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Il giudice ha l'obbligo di rigettare la richiesta di patteggiamento mancante del computo della diminuzione "fino a un terzo" della pena

In tema di procedimenti speciali, il giudice ha l'obbligo di rigettare la richiesta di patteggiamento mancante del computo della diminuzione "fino a un terzo" della pena, in quanto tale diminuzione, configurandosi come effetto tipico del rito, è prevista dalla legge come obbligatoria e non facoltativa. (In motivazione la Corte ha ulteriormente precisato che la mancata diminuzione non può essere "compensata" applicando nell'estensione massima una diminuente diversa, quale la riduzione per un'attenuante o per il tentativo). (Corte di Cassazione Sezione 3 Penale
Sentenza del 5 marzo 2009, n. 9888)



- Leggi la sentenza integrale -

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ONORATO Pierluig - est. Presidente

Dott. PETTI Ciro - Consigliere

Dott. TERESI Alfredo - Consigliere

Dott. SQUASSONI Claudia - Consigliere

Dott. AMORESANO Silvio - Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso proposto da:

PE. Ma., nato a (OMESSO);

avverso la sentenza resa il 29.10.2007 dal Tribunale di Foggia;

Visto il provvedimento denunciato e il ricorso;

Udita la relazione svolta in camera di consiglio dal Consigliere Dott. Ciro Petti;

Letta la requisitoria del Pubblico Ministero, in persona del sostituto procuratore generale Dott. MELONI Vittorio, che ha concluso chiedendo dichiararsi inammissibile il ricorso;

Preso atto che, ai sensi dell'articolo 154 disp. att. c.p.p., il presidente ha optato per la redazione personale della motivazione.

Osserva:

FATTO E DIRITTO

1 - Con sentenza del 29.10.2007 il Tribunale monocratico di Foggia, in sede di giudizio direttissimo, su concorde richiesta delle parti ex articolo 444 c.p.p., ha applicato a Pe.Ma. la pena di un anno e due mesi di reclusione e 350,00 euro di multa in ordine ai reati di cui agli articoli 56 e 624 bis c.p.p., articolo 625 c.p.p., n. 2 (per aver tentato di impossessarsi del denaro contenuto nelle gettoniere degli apparecchi da gioco ubicati all'interno di un bar, con uso di violenza sulle cose), e all'articolo 61 c.p., n. 2 e articolo 349 c.p. (per aver violato i sigilli apposti dalla Guardia di Finanza sugli apparecchi da gioco sequestrati).

Il giudice di merito, esclusa la concreta possibilita' di proscioglimento a mente dell'articolo 129 cpv. c.p., ha ritenuta congrua la pena concordata tra le parti, cosi' determinata: p.b. 3 anni di reclusione ed euro 900,00 di multa ex articolo 624 bis c.p. e articolo 625 c.p., n. 2; ridotta di due terzi ex articolo 56 c.p. (i.e. 1 anno di reclusione e 300,00 euro di multa); aumentata sino a un anno e due mesi di reclusione e a 350,00 euro di multa per la continuazione con la violazione dei sigilli.

Ha inoltre precisato di non procedere alla riduzione fino a un terzo prevista dall'articolo 444 c.p.p. perche' questa non era stata richiesta dalle parti.

Al riguardo ha osservato che, data la formulazione testuale della norma, detta riduzione non e' obbligatoria; e che, comunque, la circostanza era stata valutata applicando la riduzione massima concessa per il tentativo.

2- Il Pe. ha presentato personalmente ricorso per cassazione, deducendo violazione di legge, sotto il profilo della pena illegale, giacche' nell'istituto del patteggiamento della pena non puo' mancare il computo della riduzione prevista dall'articolo 444 c.p.p., sia pure nella sua portata minima.

3- Il ricorso e' fondato e va pertanto accolto.

In tema di patteggiamento della pena e' consolidato il principio secondo cui il giudice, che non deve pronunciare sentenza di proscioglimento ex articolo 129 c.p.p., una volta accertata la corretta qualificazione giuridica del fatto, non ha altra alternativa che ratificare la pena concordata, se la ritiene corrispondente ai canoni di legge, oltre che congrua alla sua finalita' rieducativa secondo le indicazioni della sentenza n. 313/1990 della Corte costituzionale;

ovvero respingere la richiesta, se ritiene il patteggiamento illegittimo, in quanto estraneo ai presupposti sostanziali e processuali previsti dalla legge, o se ritiene la pena concordata incongrua o illegale.

Ne deriva che il giudice non ha un potere di procedere autonomamente a una revisione discrezionale della pena proposta dalle parti e degli elementi che hanno concorso alla sua quantificazione definitiva (v. Cass. Sez. 3, n. 110 del 17.1.1994, P.M. in proc. Badaoui, mass. 196957; Cass. Sez. 4, n. 35164 del 19.6.2003, P.G. in proc. Di Dio, mass. 226176).

Il suo ruolo al riguardo, insomma, e' solo quello di ratificare o di rigettare il negozio processuale stipulato tra le parti, o quanto meno - per chi esclude la qualificazione negoziale dell'istituto - la volonta' convergente espressa tra le parti medesime in ordine alla determinazione della pena.

Tanto premesso, il problema del caso concreto si riduce a quello di stabilire se la diminuzione della pena "fino a un terzo" prevista dall'articolo 444 c.p.p. sia obbligatoria oppure facoltativa.

Il tenore letterale della norma e l'inquadramento sistematico dell'istituto non lasciano dubbi in proposito.

L'articolo 444, comma 1 cosi' come sostituito dalla Legge 12 giugno 2003, n. 134, articolo 1 nel configurare la richiesta della pena c.d. patteggiata, precisa espressamente che questa e' determinata tenendo conto delle circostanze del reato e diminuendola "fino a un terzo", con cio' chiaramente indicando, da una parte, i limiti della diminuzione c.d. processuale e, dall'altra, escludendone il carattere facoltativo.

Sotto il profilo sistematico, la diminuzione e' un istituto premiale di natura processuale, che si configura come un effetto tipico del patteggiamento, sicche' deve essere applicata per il solo fatto della scelta del rito.

Per conseguenza, il giudice non puo' ritenere legale, e quindi non puo' ratificare, una pena concordata tra le parti nella quale non sia computata la diminuzione fino a un terzo per effetto del rito prescelto.

E nemmeno puo' compensare la mancata diminuzione con la considerazione che le parti hanno applicato nella massima estensione altra diminuzione di legge, per esempio per una circostanza attenuante o per il tentativo, giacche' in tal modo si verrebbe indebitamente a sostituire alla volonta' delle parti, che - come gia' osservato - puo' essere soltanto ratificata o respinta, ma non modificata.

Contro questa conclusione non puo' valere l'argomento prospettato dal procuratore generale in sede, il quale ha concluso per l'inammissibilita' del ricorso, nella considerazione che "le parti, una volta intervenuti l'accordo e la ratifica del giudice, non possono piu' recedere dall'irretrattabile patteggiamento e non possono proporre questioni e censure in ordine (...) all'entita' e modalita' di applicazione della pena".

Infatti, se e' vero che le parti non possono piu' recedere dal patteggiamento gia' concluso e ratificato, e' altrettanto vero che l'ordinamento processuale non inibisce loro la possibilita', prevista dal combinato disposto dell'articolo 448 c.p.p., comma 2, e articolo 606 c.p.p., di proporre ricorso per cassazione denunciando una violazione di legge nella determinazione della pena o un altro dei motivi previsti nello stesso articolo 606 c.p.p. che non sia strutturalmente incompatibile con l'istituto del patteggiamento.

P.Q.M.

la Corte suprema di cassazione annulla senza rinvio la sentenza impugnata, disponendo la trasmissione degli atti al Tribunale di Foggia.

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