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In tema di doping non è tuttavia ravvisabile l'elemento del profitto in chi assume anabolizzanti acquistati nel circuito illegale con l'unico fine perseguito consistente nella volontà di modificare il proprio aspetto fisico

In tema di doping, sebbene la legge antidoping punisca anche i semplici assuntori di anabolizzanti, e non solo chi vende questi prodotti o ne favorisce il mercato, non è tuttavia ravvisabile l'elemento del profitto in chi assume anabolizzanti acquistati nel circuito illegale con l'unico fine perseguito consistente nella volontà di modificare il proprio aspetto fisico, anche a costo di assumere sostanze tossiche, palesemente dannose per la salute ed il benessere psico-fisico. In particolare, non può essere condivisa la tesi secondo cui deve essere considerato come profitto perseguito anche la finalità di miglioramento delle proprie prestazioni o aspetto fisico e quindi anche la soddisfazione di un piacere narcisistico; in caso contrario si arriverebbe a includere nella nozione di profitto ogni circostanza che, senza ledere diritti o interessi altrui, si risolva in una mera lesione della sfera soggettiva dell'agente. PUBBLICAZIONE Il Sole 24 Ore, www.guidaaldiritto.ilsole24ore.com, 2012

Corte di Cassazione, Sezione 2 penale, Sentenza 9 gennaio 2013, n. 843



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REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PETTI Ciro - Presidente

Dott. IANNELLI Enzo - Consigliere

Dott. GALLO Domenico - rel. Consigliere

Dott. DIOTALLEVI Giovanni - Consigliere

Dott. ARIOLLI Giovanni - Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso proposto da:

(OMISSIS), nato a (OMISSIS);

(OMISSIS), nato a (OMISSIS);

(OMISSIS), nato a (OMISSIS);

avverso la sentenza 4/4/2012 della Corte d'appello di l'Aquila sezione penale;

visti gli atti, il provvedimento impugnato ed il ricorso;

udita la relazione svolta dal consigliere Domenico Gallo;

udito il Pubblico Ministero in persona del Sostituto Procuratore generale, Dott. POLICASTRO Aldo, che ha concluso per l'annullamento con rinvio;

udito per l'imputato (OMISSIS), l'avv. (OMISSIS), per l'imputato (OMISSIS) e (OMISSIS) l'avv. (OMISSIS), anche in sostituzione dell'avv. (OMISSIS) che hanno concluso per l'accoglimento del ricorso.

RITENUTO IN FATTO

1. Con sentenza in data 4/4/2012, la Corte di appello di l'Aquila, in parziale riforma della sentenza del Gup presso il Tribunale di Pescara, in data 17/6/2008, rideterminava in mesi 5 di reclusione ed euro 300,00 di multa la pena inflitta a (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS) per i reati di ricettazione di farmaci dopanti, ritenuta l'ipotesi lieve.

2. La Corte territoriale respingeva le censure mosse con l'atto d'appello, e confermava le statuizioni del primo giudice, ritenendo accertata la penale responsabilita' dell'imputato in ordine ai reati a loro ascritti, provvedendo solo a ridurre la pena.

3. Avverso tale sentenza propongono separati ricorsi tutti e tre gli imputati per mezzo dei rispettivi difensori di fiducia.

4. (OMISSIS) deduce violazione di legge per errata interpretazione dell'articolo 648 c.p.. Al riguardo contesta la sussistenza, nel caso di specie, degli estremi della ricettazione, sia per l'assenza di un delitto presupposto, sia per l'assenza del fine di lucro nella condotta dell'agente.

5. (OMISSIS) solleva tre motivi di gravame con i quali deduce:

5.1 Erronea applicazione della legge penale.

Al riguardo eccepisce che vi e' un rapporto di specialita' fra la Legge n. 376 del 2000, articolo 9, e l'articolo 648 c.p.. Trattandosi di un concorso apparente di norme incriminatrici, l'unica legge applicabile sarebbe stata quella speciale, contestata all'imputato con il capo di imputazione sub A).

5.2 Vizio della motivazione in ordine alla consapevolezza, in testa all'agente, della provenienza illecita dei medicinali dopanti. Al riguardo si duole che la Corte abbia ricavato tale consapevolezza sulla base di mere congetture, considerando un "fatto notorio" cio' che costituiva una mera ipotesi.

5.3 Vizio della motivazione e violazione di legge in relazione alla ritenuta sussistenza del dolo specifico. Al riguardo eccepisce che non puo' configurarsi il fine di profitto nell'ipotesi di acquisto di sostanze dopanti per un mero piacere narcisistico, essendo la situazione del consumatore di sostanze dopanti simile alla situazione del consumatore di sostanze stupefacenti, dovendosi escludere che l'intossicazione di sostanze dopanti possa costituire un qualche vantaggio genericamente economico.

6. (OMISSIS) solleva quattro motivi di ricorso con i quali deduce:

6.1 Violazione dell'articolo 15 c.p., e dei principi di elaborazione giurisprudenziale ad esso connessi e correlati, quali i principi di assorbimento, consunzione e sussidiarieta', per aver ritenuto astrattamente ammissibile il concorso fra il reato di cui all'articolo 648 c.p., e quello di cui alla Legge n. 376 del 2000, articolo 9, comma 1, omettendo di riconoscere il riassorbimento del reato di ricettazione in quello di assunzione di sostanze dopanti.

6.2 Carenza ed illogicita' della motivazione in punto di esclusione del rapporto di specialita' fra i due delitti contestati.

6.3 Carenza ed illogicita' della motivazione in punto di vantazione dell'elemento soggettivo del reato.

6.4 Carenza di motivazione per l'omessa pronunzia in ordine alla richiesta di revoca della sospensione condizionale della pena subordinatamente all'accoglimento della richiesta di sostituzione della pena detentiva con la pena pecuniaria.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. I ricorsi sono fondati per i motivi di seguito esposti.

2. Preliminarmente occorre richiamare l'arresto delle Sezioni Unite di questa Corte che hanno statuito che il reato di commercio di sostanze dopanti attraverso canali diversi da farmacie e dispensari autorizzati (Legge 14 dicembre 2000, n. 376, articolo 9, comma 7) puo' concorrere con il reato di ricettazione (articolo 648 c.p.), in considerazione della diversita' strutturale delle due fattispecie - essendo il reato previsto dalla legge speciale integrabile anche con condotte acquisitive non ricollegabili ad un delitto - e della non omogeneita' del bene giuridico protetto, poiche' la ricettazione e' posta a tutela di un interesse di natura patrimoniale, mentre il reato di commercio abusivo di sostanze dopanti e' finalizzato alla tutela della salute di coloro che partecipano alle manifestazioni sportive (Cass. Sez. U, Sentenza n. 3087 del 29/11/2005 Cc. (dep. 25/01/2006) Rv. 232558; Cass. Sez. 2, Sentenza n. 12744 del 11/03/2010 Ud.(dep.01/04/2010) Rv. 246672).

3. Tale arresto, tuttavia, non ha preso in considerazione il concorso fra la ricettazione ed il reato di cui alla Legge n. 376 del 2000, articolo 9, comma 1, in quanto si riferisce esclusivamente al reato di commercio di sostanze dopanti di cui all'articolo 9, comma 7.

Qualora si ponesse il problema, che nel caso di specie non rileva - dal momento che gli imputati sono stati assolti dal reato di cui all'articolo 9, comma 1 - del concorso fra il reato di cui al comma 1 e la ricettazione, al contrario di quanto ritengono i ricorrenti, sarebbe il reato di uso di sostanze dopanti ad essere assorbito dal reato di ricettazione e non viceversa. Infatti la norma in parola prevede che:

"Salvo che il fatto costituisca piu' grave reato, e' punito con la reclusione da tre mesi a tre anni e con la multa da lire 5 milioni a lire 100 milioni chiunque procura ad altri, somministra, assume o favorisce comunque l'utilizzo di farmaci o di sostanze biologicamente o farmacologicamente attive, ricompresi nelle classi previste all'articolo 2, comma 1, che non siano giustificati da condizioni patologiche e siano idonei a modificare le condizioni psicofisiche o biologiche dell'organismo, al fine di alterare le prestazioni agonistiche degli atleti, ovvero siano diretti a modificare i risultati dei controlli sull'uso di tali farmaci o sostanze".

L'inciso: "salvo che il fatto costituisca piu' grave reato" comporta l'assorbimento del reato speciale in quello di ricettazione, nel caso di concorso (apparente) di norme incriminatrici.

4. Pertanto devono essere respinte, siccome infondate, le censure sollevate dai ricorrenti che eccepiscono l'assorbimento del reato di ricettazione in quello di utilizzo di sostanze dopanti.

5. E' fondata, invece, l'eccezione, comune ai tre ricorrenti, in ordine alla non integrazione della fattispecie legale del delitto di ricettazione per difetto dell'elemento soggettivo del dolo specifico in testa all'agente, vale a dire di aver compiuto l'azione "al fine di procurare a se' o ad altri un profitto".

6. Al riguardo la Corte territoriale nel respingere l'analoga eccezione sollevata con i motivi d'appello ha osservato:

"Quanto poi al fine di profitto con tale condotta perseguito va condivisa la puntuale valutazione del Gup circa la natura di tale elemento. Infatti e' assolutamente costante la giurisprudenza nel differenziare nell'ambito dei reati contro il patrimonio l'elemento del danno, che deve essere patrimoniale ed economicamente apprezzabile da quello del profitto che puo' essere anche non patrimoniale, potendo consistere in qualsiasi utilita' o vantaggio, persino di ordine morale. Rileva quindi quale evidente profitto perseguito anche la finalita' di miglioramento delle proprie prestazioni o aspetto fisico e quindi anche la soddisfazione di un piacere narcisistico di cui parlano gli appellanti".

7. Alla luce dei presupposti di fatto, tali conclusioni non possono essere condivise in quanto, attraverso una elaborazione illogica del concetto di profitto, pervengono ad una svalutazione del dolo specifico, con cio' integrando una violazione di legge.

8. Quanto ai presupposti di fatto, occorre precisare che nel caso di specie e' stato escluso che gli imputati avessero fatto uso delle sostanze anabolizzanti, che si erano procurate attraverso un circuito illegale, al fine di alterare delle prestazioni agonistiche. Si deve pertanto, escludere che nella fattispecie sussistesse un fine di profitto sportivo, collegato alla partecipazione a manifestazioni agonistiche, competizioni od altro. L'unico fine perseguito dagli agenti consisteva nella volonta' di modificare il proprio aspetto fisico, anche a costo di assumere sostanze tossiche, palesemente dannose per la salute ed il loro benessere psico-fisico.

9. In tema di elemento psicologico del reato di ricettazione, secondo un orientamento risalente, ma del tutto pacifico, di questa Corte, la nozione di profitto prevista dall'articolo 648 c.p., comprende non solo il lucro, ma qualsiasi utilita', anche non patrimoniale, che l'agente si proponga di conseguire. (Cass. Sez. 2, Sentenza n. 9997 del 09/06/1981 Ud. (dep. 07/11/1981) Rv. 150867; conf. mass. nn. 142633 e 113288, Cass. 25 marzo 1954, Beggiato).

Non puo' essere revocato in dubbio, pertanto, che anche una utilita' esclusivamente morale possa integrare il fine di profitto.

10. Tuttavia e' altrettanto evidente che se la latitudine del concetto di profitto puo' essere estesa a qualsiasi utilita', la nozione di utilita', a sua volta non puo' essere estesa all'infinito. Diversamente ragionando si perverrebbe ad una interpretazione abrogante del dolo specifico richiesto dalla norma, con la conseguenza che la condotta di acquisto o ricezione di cosa proveniente da delitto sarebbe punibile solo sulla base del dolo generico, vale a dire la semplice conoscenza dell'origine illecita della cosa.

11. Ritiene il Collegio che la nozione di utilita' non possa essere forzata fino al punto da includervi anche la mera utilita' negativa, vale a dire ogni circostanza che, senza ledere diritti od interessi altrui, si risolva in una mera lesione della sfera soggettiva dell'agente.

Di conseguenza deve escludersi che il fine di compiere una azione in danno di se' stessi, sia pure perseguendo un' utilita' meramente immaginaria o fantastica (come nel caso di specie), possa integrare il fine di profitto, vale a dire il dolo specifico previsto dalla norma di cui all'articolo 648 per la punibilita' delle condotte ivi descritte.

Diversamente ragionando si arriverebbe al paradosso di considerare dettata dal fine di profitto l'azione di chi si procuri, attraverso un circuito illecito, dei barbiturici allo scopo di suicidarsi. Secondo le norme piu' elementari della logica, invece, non puo' essere revocato in dubbio che il suicidio, o altri atti lesivi della propria integrita' psico-fisica non possano essere ricondotti alla nozione di utilita', a meno che le lesioni alla propria integrita' non siano strumentali ad altri fini (per es. il conseguimento di un miglior risultato sul piano agonistico), che nel caso di specie non sussistono.

12. Per le ragioni su esposte puo' essere formulato il seguente principio di diritto:

"il dolo specifico del fine di profitto, previsto dall'articolo 648 c.p., per integrare la condotta di reato, non puo' consistere in una mera utilita' negativa, che si verifica ogni volta che l'agente agisca allo scopo di commettere un'azione esclusivamente in danno di se' stesso, sia pure perseguendo un'utilita' meramente immaginaria o fantastica".

13. Di conseguenza la sentenza impugnata deve essere annullata, senza rinvio, perche' il fatto non costituisce reato.

P.Q.M.

Annulla senza rinvio la sentenza impugnata perche' il fatto non costituisce reato.

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