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Il factotum della società è punibile per bancarotta fraudolenta

Nei reati di bancarotta in ambito societario, soggetto attivo può essere anche colui che svolga, in via di mero fatto, come nella specie, il […], le funzioni di amministratore, poiché le fattispecie legali non introducono alcuna distinzione tra ruolo corrispondente ad una carica formale ed analoga funzione esercitata in via di fatto. E tale funzione può ricavarsi dall’inserimento del soggetto, in qualsiasi momento dell’’iter’ di organizzazione, produzione e commercializzazione dei beni e servizi. Il fatto che […]fosse il factotum della società e che tutte le bolle di consegna o trasporto fossero firmate dallo stesso senza che avesse alcun incarico ufficiale, dimostra che egli si occupava in via esclusiva e di mero fatto della gestione e della commercializzazione dei beni. (Corte di Cassazione Sezione 5 Penale, Sentenza del 18 febbraio 2009, n. 7044)



- Leggi la sentenza integrale -

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

QUINTA SEZIONE PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.:

Dott. MARASCA GENNARO - PRESIDENTE

1. Dott. CARROZZA ARTURO - CONSIGLIERE

2. Dott. SANDRELLI GIAN GIACOMO - CONSIGLIERE

3. Dott. BRUNO PAOLO ANTONIO - CONSIGLIERE

4. Dott. DIDONE ANTONIO - CONSIGLIERE

ha pronunciato la seguente

SENTENZA / ORDINANZA

sul ricorso proposto da:

1) Bi.Gi. N. il (...)

avverso SENTENZA del 22/01/2008 CORTE APPELLO di ANCONA

visti gli atti, la sentenza ed il ricorso

udita in PUBBLICA UDIENZA la relazione fatta dal Consigliere CARROZZA ARTURO

Udito il Procuratore Generale in persona del Dr. OSCAR CEDRANGOLO che conclude per l'annullamento senza rinvio perché estinti i reati per prescrizione

che ha concluso per

Udito, per la parte civile, l'Avv.

Udit i difensor Avv.

FATTO

1. - La Corte di Appello di Ancona, con sentenza del 29 gennaio 2008, ha confermato quella del Tribunale di Ascoli Piceno che aveva ritenuto Bi.Gi., quale amministratore di fatto della "De.Ce.", dichiarata fallita con sentenza del 29 novembre 1993, responsabile dei reati di cui agli artt. 216 e 223 L.F. e lo aveva condannato alla pena di due anni di reclusione.

2. - Il Bi. propone ricorso per cassazione, deducendo:

a. - Mancanza, illogicità e contraddittorietà della motivazione in relazione al rigetto da parte del Gip del Tribunale di Ascoli Piceno, confermato dalla Corte di Ancona, della richiesta di rinvio formulata dal difensore sul presupposto che l'impegno professionale presso il Tribunale del riesame di Ancona non fosse stato dedotto tempestivamente e che non sussistesse l'assoluta impossibilità a comparire, stante che la distanza con un mezzo privato di trasporto poteva essere colmata in un'ora e mezza.

b. - Violazione e falsa applicazione dell'art. 2 c.p. e degli artt. 1 e 150 d.lgs. 9 gennaio, n. 5 dell'art. 1 r.d. 16 marzo 1942, n. 267, in relazione alla sussistenza delle condizioni per la fallibilità dell'imprenditore.

c. - Violazione e falsa applicazione dell'art. 192, 2° e 3° comma c.p.p. e degli artt. 223 e 216 L. F. in relazione agli artt. 2082, 2084, 2086,2087, 2094, c.c. nonché mancanza o insufficiente motivazione, in relazione alla ritenuta qualità di amministratore di fatto del Bi.

d. - Violazione e falsa applicazione dell'art. 133 c.p. e mancanza o illogicità della motivazione, in relazione alla determinazione della pena e alla mancata sospensione condizionale della stessa.

DIRITTO

3. - Il primo motivo è manifestamente infondato.

Sia il giudice di primo grado che quello di appello hanno argomentato che l'istanza di differimento dell'udienza non evidenziava l'assoluta impossibilità del difensore a comparire perché impegnato in altro procedimento, non avendo tra l'altro, il difensore dato contezza dell'impossibilità di farsi sostituire.

Tale argomentazione è legittima perché questa Corte ha già avuto modo di affermare che "la concomitanza dell'impegno professionale assunto dal difensore in un altro procedimento può essere riconosciuto quale legittimo impedimento a comparire all'udienza (art. 420 ter, comma 5, c.p.p.) ... quando il difensore dimostri l'impossibilità di avvalersi di un sostituto ai sensi dell'art. 102 c.p.p. sia nel procedimento al quale il difensore intende partecipare, sia in quello del quale si chiede il rinvio, per assoluta impossibilità a comparire" desumendosi "la necessità ... per il difensore di dare giustificazione anche della mancata nomina di un sostituto dall'ultimo periodo del comma 5 dell'art. 420 ter, c.p.p." (Cass., sez. V, 17 ottobre 2007, n. 44883).

Nella specie, non risulta che il difensore avesse provato l'impossibilità di nominare un sostituto.

4. - In relazione, poi, al motivo concernente la modifica dell'art. 1 legge fallimentare ad opera del d.lgs. 9 gennaio 2006, n. 5 e successivamente del d.lgs. 12 settembre 2007, n. 169 questa Corte ha ormai risolto il contrasto giurisprudenziale sull'applicabilità della nuova normativa, in tema di fallibilità dell'imprenditore, ai procedimenti in corso, affermando il principio che il giudice penale investito del giudizio relativo a reati di bancarotta, ex art. 216 ss. della l.fall. non può sindacare la sentenza dichiarativa di fallimento, non solo quanto al presupposto oggettivo dello stato di insolvenza dell'impresa, ma anche quanto ai presupposti soggettivi inerenti alle condizioni previste dall'art. 1 l. fall., per la fallibilità dell'imprenditore. Con la conseguenza che le modifiche apportate all'art. 1 l.fall., prima dal d.lgs. 9 gennaio 2006 n. 5 e poi dal d.lgs. 12 settembre 2007 n. 169, non esercitano influenza, ai sensi dell'art. 2 c.p., sui procedimenti penali in corso (Cass., sez. un., 28 febbraio 2008, n. 19601). Per cui anche tale motivo è manifestamente infondato.

5. - In relazione alla qualità di amministratore di fatto dell'imputato ricorrente la Corte ha argomentato che il teste La. aveva dichiarato che l'amministratore di fatto ed il factotum della società era il Bi. Ciò appare confermato dal fatto che tutte le firme sulle bolle di consegna fossero di quest'ultimo, senza che lo stesso rivestisse alcun incarico e dalle dichiarazioni del coimputato Co. amministratore di diritto, deceduto, è secondo cui il Bi. lo aveva pregato di assumere formalmente la carica di amministratore perché quest'ultimo voleva una persona che non fosse coinvolta in precedenti affari e che svolgesse funzione da paravento.

Tale complessiva valutazione non può essere censurata in questa sede non essendo consentita una lettura dei fatti diversa ed alternativa a quella operata dal giudice del merito perché il sindacato di legittimità sulla giustificazione del provvedimento impugnato è circoscritto solo alla verifica se il vizio della decisione sia costituito da errori delle regole della logica - principio di non contraddizione, di causalità, univocità, completezza - o dalla inconciliabilità con gli atti del processo specificatamente indicati, (tra le tante Cass., sez. VI, 24 maggio 2007, n. 24680, Cass., sez. VI, 28 settembre 2006 n. 35964, Cass., sez. 1, 14 luglio 2006, n. 25117, Cass., sez. V, 24 maggio 2006, n.36764).

E, nella specie, l'argomentazione è logica, perché tutti gli elementi di prova, quella orale (sia la testimonianza che le dichiarazioni del correo) che quella documentale (le firme sulle bolle di consegna) convergono nell'indicare il Bi. non un collaboratore, ma il vero dominus della società che aveva la responsabilità di tutte le compravendite, tanto da firmare tutte le bolle di consegna o trasporto.

Ora, è principio ormai pacifico che nei reati di bancarotta in ambito societario, soggetto attivo può essere anche colui che svolga in via di mero fatto, come nella specie il Bi., le funzioni di amministratore, poiché le fattispecie legali non introducono alcuna distinzione tra ruolo corrispondente ad una carica formale ed analoga funzione esercitata in via di fatto. (Cass., sez. V, 05 giugno 2003, n. 36630).

E tale funzione può ricavarsi dall'inserimento del soggetto, in qualsiasi momento dell'"iter" di organizzazione, produzione e commercializzazione dei beni e servizi (Cass., 4 sez. 1,12 maggio 2006, n. 18464).

Il fatto che il Bi. fosse il factotum della società e che tutte le bolle di consegna o trasporto fossero firmate dallo stesso senza che avesse alcun incarico ufficiarle, dimostra che egli si occupava in via esclusiva e di mero fatto della gestione e della commercializzazione dei beni.

Per cui il motivo è manifestamente infondato.

6. - Tale manifesta infondatezza sussiste anche in relazione alle censure concernenti la pena.

Dalla sentenza di primo grado, che insieme a quella di appello, convergente sulla responsabilità e sulla pena, costituisce un unico apparato argomentativo, risulta che il Bi. era gravato da molteplici precedenti penali.

Da quella impugnata risulta, inoltre, che la società era destinata a svolgere solo attività illecita.

Da ciò si ricava che i giudici del merito hanno fatto implicitamente riferimento a tali elementi di fatto e ciò è immune da vizi e quindi incensurabile in questa sede, perché rispondente ai criteri di cui all'art. 133 codice penale che fa riferimento alla gravità del reato desunta, tra l'altro, dalla natura e da ogni altra modalità dell'azione, nella specie la costituzione della società al fine della distrazione e ai precedenti penali dell'imputato.

Anche per quanto riguarda la mancata concessione della sospensione condizionale della pena la Corte fa riferimento alla mancanza dei presupposti, i precedenti penali che sono di ostacolo a detta concessione.

4. - Va pertanto dichiarata l'inammissibilità del ricorso.

Questa preclude ogni possibilità sia di far valere sia di rilevare di ufficio, ai sensi dell'art. 129 c.p.p., l'estinzione del reato per prescrizione maturata, come nella specie, successivamente alla sentenza di secondo grado (Cass. pen., Sez. Un., 22 novembre 2000, De Luca, Cass. pen., sez. un., 22 marzo 2005, n. 23428).

Ne consegue, anche, a norma dell'art. 616, c.p.p., la condanna del ricorrente del pagamento delle spese del procedimento nonché al versamento di una somma, in favore della Cassa delle Ammende, determinata, per le ragioni di inammissibilità, nella misura di Euro 1.500,00. in relazione alla sentenza n. 186/2000 della Corte Costituzionale e al fatto che non sussistono elementi per ritenere che "la parte abbia proposto ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità".

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1.500,00 in favore della Cassa delle Ammende.

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