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Il sequestro di persona compiuto durante la rapina è assorbita in quest'ultimo delitto solo quando siano connesse da un rapporto di funzionalità

La privazione della libertà personale costituisce ipotesi aggravata del delitto di rapina (e rimane in essa assorbita) solo quando la stessa si trovi in rapporto funzionale con la esecuzione della rapina medesima, mentre, nell'ipotesi in cui la privazione della libertà non abbia una durata limitata al tempo strettamente necessario alla consumazione della rapina, ma ne preceda o ne segua l'attuazione, in ogni caso protraendosi oltre il suddetto limite temporale, il reato di sequestro di persona concorre con quello di rapina, così come avviene allorquando essa si protragga (anche solo per pochi minuti) dopo la consumazione della rapina al fine di consentire ai rapinatori di allontanarsi più agevolmente.

Corte di Cassazione Sezione 2 Penale, Sentenza del 24 giugno 2009, n. 26279



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REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MONASTERO Francesco - Presidente

Dott. GALLO Domenico - Consigliere

Dott. MANNA Antonio - rel. Consigliere

Dott. CERVADORO Mirella - Consigliere

Dott. CHINDEMI Domenico - Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso proposto da:

Di. Pa. Vi. ;

avverso l'ordinanza dell'8.10.2008 del Tribunale di Torino, sezione riesame;

visti gli atti, il provvedimento impugnato ed il ricorso;

udita in Camera di consiglio la relazione del Consigliere Dott. MANNA Antonio;

udito il Procuratore Generale nella persona del Dott. FRATICELLI Mario, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

OSSERVA

Con ordinanza dell'8 ottobre 2008 il Tribunale di Torino, sezione riesame, confermava l'ordinanza di custodia cautelare in carcere emessa il 9 ottobre 2008 dal GIP del Tribunale di Tortona nei confronti di Di. Pa. Vi. per i delitti di concorso in due rapine aggravate in banca (una commessa a (OMESSO), l'altra a (OMESSO)) e sequestro di persona.

Tramite il proprio difensore ricorre il Di. Pa. contro detta ordinanza, di cui chiede l'annullamento per i motivi qui di seguito riassunti:

a) mancanza e/o manifesta illogicita' della motivazione nella parte in cui il Tribunale del riesame aveva ritenuto non assorbito, nell'ambito dell'ipotesi accusatoria, il delitto di sequestro di persona in quello di rapina nonostante che le parti offese fossero state condotte all'interno di bagni non chiusi (non essendone stata trovata la chiave) e tenutevi per un tempo assai breve (variamente riferito in sede di s.i. dai presenti), senza che fosse dato comprendere perche' esso fosse sufficiente ad integrare il delitto p. e p. ex articolo 605 c.p.; in tal senso i Giudici del riesame avevano travisato i dati processuali; inoltre, nessuna risultanza probatoria autorizzava a ritenere che vi fosse stata una cesura tra la condotta di impossessamento violento propria della rapina e quella di privazione dell'altrui liberta' personale;

b) mancanza e/o manifesta illogicita' della motivazione sulla gravita' indiziaria relativamente ai delitti di rapina contestati al Di. Pa. , su cui il Tribunale aveva argomentato solo per relationem, rifacendosi alle considerazioni svolte nel titolo custodiale, ma senza rispondere alle specifiche censure sollevate in sede di riesame in ordine ai risultati delle individuazioni fotografiche in atti, dei fotogrammi estrapolati dai sistemi di videosorveglianza delle banche, degli accertamenti dattiloscopici, delle intercettazioni telefoniche, dalla scarsa attendibilita' dell'unico riconoscimento compiuto; del pari viziata era la motivazione sulla contraddittoria chiamata in correita' operata dal Dr. , come emergeva dallo stralcio di alcuni passaggi delle sue dichiarazioni.

1 - Il primo motivo di doglianza e' manifestamente infondato, avendo l'impugnata ordinanza fatto esatta applicazione del costante insegnamento di questa S.C. (da cui non si ravvisa motivo di discostarsi) secondo cui la privazione della liberta' personale costituisce ipotesi aggravata del delitto di rapina (e rimane in essa assorbita) solo quando si trovi in rapporto funzionale con l'esecuzione della rapina medesima, mentre il reato di sequestro di persona concorre con quello di rapina ove la privazione della liberta' non abbia una durata limitata al tempo strettamente necessario alla consumazione della rapina, ma ne preceda o ne segua l'attuazione, in ogni caso protraendosi oltre il suddetto limite temporale (cfr., ad es., Cass. Sez. 2 n. 29445 del 21.5.2003, dep. 14.7.2003; Cass. Sez. 2 n. 9387 del 15.6.2000, dep. 2.9.2000; cfr. altresi' Cass. Sez. 3 n. 37880 del 22.6.2004, dep. 24.9.2004), cosi' come avviene allorquando si protragga dopo la consumazione al fine di consentire ai rapinatori di allontanarsi piu' agevolmente (cfr. Cass. Sez. 2 n. 7390 del 6.12.90, dep. 12.7.91), come - appunto - accaduto nella fattispecie.

Infatti, lo stesso ricorso, nel momento in cui richiama le s.i. che riferiscono che i rapinatori avevano chiuso - anche se non a chiave - in bagno tutti i presenti nella filiale della banca, intimando loro di non uscirne prima di 2 - 3 minuti ("Dopo qualche minuto i rapinatori accompagnavano tutti i presenti nel bagno e ci intimavano di non uscirne prima di due - tre minuti"; "Ci intimavano di restare dentro e di non uscirne altrimenti ci avrebbero fatto del male"), descrive una classica modalita' operativa in cui il sequestro, lungi dal coincidere con il tempo occorrente alla rapina (che si perfeziona con il mero impossessamento della cosa mobile sottratta a chi la detiene e non gia' con l'allontanamento dell'autore), ne seguiva la consumazione protraendosi oltre, estendendosi cioe' al tempo necessario a consentire la fuga dei rapinatori.

A sua volta di tale tempo - che, alla stregua delle stesse affermazioni che si leggono in ricorso, sarebbe stato variamente indicato dalle parti offese in due o tre minuti o comunque in pochi minuti (o con altre espressioni sostanzialmente equipollenti) - non puo' negarsi l'apprezzabilita', come gia' ripetutamente sancito da questa Corte Suprema, che ha configurato la condotta p. e p. ex articolo 605 c.p. anche a fronte di privazioni della liberta' durate solo pochi minuti (cfr. ad es., Cass. Sez. 5 n. 43713 del 22.11.2002, dep. 30.12.2002, rv. 223503).

Ne' costituisce vizio di travisamento denunciabile in relazione all'articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera e) l'aver l'impugnata ordinanza qualificato come "un certo periodo di tempo successivo al perfezionamento del reato" i pochi minuti di cui sopra.

Invero la giurisprudenza di questa S.C. (cfr. Cass. n. 15556 del 12.2.2008, dep. 15.4.2008; Cass. n. 39048/2007, dep. 23.10.2007; Cass. n. 35683 del 10.7.2007, dep. 28.9.2007; Cass. n. 23419 del 23.5.2007, dep. 14.6.2007; Cass. n. 13648 del 3.4.06, dep. 14.4.2006, ed altre) si e' consolidata nello statuire che la previsione secondo cui il vizio della motivazione puo' risultare, oltre che dal testo del provvedimento impugnato, anche da "altri atti del processo", purche' specificamente indicati nei motivi di impugnazione, non ha trasformato il ruolo e i compiti del giudice di legittimita', il quale e' tuttora giudice della motivazione, senza essersi trasformato in un ennesimo giudice del fatto. In questa prospettiva il richiamo alla possibilita' di apprezzarne i vizi anche attraverso gli "atti del processo" rappresenta null'altro che il riconoscimento normativo della possibilita' di dedurre in sede di legittimita' il cd. travisamento della prova finora ammesso in via di interpretazione giurisprudenziale. E' quel vizio in forza del quale la Corte, lungi dal procedere ad una (inammissibile) rivalutazione del fatto (e del contenuto delle prove), prende in esame gli elementi di prova risultanti dagli atti onde verificare se il relativo contenuto e' stato veicolato o meno, senza travisamenti, all'interno della decisione.

Nel particolare della prova dichiarativa, va ricordato che per sua stessa natura essa e' scandita da significati non univoci: infatti, salvi i casi limite in cui l'oggetto della deposizione sia del tutto definito o attenga alla proposizione di un dato storico assolutamente semplice e non opinabile, ogni narrazione e' sempre frutto di una percezione soggettiva del dichiarante anche se attiene a fatti di sua diretta scienza, con la conseguenza che il giudice di merito, nel valutare i contenuti della deposizione testimoniale, e' sempre chiamato a depurare, in diversa misura, il dichiarato dalle possibili cause di (fisiologica) interferenza provenienti dal dichiarante medesimo (capacita' cognitiva e di memorizzazione, sensibilita' percettiva, stato di coinvolgimento emotivo nella vicenda su cui e' chiamato a rispondere ecc).

Nel caso di specie il Tribunale del riesame non ha malamente riferito il tenore delle s.i., ma si e' limitato ad accertarlo in punto di fatto (il che sfugge al sindacato di questa S.C.) per poi attribuirgli una valenza in punto di diritto conforme al summenzionato insegnamento giurisprudenziale.

2 - Per il resto il ricorso e' inammissibile perche' per certi aspetti sostanzialmente sollecita una mera differente lettura degli atti - il che e' ovviamente precluso in sede di legittimita' -, per altri lamenta un'omessa motivazione senza pero' chiarire adeguatamente le censure rimaste inevase: a tal fine non basta censurare i risultati delle individuazioni fotografiche in atti, dei fotogrammi estrapolati dai sistemi di videosorveglianza delle banche, degli accertamenti dattiloscopici, delle intercettazioni telefoniche, o la scarsa attendibilita' dell'unico riconoscimento compiuto, perche' anche in tal modo si chiede soltanto un'inammissibile terza deliberazione in punto di fatto.

Ne' a tali lacune il ricorrente puo' ovviare mediante rinvio ai motivi d'appello, cosi' non consentendo l'autonoma individuazione delle questioni che si assumono irrisolte o malamente risolte e sulle quali si sollecita il sindacato di legittimita', dovendo l'atto di ricorso essere autosufficiente, cioe' contenere la precisa prospettazione delle ragioni di diritto e degli elementi di fatto da sottoporre alla verifica di questa Corte Suprema (cfr. ad es. Cass. Sez. 6 n. 21858 del 19.12.2006, dep. 5.6.2007; Cass. Sez. 2 n. 27044 del 29.5.2003, dep. 20.6.2003; Cass. Sez. 5 n. 2896 del 9.12.98, dep. 3.3.99; Cass. S.U. n. 21 dell'11.11.94, dep. 11.2.95).

Ne' e' fondata la doglianza relativa alla motivazione per relationem, per altro perfettamente consentita allorquando - come avvenuto nel caso di specie - svolga una funzione integrativa di un provvedimento gia' conosciuto o conoscibile dalla parte (cfr. Cass. Sez. 5 n. 11191 del 12.2.2002, dep. 19.3.2002: nella specie, l'ordinanza custodiale, ben conosciuta dall'indagato che, appunto, l'ha impugnata), inserendosi in un contesto che disattende i motivi di gravame con un richiamo ad accertamenti e ad argomenti contenuti nel provvedimento custodiale che, per costante giurisprudenza di questa Corte, costituisce un unicum motivazionale con l'ordinanza del riesame ove quest'ultima faccia proprie le argomentazioni spese dal GIP: in realta' i Giudici del riesame non si sono neppure limitati a rinviare alle motivazioni enunciate dal GIP, ma hanno altresi' analiticamente ripercorso gli snodi fondamentali del quadro accusatorio relativo al Di. Pa. , il suo insistito riconoscimento ad opera del teste Li. in ordine alla rapina commessa a (OMESSO), gli accertati spostamenti del ricorrente da (OMESSO), l'identita' di modus operandi (anche mediante l'uso della tecnica del cd. silenzio telefonico al momento di commettere la rapina), nonche' la chiamata in correita' ad opera del Dr. , munita di riscontri interni ed esterni.

A quest'ultimo riguardo la mera estrapolazione (che si legge in ricorso) di qualche brevissimo passaggio delle dichiarazioni del collaboratore non consente di evincerne intime contraddizioni, giacche' qualsiasi apprezzamento in merito richiederebbe - per le ragioni innanzi esposte - la conoscenza dell'intero quadro delle risultanze probatorie, cioe' di tutti gli atti processuali (e delle complete propalazioni del narrante), pacificamente non ostensibili al giudice di legittimita'.

3 - In conclusione, va dichiarata l'inammissibilita' del ricorso. Ex articolo 616 c.p.p. consegue la condanna del ricorrente alle spese processuali ed al versamento a favore della cassa delle ammende di una somma che stimasi equo quantificare in euro 1.000,00 alla luce dei profili di colpa ravvisati nell'impugnazione, secondo i principi affermati dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 186/2000.

P.Q.M.

La Corte Suprema di Cassazione, Seconda Sezione Penale, dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro 1.000,00 alla cassa delle ammende.

Si provveda a norma dell'articolo 94 disp. att. c.p.p., comma 1 ter.

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