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E' penalmente responsabile il soggetto che, pur non avendo effettuato personalmente l'assunzione di immigrati irregolari, se ne avvale alle proprie dipendenze
Pubblicata il 18/07/2011
Corte di Cassazione Sezione 1 Penale, Sentenza del 27 giugno 2011, n. 25615
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IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. BARDOVAGNI Paolo - Presidente
Dott. ZAMPETTI Umberto - Consigliere
Dott. ROMBOLA' Marcello - Consigliere
Dott. BONITO Francesco - rel. Consigliere
Dott. PIRACCINI Paola - Consigliere
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
1) FR. MA. N. IL (OMESSO);
avverso la sentenza n. 2859/2009 CORTE APPELLO di BARI, del 01/02/2010;
visti gli atti, la sentenza e il ricorso;
udita in PUBBLICA UDIENZA del 18/05/2011 la relazione fatta dal Consigliere Dott. FRANCESCO MARIA SILVIO BONITO;
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott. V. D'Ambrosio, che ha concluso per l'annullamento della sentenza impugnata perche' estinto il reato per prescrizione.
MOTIVI DELLA DECISIONE
1. Con sentenza del di 1.02.2010 la Corte di Appello di Bari confermava quella resa dal Tribunale di Trani il 9 febbraio 2009 e con essa la condanna di Fr. Ma. alla pena di mesi quattro di arresto ed euro 28000,00 di ammenda, perche' ritenuto colpevole del reato di cui al Decreto Legislativo n. 286 del 1998, articolo 22, comma 12, per aver occupato alle proprie dipendenze, quale amministratore unico della ditta Ro. Fr. s.r.l., otto lavoratori extracomunitari sprovvisti di permesso di soggiorno. Accertato in (OMESSO).
La Corte distrettuale poneva a sostegno della decisione gli esiti degli accertamenti dell'ispettore del lavoro Al. Ca. , la testimonianza di tale Di. St. Mi. , indicato dalla difesa, e la comunicazione della notizia di reato con relativi allegati, atti questi acquisiti al fascicolo del dibattimento sull'accordo delle parti.
2. Ricorre per cassazione avverso la pronuncia di secondo grado l'imputato, assistito dal suo difensore di fiducia, illustrando un unico ed articolato motivo di doglianza, con il quale denuncia la manifesta illogicita' della motivazione impugnata.
Denuncia, in particolare, la difesa ricorrente che avrebbe il giudice di merito erroneamente interpretato il disposto normativo con riferimento alla nozione di datore di lavoro, giacche' l'imputato, nell'ambito dei compiti della societa', si occupava esclusivamente della gestione del magazzino e della irrigazione dei campi, mentre delle assunzioni era incaricato Mo. Fe. , il quale ha infatti provveduto alle assunzioni per cui e' causa, come dallo stesso confermato in dibattimento unitamente all'altro teste Di. St. Mi. .
3. Il ricorso e' manifestamente infondato.
3.1 Giova prendere le mosse dal testo normativo il quale, come e' noto, per quanto di interesse nel presente giudizio, al comma 10 vigente all'epoca dei fatti (ma l'attuale comma 12, novellato dal Decreto Legislativo 25 luglio 1998, n. 286, articolo 22, comma 10, - che punisce l'assunzione di cittadini extracomunitari privi di permesso di soggiorno - per "datore di lavoro" deve intendersi colui che procede alla stipulazione del rapporto di lavoro con il cittadino extracomunitario, non assumendo alcuna rilevanza la posizione eventualmente rivestita dal soggetto in una determinata azienda nel cui ambito l'attivita' lavorativa deve essere svolta".
3.2 L'argomento appena riportato non e' coerente con la normativa di riferimento e lo stesso, inoltre, mal interpreta l'insegnamento di questa Corte innanzi riportato.
In primo luogo osserva il Collegio che la norma incriminatrice punisce, prescindendo pertanto dalla fase specifica e precipua dell'assunzione, "chi occupa alle proprie dipendenze", condotta questa la quale, come reso palese dal significato letterale delle parole utilizzate, fa riferimento all'occupazione lavorativa, condotta che puo' realizzarsi con l'assunzione, ma non soltanto con essa. Ai sensi di legge risponde infatti del reato in esame non soltanto chi assume il lavoratore straniero che si trovi nelle condizioni indicate dalla fattispecie incriminatrice, bensi' anche chi, pur non avendo provveduto direttamente ad essa (assunzione), se ne avvalga tenendo alle sue dipendenze, eppertanto occupando piu' o meno stabilmente, l'assunto.
E tanto ha inteso questa Corte affermare con le pronunce difensivamente richiamate, le quali vanno intese nel senso che la norma penale in esame punisce sia chi procede all'assunzione della manodopera in situazione di illegalita' quanto alle condizioni di permanenza nel nostro paese, sia chi tale manodopera comunque occupi alle sue dipendenze giovandosi dell'assunzione personalmente non effettuata.
3.3. Orbene, nel caso di specie il ricorrente, al momento in cui le assunzioni avvennero, rivestiva la carica sociale di amministratore unico della persona giuridica la quale di essi si avvalse, ancorche' eseguite le medesime da chi, per conto della societa', aveva l'incarico di provvedervi, dappoiche' non puo' esservi dubbio sulla circostanza di fatto che i lavoratori extracomunitari di cui alla contestazione di reato, dopo l'assunzione operata dal dipendente, siano rimasti occupati alle dipendenze della s.r.l. Ro. Fr. , il cui legale rappresentante era, appunto, l'imputato ricorrente, il quale, in siffatto quadro fattuale e giuridico, legittimamente e' stato ritenuto colpevole del reato.
Ne' puo' ritenersi risolutiva l'ulteriore considerazione difensiva che non era l'imputato al corrente, e quindi consapevole, della stipulazione dei contratti di lavoro da parte di Mo. Fe. , giacche' il reato in esame, all'epoca della contestazione, aveva natura contravvenzionale e la condotta era pertanto imputata a titolo di colpa, ravvisabile senza incertezze in capo a chi della societa' assuntrice della manodopera era il legale rappresentante, incombendo sul medesimo l'onere di impartire le direttive necessarie per assicurare assunzioni legittime e nel rispetto delle leggi vigenti in materia.
4. Il ricorso pertanto, giacche' fondato su argomentazioni del tutto incoerenti con il sistema normativo di riferimento, e' inammissibile ed alla declaratoria di inammissibilita' consegue sia la condanna al pagamento delle spese del procedimento, sia quella al pagamento di una somma in favore della cassa delle ammende, somma che si stima equo determinare in euro 1000,00.
P.Q.M.
la Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali ed al versamento della somma di euro 1000,00 alla cassa delle ammende.