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Il geometra dipendente pubblico che si appropri di denaro versato dai cittadini per definire pratiche inerenti condoni o concessioni edilizie commette il reato di peculato

Il geometra dipendente pubblico che si appropri di denaro versato dai cittadini per definire pratiche inerenti condoni o concessioni edilizie commette il reato di peculato; è irrilevante che l'appropriazione contestata al dipendente pubblico sia la conseguenza di un corretto e legittimo comportamento nell'esercizio delle sue funzioni o che derivino dall'esercizio di fatto e arbitrario di tali funzioni. Il peculato, nel caso in esame, può essere escluso solo quando sia dimostrato che il possesso di denaro sia del tutto occasionale, e che dipenda da fatti fortuiti o legati al caso.

Corte di Cassazione, Sezione fer penale, Sentenza 14 settembre 2011, n. 34086



- Leggi la sentenza integrale -

 REPUBBLICA ITALIANA 

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO 

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE 

SEZIONE FERIALE PENALE 

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: 

Dott. CASSANO Margherita Presidente del 08/09/2 - 

Dott. FAZIO Anna M. rel. Consigliere SENTE - 

Dott. TADDEI Margherita Consigliere N. - 

Dott. SABEONE Gerardo Consigliere REGISTRO GENER - 

Dott. VITELLI CASELLA Luca Consigliere N. 30208/2 - 

ha pronunciato la seguente: 

SENTENZA

sul ricorso proposto da:

Ba. Di. ;

avverso la sentenza del 13 aprile 2011 della Corte di Appello di Genova;

visti gli atti, il provvedimento denunziato e il ricorso;

udita la relazione svolta dal consigliere Dott. Anna Maria Fazio;

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. SCARDACCIONE E., che ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso.

RITENUTO IN FATTO

1. Con sentenza del 13 aprile 2011, la corte di appello di Genova ha ribadito la responsabilita' di Ba. Di. , geometra dipendente dell'Area Urbanistica del Comune di Ronco Scrivia per il delitto di peculato, affermata da quel Tribunale in relazione a 5 ipotesi, in cui egli si era appropriato del denaro versato da cittadini per la definizione di pratiche edilizie onerose, e per il delitto di truffa in altri casi in cui l'appropriazione era relativa a somme in realta' non dovute alla amministrazione, che con l'inganno l'imputato aveva fatto credere tali agli utenti. Ne confermava altresi' la pena, negandone la riduzione invocata.

2. Ricorre il difensore del Ba. e deduce la erronea qualificazione dei fatti in peculato, dato che l'imputato, per regolamento comunale e per contratto, non poteva disporre del denaro pubblico, sicche' difettava il presupposto della appartenenza delle somme versate alla PA ed i fatti commessi erano invece da qualificare come truffa, avendo egli generato delle modalita' fraudolente che avevano consentito l'accesso alla provvista. Il giudice di merito avrebbe confuso il concetto di appartenenza con quello di appropriazione. Inoltre era ingiustificata la negazione delle invocate attenuanti generiche reputando quale elemento di disvalore la contumacia, che e' invece una delle facolta' legittime dell'imputato.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso, manifestamente infondato, e' da dichiarare inammissibile, con le consequenziali statuizioni in tema di spese processuali ed ammenda in favore della cassa.

2. In ordine al primo motivo, la tesi secondo cui la sua attivita' illecita si svolgeva al di fuori della normativa che disciplina l'esazione dei crediti dell'ente, la quale potrebbe essere svolta solo dai cassieri, e' del tutto priva di fondamento e basata su un equivoco di fondo.

3. La sentenza impugnata afferma che il Ba. incassava denari provenienti dagli utenti i quali gli versavano somme che erano necessarie per la definizione di pratiche edilizie, secondo importi che erano comunque dovuti all'ente comunale; per tali pratiche, il ricorrente intascava denaro spettante alla PA ed ad essa appartenente, comportandosi di fatto quale soggetto legittimato a ricevere il pagamento.

4. E' da osservare che l'eventuale agire in violazione delle norme interne dell'ente sulla esazione dei crediti non puo' avere la conseguenza di elidere i presupposti del peculato, che si verifica tanto se il pubblico ufficiale o l'incaricato di pubblico servizio abbia la disponibilita' giuridica quanto semplicemente quella materiale del denaro altrui. Il possesso di tale denaro per ragioni di ufficio, presupposto dei delitto in questione, si verifica sia se avvenga secondo le regole che disciplinano i pagamenti all'ente sia se si realizzi con violazione delle disposizioni organizzative dell'ufficio al riguardo, potendo tale violazione costituire un illecito disciplinare che si aggiunge al peculato. E cio' perche' e' irrilevante per la consumazione del reato contestato che l'appropriazione derivi da un corretto e legittimo esercizio delle funzioni esercitate da parte dell'agente o dall'esercizio di fatto e arbitrario di tali funzioni; dovendosi escludere il peculato solo quando il possesso sia meramente occasionale, cioe' dipendente da evento fortuito o legato al caso; ma non puo' sussistere l'occasionalita' quando l'affidamento riposto dal privato nella qualifica pubblica del soggetto ha favorito l'insorgere del presupposto del reato.

5. Come e' evidente il comportamento tenuto integra a pieno il delitto di peculato, anche dal profilo della appartenenza del denaro alla PA, che il ricorrente contesta poiche' ritiene sia frutto della sua abilita' truffaldina, in quanto, nel caso delle esazioni riscosse in relazioni a prestazioni che i privati comunque dovevano effettuare, le somme gia' appartenevano alla PA a nulla rilevando le modalita' di riscossione e la eventuale irritualita' dei mezzi di pagamento, anche in contrasto con disposizioni ed assetti organizzativi dell'ufficio, e la circostanza che il pubblico ufficiale sia entrato nel possesso del bene nel rispetto o meno delle competenze che il mansionario interno prevede. (p. Sez. 6, Sentenza n. 26081 del 28/04/2004 Conformi: N. 405 del 1994 Rv. 198499, N. 11505 del 1997 Rv. 209477, N. 11417 del 2003 Rv. 224051, Sez. 6, Sentenza n. 20952 del 13/05/2009).

6. Quanto esposto esclude dunque che tutto il denaro percepito dal Ba. sia ricollegabile al delitto di truffa, dato che in punto di fatto e' pacifico che per alcuni esazioni esso era effettivamente dovuto dai cittadini e pertanto nel momento in cui il ricorrente se ne e' appropriato esso era gia' entrato "secondo norma" nel patrimonio dell'ente. Dunque il possesso del denaro da parte del ricorrente non era conseguenza di una truffa, ma si ricollegava direttamente all'illecito storno di somme da esigere per conto della PA.

7. Parimenti inammissibile e' il motivo con cui il ricorrente si duole del diniego delle generiche, che la corte ha adeguatamente motivato in considerazione della gravita' della sua condotta, della diffusione della stessa nel territorio, sulla sua negativa personalita', con argomentazioni che non manifestano ne' insufficienza ne' illogicita' e pertanto non sono censurabili in questa sede.

8. Il ricorrente e' da condannare al pagamento delle spese processuali ed a versare una somma, che si reputa equo determinare in euro mille, a favore della cassa delle ammende.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro mille in favore della cassa delle ammende.

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