'ipotesi di reato e della sua punibilita'. Se poi solo una parte di quanto coltivato e' stato raccolto, per questa sola parte cessa il pericolo del pericolo ed e' possibile verificare, con il pericolo concreto, anche il pericolo astratto per la salute, secondo un canone del tutto inidoneo a discriminare la detenzione per il consumo personale dall'esito della coltivazione, come tale non punibile, dalla detenzione-coltivazione di quanto ancora non raccolto, come tale punibile. L'irragionevolezza di siffatte conseguenze finirebbe col dipendere dalla scelta di affidare la definizione del fatto al momento in cui si apprende la notitia criminis".

3. La Corte Costituzionale, con la decisione n. 443 del 1994, dichiaro' inammissibile la questione di legittimita' costituzionale del Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articoli 28, 72, 73 e 75 come modificati dal Decreto del Presidente della Repubblica n. 171 del 1993 (che aveva recepito l'esito della precedente consultazione referendaria, sopprimendo il riferimento al concetto di "dose media giornaliera" quale parametro fisso ed inderogabile, sintomatico della destinazione delle sostanze stupefacenti e psicotrope all'uso personale), sollevata per la prospettata violazione dei principi di parita' di trattamento e di ragionevolezza della norma penale incriminatrice, nella parte in cui le disposizioni anzidette non escludevano la illiceita' penale delle condotte di coltivazione o fabbricazione di sostanze stupefacenti o psicotrope univocamente destinate all'uso personale proprio.

Rilevo' in quell'occasione il Giudice delle leggi che il remittente (anche quella volta il G.I.P. del Tribunale di Savona) aveva del tutto omesso la previa verifica della possibilita' di una esegesi adeguatrice delle norme impugnate, non essendosi posto il problema "se, proprio alla luce, e nel quadro del riferito ius superveniens, l'operata depenalizzazione della condotta di chi ... comunque detiene sia gia' interpretativamente estensibile alle condotte di chi coltiva e fabbrica (le sostanze in oggetto per il fine indicato) quale previste dalla normativa denunciata); cio' "a fortiori quando, come nella specie, i primi interventi giurisprudenziali e dottrinali gia' risultino orientati proprio nel senso della interpretazione conforme al precetto costituzionale".

Venne suggerita cosi' la possibilita' di ritenere che le condotte di coltivazione per uso personale potessero essere sottratte, unitamente a quelle di importazione, acquisto o detenzione per il medesimo fine, alla sfera dell'illiceita' penale.

Questa Corte di Cassazione, pero', solo qualche mese dopo tale decisione - con le sentenze della 4 Sezione 4.12.1993, n. 11138, Gagliardi e 5.5.1995, n. 913, P.G. in proc. Paoli - ritenne di non adeguarsi a tale interpretazione adeguatrice, argomentando essenzialmente sulla natura di reato di pericolo della "coltivazione" e sulla non assimilabilita' della coltivazione stessa alla "detenzione", cosi' contrastando le aperture che avevano invece caratterizzato la giurisprudenza di merito.

Venne dunque riproposta la questione di legittimita' costituzionale del Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 75 come modificato dal Decreto del Presidente della Repubblica n. 171 del 1993, sollevata in relazione agli articoli 3, 13, 25 e 27 Cost., e la Corte Costituzionale, con la sentenza n. 360 del 1995 - alla luce dell'interpretazione restrittiva fornita da questa Corte di legittimita' - ne dichiaro' l'infondatezza.

La Consulta ritenne la questione non fondata, evidenziando l'insussistenza della denunciata disparita' di trattamento in ragione della non comparabilita' della condotta delittuosa di "coltivazione", prevista dal Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 73 con alcuna di quelle allegate dal giudice remittente come tertia comparationis ed argomento', in particolare, che "la detenzione, l'acquisto e l'importazione di sostanze stupefacenti per uso personale rappresentano condotte collegate immediatamente e direttamente all'uso stesso, e cio' rende non irragionevole un atteggiamento meno rigoroso del legislatore nei confronti di chi, ponendo in essere una condotta direttamente antecedente al consumo, ha gia' operato una scelta che, ancorche' valutata sempre in termini di illiceita', l'ordinamento non intende contrastare nella piu' rigida forma della sanzione penale, venendo in rilievo, in un contesto emergenziale di contingente aggravamento delle conseguenze delle tossicodipendenze, il rischio alla salute dell'assuntore ove ogni condotta immediatamente antecedente al consumo fosse assoggettata a sanzione penale. Invece, nel caso della coltivazione manca questo nesso di immediatezza con l'uso personale e cio' giustifica un possibile atteggiamento di maggior rigore, rientrando nella discrezionalita' del legislatore anche la scelta di non agevolare comportamenti propedeutici all'approvvigionamento di sostanze stupefacenti per uso personale. Per altro verso la scelta della non criminalizzazione del consumo in se' (che rappresenta una nota costante di tale disciplina di settore, pur nelle alterne formulazioni ispirate a maggiore o minor rigore) implica necessariamente anche, in qualche misura, la non rilevanza penale di comportamenti immediatamente precedenti, essendo di norma la detenzione (spesso l'acquisto, talvolta l'importazione) l'antecedente ultimo dell'assunzione. La linea di confine di queste condotte che, per il fatto di approssimarsi all'area di non illiceita' penale (quella del consumo), si giovano di riflesso di una valutazione di maggiore tolleranza, e' stata segnata prima dalla modica quantita', poi dalla dose media giornaliera, infine dall'uso personale; ma si tratta pur sempre di una sorta di cintura protettiva del nucleo centrale (id est il consumo) per evitare il rischio che l'assunzione di sostanze stupefacenti - che il legislatore ha ritenuto da ultimo di contrastare appunto con la comminatoria di sanzioni solo amministrative per le condotte ritenute piu' immediatamente antecedenti - possa indirettamente risultare di fatto assoggettata a sanzione penale. La coltivazione invece e' esterna a quest'area contigua al consumo e cio' gia' di per se' rende ragione sufficiente di una disciplina differenziata. Ne' va taciuto che la stessa destinazione ad uso personale si presta ad essere apprezzata in termini diversi nelle situazioni qui comparate. Infatti nella detenzione, acquisto ed importazione il quantitativo di sostanza stupefacente e' certo e determinato e consente, unitamente ad altri elementi attinenti alle circostanze soggettive ed oggettive della condotta, la valutazione prognostica della destinazione della sostanza. Invece, nel caso della coltivazione, non e' apprezzabile ex ante con sufficiente grado di certezza la quantita' di prodotto ricavabile dal ciclo piu' o meno ampio della coltivazione in atto, sicche' anche la previsione circa il quantitativo di sostanza stupefacente alla fine estraibile dalle piante coltivate, e la correlata valutazione della destinazione della sostanza stessa ad uso personale, piuttosto che a spaccio, risultano maggiormente ipotetiche e meno affidabili; e cio' ridonda in maggiore pericolosita' della condotta stessa, anche perche' - come ha rilevato la stessa giurisprudenza della Corte di Cassazione - l'attivita' produttiva e' destinata ad accrescere indiscriminatamente i quantitativi coltivabili e quindi ha una maggiore potenzialita' diffusiva delle sostanze stupefacenti estraibili".

La sentenza n. 360 del 1995 evidenzio' altresi' che la persistente illiceita' penale della coltivazione, anche qualora univocamente destinata all'uso personale ed indipendentemente dalla quantita' di principio attivo prodotto, resisteva anche alla verifica condotta (ex articoli 25 e 17 Cost.) alla stregua del principio di offensivita', rilevando che "la verifica del rispetto del principio dell'offensivita' come limite di rango costituzionale alla discrezionalita' del legislatore ordinario nel perseguire penalmente condotte segnate da un giudizio di disvalore implica la ricognizione della astratta fattispecie penale, depurata dalla variabilita' del suo concreto atteggiarsi nei singoli comportamenti in essa sussumibili. Operata questa astrazione degli elementi essenziali del delitto in esame, risulta una condotta (quella di coltivazione di piante da cui sono estraibili i principi attivi di sostanze stupefacenti) che ben puo' valutarsi come pericolosa, ossia idonea ad attentare al bene della salute dei singoli per il solo fatto di arricchire la provvista esistente di materia prima e quindi di creare potenzialmente piu' occasioni di spaccio di droga; tanto piu' che - come gia' rilevato - l'attivita' produttiva e' destinata ad accrescere indiscriminatamente i quantitativi coltivabili. Si tratta quindi di un tipico reato di pericolo, connotato dalla necessaria offensivita' proprio perche' non e' irragionevole la valutazione prognostica - sottesa alla astratta fattispecie criminosa - di attentato al bene giuridico protetto. E - come gia' questa Corte ha avuto occasione di rilevare (sentenze n. 133 del 1992 e n. 333 del 1991; ma cfr. anche sentenza n. 62 del 1986) - non e' incompatibile con il principio di offensivita' la configurazione di reati di pericolo presunto; ne' nella specie e' irragionevole od arbitraria la valutazione, operata dal legislatore nella sua discrezionalita', della pericolosita' connessa alla condotta di coltivazione. Diverso profilo e' quello dell'offensivita' specifica della singola condotta in concreto accertata; ove questa sia assolutamente inidonea a porre a repentaglio il bene giuridico tutelato (come nel caso - prospettato dal giudice rimettente - della coltivazione in atto, e senza previsione di ulteriori sviluppi, di un'unica pianta da cui possa estrarsi il principio attivo della sostanza stupefacente in misura talmente esigua da essere insufficiente, ove assunto, a determinare un apprezzabile stato stupefacente), viene meno la riconducibilita' della fattispecie concreta a quella astratta, proprio perche' la indispensabile connotazione di offensivita' in generale di quest'ultima implica di riflesso la necessita' che anche in concreto la offensivita' sia ravvisabile almeno in grado minimo, nella singola condotta dell'agente, in difetto di cio' venendo la fattispecie a rifluire nella figura del reato impossibile (articolo 49 c.p.).

La mancanza dell'offensivita' in concreto della condotta dell'agente non radica pero' alcuna questione di costituzionalita', ma implica soltanto un giudizio di merito devoluto al giudice ordinario (sentenze n. 133 del 1992 e n. 333 del 1991 gia' citate) ".

Pur dopo avere ammesso espressamente la configurabilita' della condotta di "coltivazione" anche in relazione alla coltivazione domestica di un'unica pianta, la Corte costituzionale preciso' che "costituisce poi questione meramente interpretativa, rimessa altresi' al giudice ordinario, la identificazione, in termini piu' o meno restrittivi, della nozione di coltivazione che, sotto altro profilo, incide anch'essa sulla linea di confine del penalmente illecito".

Alle valutazioni svolte nella sentenza n. 360 del 1995 si sono poi riportate le successive decisioni in tema (ordinanze n. 150 e n. 414 del 1996), in difetto di argomenti nuovi o di nuovi profili di censura.

Con la sentenza n. 296 del 1996, la Corte costituzionale ha avuto ancora modo di evidenziare che dal novero delle condotte contemplate dal Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 73 il successivo articolo 75 ne estrapola tre - l'importazione, l'acquisto e la detenzione - per riferirle ad una finalita' specifica dell'agente, che e' quella di fame uso personale. Per effetto dell'esito referendario "le tre condotte contemplate dal citato Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 75 ove finalizzate all'uso personale, sono state interamente attratte nell'area dell'illecito amministrativo, divenendo estranee all'area del penalmente rilevante; in tal modo e' risultata anche in parte modificata la stessa strategia di (confermato) contrasto della diffusione della droga nel senso che e' stata isolata la posizione del tossicodipendente (e anche del tossicofilo) rendendo tale soggetto destinatario soltanto di sanzioni amministrative - significative peraltro del perdurante disvalore attribuito alla attivita' di assunzione di sostanze stupefacenti - ma non anche di sanzione penale. Cio' pero' non sulla base soggettiva dell'autore della condotta, quasi si trattasse di una immunita' personale, bensi' sulla base oggettiva della condotta stessa (quale specificata nel Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 75 nelle tre ipotesi suddette) e dell'elemento teleologico (della destinazione della droga ad uso personale). In tal modo - come questa Corte ha gia' puntualizzato (sentenza n. 360 del 1995) - ne risulta tracciata una cintura protettiva del consumo, volta ad evitare il rischio che l'assunzione di sostanze stupefacenti possa indirettamente risultare di fatto assoggettata a sanzione penale. In quest'area di rispetto ricadono comportamenti immediatamente precedenti essendo di norma la detenzione (spesso l'acquisto, talvolta l'importazione) l'antecedente ultimo dell'assunzione; ed e' l'elemento teleologico della destinazione della droga all'uso personale ad assicurare (secondo l'id quod plerumque accidit) tale nesso di immediatezza. Ove invece non ricorra l'elemento oggettivo (di una delle tre condotte tipizzate nel citato Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 75) o quello teleologico (appena ricordato) si ricade nell'area dell'illecito penale. Cio' anche nell'ipotesi di una condotta, quale quella della coltivazione di piante da cui si possono estrarre i principi attivi di sostanze stupefacenti al fine di fare uso personale delle stesse, che si approssima notevolmente a tale cintura protettiva, ma ne rimane pur sempre all'esterno, mancando la puntuale e rigorosa identificazione di uno dei due requisiti prescritti: condotta questa la cui perdurante rilevanza penale e' stata ritenuta proprio per tale ragione non illegittima da questa Corte nella citata sentenza n. 360 del 1995".

4. Tenuto conto delle argomentazioni del Giudice delle leggi dianzi compendiate ed a fronte dei due orientamenti della giurisprudenza di legittimita' dianzi illustrati, ritengono queste Sezioni Unite di affermare il principio secondo il quale costituisce condotta penalmente rilevante qualsiasi attivita' non autorizzata di coltivazione di piante dalle quali sono estraibili sostanze stupefacenti, anche quando sia realizzata per la destinazione del prodotto ad uso personale.

Valgono, al riguardo, le seguenti considerazioni:

a) Devono ribadirsi anzitutto gli argomenti svolti dalla Corte Costituzionale, nella sentenza n. 360 del 1995, con riferimento alla mancanza di nesso di immediatezza tra la coltivazione e l'uso personale ed alla impossibilita' di determinare "ex ante" la potenzialita' della sostanza drogante ricavabile dalla coltivazione, cosi' da rendere ipotetiche e comunque meno affidabili le valutazioni in merito alla destinazione della droga all'uso personale piuttosto che alla cessione.

Non appaiono condivisibili, in proposito, le riflessioni della sentenza Notaro (n. 17983/07), che considerano "improprie" le argomentazioni anzidette, perche' perverrebbero "ad una scelta ermeneutica ... sulla base di un assetto interpretativo non proprio corrispondente agli effettivi risultati cui era giunta la giurisprudenza ordinaria", per di piu' in contrasto con le conclusioni della stessa giurisprudenza costituzionale "in tema di differenza tra reati di pericolo astratto e reati di pericolo concreto".

La Corte Costituzionale, infatti - come si e' illustrato dianzi, al paragrafo 3 - tenne ben presente, al momento della decisione, sia la esistenza di un orientamento giurisprudenziale orientato a ritenere la coltivazione per uso personale depenalizzata all'esito del referendum del 1993 ed assoggettabile pertanto alle sole sanzioni amministrative, sia la diversa interpretazione restrittiva privilegiata da questa Corte di Cassazione.,

Quanto poi alla valutazione della esposizione a pericolo degli interessi oggetto di tutela, la giurisprudenza costituzionale e' ferma nel ritenere che i reati di pericolo presunto non sono astrattamente incompatibili con il principio di offensivita'.

La condotta di coltivazione (punibile fino dal momento di messa a dimora dei semi) si caratterizza, rispetto agli altri delitti in materia di stupefacenti, quale fattispecie contraddistinta da una notevole "anticipazione" della tutela penale e dalla valutazione di un "pericolo del pericolo", cioe' del pericolo, derivante dal possibile esito positivo della condotta, della messa in pericolo degli interessi tutelati dalla normativa in materia di stupefacenti.

In tale prospettiva, anche qualora si ritenga che la salvaguardia immediata della "salute individuale" costituisca, all'esito del referendum abrogativo del 1993, un aspetto della tutela penale in parte ridimensionato, la pericolosita' della condotta di coltivazione si correla, nella valutazione della Corte Costituzionale, alle esigenze di tutela della "salute collettiva" connesse alla valorizzazione del "pericolo di spaccio" derivante dalla capacita' della coltivazione, attraverso l'aumento dei quantitativi di droga, di incrementare le occasioni di cessione della stessa ed il mercato degli stupefacenti fuori del controllo dell'autorita'.

La "salute collettiva" e' bene giuridico primario che, anche secondo l'elaborazione dottrinale, legittima sicuramente il legislatore ad anticiparne la protezione ad uno stadio precedente il pericolo concreto.

Questa Corte Suprema, inoltre, a Sezioni Unite (Cass., Sez. Unite, 21.9.1998, Kremi), ha rilevato che i beni oggetto di tutela penale da parte delle fattispecie incriminatrici previste dal Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 73 sono individuabili, oltre che nella salute pubblica, anche nella sicurezza e nell'ordine pubblico (in tal senso si e' pure espressa la Corte Costituzionale con la sentenza n. 333/1991), nonche' nella salvaguardia delle giovani generazioni, e puo' sicuramente affermarsi che l'implemento del mercato degli stupefacenti costituisce anche causa di turbativa per l'ordine pubblico e di allarme sociale.

b) Va evidenziato poi che la condotta di "coltivazione", anche dopo l'intervento normativo del 2006, non e' stata richiamata nel Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 73, comma 1 bis, ne' nell'articolo 75, comma 1, ma solo nel del novellato Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 73 comma 1.

Il legislatore, pertanto, ha voluto attribuire a tale condotta comunque e sempre una rilevanza penale, quali che siano le caratteristiche della coltivazione e quale che sia il quantitativo di principio attivo ricavabile dalle parti delle piante da stupefacenti.

Imprescindibile e', al riguardo, il rispetto delle garanzie di riserva di legge e di tassativita', tenuto conto che il c.d. problema della droga presenta il pericolo effettivo che la carica ideologica ad esso inerente, in senso vuoi libertario vuoi conservatore e repressivo, induca a risolverlo con schemi di ampliamento e dilatazione ovvero per contro riduttivi. Deve essere pertanto circoscritta al legislatore e ad esso soltanto la responsabilita' delle scelte circa i limiti, gli strumenti, le forme di controllo da adottare.

c) E' agevole ricavare dal Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 75 (ed in claris non fit interpretatio) l'esclusione dal regime dell'uso personale di tutte le altre condotte previste dal novellato Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 73 ad eccezione dell'importazione, acquisto o comunque della detenzione; vale a dire le condotte di chiunque "coltiva, produce, fabbrica, raffina, vende, offre o mette in vendita a qualsiasi titolo, trasporta, esporta, procura ad altri, invia, passa o spedisce in transito, consegna per qualsiasi scopo".

Il precedente articolo 28, del resto, prevede espressamente l'assoggettabilita' alle sanzioni anche penali stabilite per la fabbricazione illecita di chiunque, senza essere autorizzato, "coltiva le piante indicate nell'articolo 36".

d) Arbitraria deve ritenersi la distinzione tra "coltivazione in senso tecnico-agrario" ovvero "imprenditoriale" e "coltivazione domestica" ed essa non e' legittimata dal dato letterale della norma, che non prevede alcuna specificazione del termine lessicale.

Il Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 26 (sotto il capo "Della coltivazione e produzioni vietate") pone il divieto generale ed assoluto di coltivare le piante comprese nella tabella 1 di cui all'articolo 14 (fra le quali e' annoverata anche la cannabis indica), salvo il potere del Ministro della salute di autorizzare "istituti universitari e laboratori pubblici aventi fini istituzionali e di ricerca alla coltivazione delle piante ... per scopi scientifici, sperimentali e didattici".

Deve ritenersi vietata, pertanto, qualunque forma di coltivazione delle piante stupefacenti indicate nella tabella 1 - non necessariamente connotata (poiche' la legge non lo prevede) da aspetti di imprenditorialita' ovvero dalle caratteristiche proprie della coltivazione "tecnico-agraria" - fatta eccezione soltanto per quella "per scopi scientifici, sperimentali e didattici" assentibile con autorizzazione in favore di "istituti universitari e laboratori pubblici aventi fini istituzionali e di ricerca".

Il fatto che nel Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990 successivi articoli 27 29 e 30 siano previste norme particolari per la concessione delle autorizzazioni alla coltivazione (quali la disponibilita' del terreno, la sua preparazione, la semina, il governo dello sviluppo delle piante, la disponibilita' di locali per la raccolta dei prodotti) non puo' essere interpretato nel senso che le attivita' di coltivazione che non abbiano requisiti siffatti non siano soggette ad autorizzazione, e quindi siano lecite, ma solo che l'autorizzazione, per usi di ricerca o didattici, puo' essere concessa esclusivamente in presenza di questi elementi, sicche' mai potrebbe essere autorizzata una coltivazione domestica per uso personale.

c) Qualsiasi tipo di coltivazione e' caratterizzato da un dato essenziale e distintivo rispetto alle fattispecie di detenzione, che e' quello di contribuire ad accrescere (in qualunque entita'), pure se mirata a soddisfare esigenze di natura personale, la quantita' di sostanza stupefacente esistente, si' da meritare un trattamento sanzionatorio diverso e piu' grave.

La coltivazione, inoltre, presenta la peculiarita' ulteriore di dare luogo ad un processo produttivo astrattamente capace di "autoalimentarsi" attraverso la riproduzione dei vegetali. Con tali affermazioni non si opera "una confusione del fine nella struttura del precetto penale" ne' si accentra l'esame sul profilo teleologico, per poi pervenire, proprio attraverso di esso, alla ricostruzione strutturale della coltivazione (come viene contestato nella sentenza Notaro), ma si da' esclusivamente conto della ratio del diverso trattamento sanzionatorio, in un contesto normativo nel quale neppure appaiono condivisibili le considerazioni svolte nella sentenza medesima circa la "indeterminatezza della natura dell'offesa".

Nel caso, poi, in cui il coltivato (o parte di esso) sia stato raccolto, la successiva detenzione del prodotto della coltivazione per finalita' di uso personale non comporta la sopravvenuta irrilevanza penale della precedente condotta di coltivazione, con inammissibile "assorbimento" nella fattispecie amministrativa dell'illecito penale, che e' autonomo anche sotto il profilo temporale.

5. Residua un'ultima notazione circa la necessita', in ogni caso, della verifica - demandata al giudice del merito - dell'offensivita' specifica della singola condotta in concreto accertata.

Il principio di offensivita' - in forza del quale non e' concepibile un reato senza offesa ("nullum crimen sine iniuria") - secondo la consolidata giurisprudenza costituzionale, reato senza offesa opera su due piani, "rispettivamente, della previsione normativa, sotto forma di precetto rivolto al legislatore di prevedere fattispecie che esprimano in astratto un contenuto lesivo, precetto comunque la messa in pericolo, di un bene o interesse oggetto della tutela penale (offensivita' in astratto), e dell'applicazione giurisprudenziale (offensivita' in concreto), quale criterio interpretativo-applicativo affidato al giudice, tenuto ad accertare che il fatto di reato abbia effettivamente leso o messo in pericolo il bene o l'interesse tutelato" (cosi' testualmente Corte Cost. n. 265/05 e, in senso conforme, vedi pure le decisioni nn. 360/95, 263/00, 519/00, 354/02).

Nella specie la Corte Costituzionale, come gia' si e' detto, con la sentenza n. 360 del 1995, ha ritenuto che la condotta di coltivazione di piante da cui sono estraibili i principi attivi di sostanze stupefacenti integra un tipico reato di pericolo presunto, connotato dalla necessaria offensivita' della fattispecie criminosa astratta.

In ossequio, pero', al principio di offensivita' inteso nella sua accezione concreta, spettera' al giudice verificare se la condotta, di volta in volta contestata all'agente ed accertata, sia assolutamente inidonea a porre a repentaglio il bene giuridico protetto risultando in concreto inoffensiva.

La condotta e' "inoffensiva" soltanto se il bene tutelato non e' stato leso o messo in pericolo anche in grado minimo (irrilevante, infatti, e' a tal fine il grado dell'offesa), sicche' con riferimento allo specifico caso in esame, la "offensivita'" non ricorre soltanto sicche', se la sostanza ricavabile dalla coltivazione non e' idonea a produrre un effetto stupefacente in concreto rilevabile.

6. Per tutte le argomentazioni dianzi svolte, il ricorso deve essere rigettato, con condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento.

P.Q.M.

La Corte Suprema di Cassazione, a Sezioni Unite, visti gli articoli 607, 615 e 616 c.p.p., rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del procedimento.


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