Penale: Guide e Consulenze Legali

Consulenza legale

Ricevi una consulenza in Diritto Penale
in 48 ore comodamente tramite email

E' punibile per il reato di spaccio anche colui che offra o pghi con draga delle prestazioni sessuali

Correttamente viene ravvisato il reato di cui agli articoli 73 e 80, comma 1, lettera f), del Dpr 9 ottobre 1990 n. 309 non solo a carico del soggetto che «spacci» direttamente sostanza stupefacente ricevendo in cambio prestazioni sessuali dalla clientela femminile, ma anche di colui che, consapevole della condizione di tossicodipendenza della donna, la mantenga all'uso della droga, mediante consegne mirate di denaro da utilizzare per gli acquisti della sostanza stupefacente, ricevendo in cambio prestazioni sessuali: tali consegne costituendo la chiave per raggiungere il reale obiettivo rappresentato dall'ottenimento delle prestazioni sessuali. Infatti, è pur vero che l'articolo 80 comma 1, lettera f), del Dpr n. 309 del 1990 delinea la circostanza aggravante in termini di «offerta» o «cessione» di droga al fine di ottenere prestazioni sessuali da parte di persona tossicodipendente, ma la condotta sopra descritta rientra nel paradigma normativo, con il quale il legislatore ha inteso punire lo spregevole approfittamento della condizione fisica o psicologica di particolare vulnerabilità di una persona tossicodipendente. (Corte di Cassazione Sezione 4 Penale
Sentenza del 19 maggio 2008, n. 20023)



- Leggi la sentenza integrale -

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE QUARTA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MARINI Lionello - Presidente

Dott. BRUSCO Carlo Giusepp - Consigliere

Dott. VISCONTI Sergio - Consigliere

Dott. ROMIS Vincenzo - Consigliere

Dott. BRICCHETTI Renato - Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso proposto da:

PI. An. , nato a (OMESSO);

avverso la sentenza pronunciata in data 25 novembre 2003 dalla Corte di appello di Milano;

udita in pubblica udienza la relazione del Consigliere Dott. Renato BRICCHETTI;

sentite le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del S. Procuratore Generale Dott. GERACI Vincenzo, che ha chiesto il rigetto del ricorso.

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1. Con la sentenza indicata in epigrafe, la Corte di appello di Milano confermava la condanna (alle pene di anni due di reclusione e lire 8 milioni di multa) di PI.An. , ritenuto responsabile del reato continuato di cui al Decreto del Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990, n. 309, articolo 73, comma 1, e articolo 80, comma 1, lettera f), per avere, in (OMESSO), in tempi diversi e con piu' azioni esecutive di un medesimo disegno criminoso, ceduto a BE. Ca. e a GI.St. , persone tossicodipendenti, quantitativi di eroina al fine di ottenere dalle medesime prestazioni sessuali.

La Corte territoriale riconosceva la circostanza attenuante della lieve entita' dei fatti, prevalente sulla menzionata circostanza aggravante e sulla recidiva reiterata infraquinquennale.

Osservava la Corte che l'affermazione di responsabilita' dell'imputato era fondata essenzialmente sulle dichiarazioni rese da BE.Ca. e GI.St. .

Quest'ultima, in particolare, aveva riferito di avere assunto eroina per circa otto anni e di avere, per un certo periodo, frequentato con assiduita' l'abitazione dell'imputato, il quale, consapevole della sua situazione di tossicodipendenza, "la manteneva nell'uso della droga, ricevendo in cambio prestazioni sessuali".

In particolare all'udienza dibattimentale del 29 ottobre 1992 la donna aveva dichiarato: "se volevo avere la roba, mi dovevo anche concedere"; "lui mi dava i soldi ed io gli davo qualche altra cosa".

I giudici di appello definivano le affermazioni della GI. come "lineari, circostanziate, puntuali, reiterate, non contraddittorie". Nell'atto di appello l'imputato aveva, tuttavia, sostenuto che le dichiarazioni della GI. configurassero un fatto "totalmente diverso" da quello contestatogli (non era vero, in altre parole, che vi erano state cessioni di eroina; si era semmai trattato di consegne di denaro affinche' la donna acquistasse la droga).

I giudici di appello replicavano che l'imputato era stato comunque posto nelle condizioni di difendersi dalle accuse rivoltegli dalla donna.

2. Avverso l'anzidetta sentenza, ha proposto ricorso per cassazione l'imputato, con atto personalmente sottoscritto, chiedendone l'annullamento ed affidando le proprie doglianze a tre motivi.

2.1. Con il primo motivo ribadisce la nullita' della sentenza di primo grado, ex articolo 522 c.p.p., comma 1, per inosservanza della disposizione di cui all'articolo 521 c.p.p., comma 2, che impone al giudice di disporre la trasmissione degli atti al pubblico ministero se accerta che il fatto e' diverso da come descritto nel decreto che dispone il giudizio o nell'eventuale atto di suppletiva contestazione.

Rileva il ricorrente:

- che era stato tratto a giudizio per avere, in tempi diversi e con piu' azioni esecutive di un medesimo disegno criminoso, ceduto eroina alla BE. ed alla GI. ;

- che, nel corso del dibattimento del processo di primo grado, il pubblico ministero gli aveva contestato la circostanza aggravante di cui al Decreto del Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990, n. 309, articolo 80, comma 1, lettera f), ipotizzando che le cessioni fossero finalizzate ad ottenere prestazioni sessuali da persona tossicodipendente;

che il Tribunale lo aveva condannato, dando tuttavia atto, nella motivazione della sentenza, che il fatto era "ben piu' articolato" rispetto a quello contestato (l'imputato accompagnava la GI. nei luoghi di spaccio e la ragazza acquistava la droga con il denaro che l'uomo le forniva; PI. custodiva lo stupefacente e consegnava alla ragazza soltanto la dose che avrebbe consumato);

- che una "migliore definizione" dell'imputazione gli avrebbe consentito di "articolare temi di prova a discarico" sull'esistenza "presso la propria abitazione" di "luoghi" ove occultare e custodire l'eroina, sull'esito negativo della perquisizione domiciliare subita, sull'effettiva possibilita' "data la sua eta'" di accompagnare "in auto la GI. addirittura a (OMESSO)" e sull'effettiva disponibilita' delle somme di denaro che la donna aveva asserito esserle state "fornite".

2.2. Con il secondo motivo lamenta l'erronea affermazione della sussistenza della citata circostanza aggravante, sostenendo che finanziare l'acquisto della droga e custodirla non integrerebbe l'offerta o la cessione che caratterizza la circostanza.

2.3. Con il terzo motivo denuncia la mancanza o la manifesta illogicita' della sentenza impugnata in relazione all'affermata attendibilita' delle dichiarazioni della GI. , sostenendo che la Corte di merito si sarebbe limitata a generici riferimenti al "disinteresse" ed alla "credibilita'" della testimone.

MOTIVI DELLA DECISIONE

3. Il ricorso non e' meritevole di accoglimento.

3.1. Il primo motivo del ricorso e' infondato.

Come questa Corte ha gia' avuto modo di affermare, le norme che disciplinano le nuove contestazioni, la modifica dell'imputazione e la correlazione tra l'imputazione contestata e la sentenza (articoli 516 e 522 c.p.p.) hanno lo scopo di assicurare il contraddittorio sul contenuto dell'accusa e, quindi, il pieno esercizio del diritto di difesa dell'imputato.

Ne consegue che le stesse non devono essere interpretate in senso rigorosamente formale ma con riferimento alle finalita' alle quali sono dirette; in altre parole, non possono ritenersi violate da qualsiasi modificazione rispetto all'accusa originaria, ma soltanto da modificazioni che pregiudichino le possibilita' di difesa dell'imputato (cfr. ex plurimis Cass. 1, 5 maggio 1994, Coturni, RV 198365). La nozione strutturale di "fatto", contenuta nelle disposizioni anzidette, va, dunque, coniugata con quella funzionale, fondata sull'esigenza di reprimere soltanto le effettive lesioni del diritto di difesa.

In altre parole, i concetti di identita', diversita' e novita' (rectius, alterita') del fatto rivelano il loro contenuto in funzione del principio di necessaria correlazione tra accusa contestata (oggetto di un potere del pubblico ministero) e decisione giurisdizionale (oggetto del potere del giudice), posto essenzialmente a tutela del diritto di difesa (nel senso che "risponde all'esigenza di evitare che l'imputato sia condannato per un fatto, inteso come episodio della vita umana, rispetto al quale non abbia potuto difendersi": cfr. Cass. 6 22 ottobre 1996, Martina). Cio' premesso, non resta che osservare come, nel caso in esame, la contestazione suppletiva, ritualmente formulata nel corso del dibattimento, sia servita ad addebitare all'imputato di avere "utilizzato" la droga per ottenere i favori sessuali delle due donne, mentre le dichiarazioni della GI. , assunte nel rispetto del contraddittorio, abbiano determinato quella maggiore "articolazione" dei fatti di cui l'imputato si duole ingiustificatamente, atteso che nulla gli avrebbe impedito, se soltanto lo avesse voluto, di replicare, nell'ambito della contesa dibattimentale, alle accuse mossegli dalla donna.

Affermazioni, quelle rese dalla GI. , che, tra l'altro, erano servite a chiarire che non si trattava dello spacciatore di eroina pronto a trarre anche profitto "sessuale" dalla clientela femminile; si trattava, piuttosto, di un uomo, avanti negli anni, che sfruttava in modo diverso la situazione di debolezza della donna, "gestendola" mediante mirate consegne di denaro da utilizzare per specifici acquisti di droga che rappresentavano, per lui, la chiave per raggiungere il reale obiettivo.

3.2. Il secondo motivo del ricorso e' infondato.

E' vero che il Decreto del Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990, n. 309, articolo 80, comma 1, lettera f), delinea la circostanza aggravante in termini di "offerta" o "cessione" al fine di ottenere prestazioni sessuali da parte di persona tossicodipendente.

E' altrettanto vero, pero', che l'imputato manteneva la disponibilita' materiale della droga, acquistata con il suo denaro, proprio per graduare offerte e cessioni delle singole dosi in funzione delle pretese sessuali. Si tratta, dunque, di condotta rientrante a pieno titolo nel paradigma normativo e che esprime proprio cio' che il legislatore intendeva reprimere con la maggiore severita' collegata alla previsione di una circostanza aggravante, vale a dire lo spregevole approfittamento della condizione fisica e psicologica di particolare vulnerabilita' di una persona tossicodipendente.

3.3. Il terzo motivo del ricorso e' inammissibile.

Si tratta di censure non consentite nel giudizio di legittimita'.

In particolare, la Corte di cassazione non puo' sindacare la valutazione del giudice di merito sull'attendibilita' della persona offesa ove sul punto sussista, come nel caso in esame, un'adeguata motivazione basata sull'estrema chiarezza della deposizione, definita "lineare, puntuale, circostanziata" (sull'esclusione della applicazione alla deposizione della persona offesa delle regole di cui all'articolo 192 c.p.p., commi 3 e 4, come per qualsiasi altra testimonianza, v. ex plurimis Cass. 3, 18 ottobre 2001, Panaro, RV 220362).

A questo si aggiunga che i motivi sono privi del requisito della specificita', consistendo nella generica esposizione della doglianza senza alcun contenuto di effettiva critica alla giustificazione.

4. Al rigetto del ricorso consegue la condanna al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.

rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali

INDICE
DELLA GUIDA IN Penale

OPINIONI DEI CLIENTI

Vedi tutte

ONLINE ADESSO 1949 UTENTI