Casa:
E' furto in appartamento rubare nello studio professionale
Pubblicata il 30/04/2011
Corte di Cassazione Sezione 5 Penale, Sentenza del 14 marzo 2011, n. 10187
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IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE QUINTA PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. CALABRESE Renato Lui - Presidente
Dott. MARASCA Genna - rel. Consigliere
Dott. DE BERARDINIS Silvana - Consigliere
Dott. LAPALORCIA Grazia - Consigliere
Dott. SABEONE Gerardo - Consigliere
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
1) GE. BA. N. IL (OMESSO);
avverso la sentenza n. 5302/2009 CORTE APPELLO di BOLOGNA, del 26/03/2010;
visti gli atti, la sentenza e il ricorso;
udita in PUBBLICA UDIENZA del 15/02/2011 la relazione fatta dal Consigliere Dott. MARASCA Gennaro;
Udito il Pubblico Ministero in persona del Dott. GERACI Vincenzo che ha concluso per il rigetto del ricorso.
La Corte di Cassazione:
OSSERVA
Ge. Ba. e' stata condannata in entrambi i gradi di merito all'esito del rito abbreviato alla pena ritenuta di giustizia per il delitto di furto perche' recatasi nello studio di un odontoiatra si impossessava di un portadocumenti contenente euro 1.720,00 sottraendolo da un cassetto della scrivania.
L'affermazione di responsabilita' era fondata sulle testimonianze delle impiegate dello studio professionale Ba. Pi. , Si. Ba. e Ma. Ma. , dalle quali emergeva che la Ge. era rimasta da sola per alcuni minuti nella segreteria e che al momento non vi erano altri clienti nello studio.
Con il ricorso per cassazione Ge. Ba. deduceva il vizio di motivazione ed il travisamento della prova perche' dalle testimonianze della Si. e della Ma. emergeva che quando la Ge. usci' dallo studio, entro' un'altra cliente e soltanto dopo quindici minuti la Ba. si accorse dell'ammanco; cosicche' veniva meno uno dei presupposti per ritenere la responsabilita' della Ge. . La ricorrente deduceva, inoltre, la violazione di legge perche' uno studio professionale non poteva farsi rientrare nella previsione di cui all'articolo 624 bis c.p.; citava a conforto della sua tesi una decisione della Suprema Corte, ovvero Cass., Sez. 2, 18 maggio 2005, n. 23402).
I motivi posti a sostegno del ricorso proposto da Ge. Ba. non sono fondati.
Il primo motivo di impugnazione in verita' e' ai limiti della ammissibilita' perche' la ricorrente sembra che voglia ottenere una rivalutazione del materiale probatorio da parte della Corte di legittimita', cosa non consentita dalla legge, dovendo la Suprema Corte soltanto verificare se la valutazione delle prove compiuta dai giudici di merito sia o meno sorretta da una motivazione immune da vizi logici. Ebbene la motivazione del provvedimento impugnato possiede i requisiti per superare il vaglio di legittimita'.
E' poi appena il caso di osservare che non possono essere estrapolate da una testimonianza una o piu' frasi che possano far sorgere qualche dubbio, ma e' necessario esaminare e valutare complessivamente la deposizione unitamente agli altri elementi emergenti dal processo.
Ebbene i giudici del merito, dopo avere compiuto un esame puntuale delle testimonianze, hanno stabilito che la Ge. rimase per qualche minuto nella segreteria dello studio professionale da sola intenta a rivestirsi senza che venisse controllata dalle dipendenti dello studio ed essendo momentaneamente assente la segretaria Ba. .
La Ge. aveva visto dove erano stati riposti i soldi perche' aveva assistito al pagamento effettuato da una precedente cliente.
E' vero che quando la Ge. usci' dallo studio entro' altra cliente, ma non risulta da nessun elemento processuale che la stessa sia rimasta da sola nella segreteria per qualche tempo.
Non appena la Ba. ritorno' si accorse dell'ammanco e subito i sospetti si appuntarono sulla Ge. proprio perche' era stata l'unica a restare da sola nella segreteria.
Nessuna manifesta illogicita' e' ravvisabile nella motivazione del provvedimento impugnato e nessun travisamento della prova e' riscontrabile.
E' infondato anche il secondo motivo di impugnazione essendo corretta la qualificazione giuridica del fatto commesso dalla Ge. . Secondo l'orientamento oramai costante della giurisprudenza di questa Corte, infatti, e' da ritenersi luogo destinato in tutto o in parte a privata dimora qualsiasi luogo nel quale le persone si trattengano per compiere, anche in modo transitorio e contingente, atti della loro vita privata, come studi professionali, stabilimenti industriali ed esercizi commerciali (vedi Cass., Sez. 5, 18 settembre - 22 novembre 2007, n. 43089, CED 238493).
La riportata interpretazione dell'articolo n. 43671, CED 226415).
E in tale ottica la giurisprudenza ha ritenuto luogo destinato in parte a privata dimora i luoghi ove si compiono attivita' lavorative (Cass., Sez. 4, 16 aprile - 19 maggio 2008, n. 40245, CED 241331) ecc. ecc..
La sentenza richiamata dalla ricorrente non contraddice tale indirizzo perche' ha affrontato un problema diverso e cioe' se sia ravvisabile l'articolo 624 bis c.p. anche nel caso in cui un luogo destinato ad abitazione non sia nel momento del furto concretamente abitato ed ha stabilito che anche in tale ipotesi sussiste tale reato.
Per le ragioni indicate il ricorso deve essere rigettato e la ricorrente condannata a pagare le spese del procedimento.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente a pagare le spese del procedimento.