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In tema di illecita detenzione di stupefacenti, l'aiuto prestato «in corso d'opera» può rientrare nella fattispecie del concorso di persone nel reato, e non del favoreggiamento

In tema di illecita detenzione di stupefacenti, l'aiuto prestato «in corso d'opera» rientra nella fattispecie del concorso di persone nel reato, e non del favoreggiamento, quando vi sia la consapevolezza di contribuire anche in minima parte alla realizzazione di una condotta più articolata. In questa prospettiva, la condotta di chi abbia svolto il ruolo di «palo» funzionale a segnalare l'eventuale presenza della polizia, già di per sé giustifica una responsabilità a titolo di concorso nel reato di cui all'articolo 73 del Dpr 9 ottobre 1990 n. 309. Infatti, ai fini della configurabilità della fattispecie del concorso di persone nel reato, il contributo concorsuale assume rilevanza non solo quando abbia efficacia causale, ponendosi come condizione dell'evento lesivo, ma anche quando assuma la forma di un contributo agevolatore, e cioè quando il reato, senza la condotta di agevolazione, sarebbe ugualmente commesso ma con maggiori incertezze di riuscita o difficoltà. Ne deriva che, a tal fine, è sufficiente che la condotta di partecipazione si manifesti in un comportamento esteriore che arrechi un contributo apprezzabile alla commissione del reato, mediante il rafforzamento del proposito criminoso o l'agevolazione dell'opera degli altri concorrenti e che il partecipe, per effetto della sua condotta, idonea a facilitarne l'esecuzione, abbia aumentato la possibilità della produzione del reato.




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REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DE ROBERTO Giovanni - Presidente

Dott. AGRO' Antonio Stefa - Consigliere

Dott. SERPICO Francesco - Consigliere

Dott. DOGLIOTTI Massimo - Consigliere

Dott. FIDELBO Giorgio - Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso proposto da:

1) CO. Gi., nato a (OMESSO);

2) TA. Ra., nato a (OMESSO);

avverso la sentenza del 13 giugno 2005 emessa dalla Corte d'appello di Palermo;

visti gli atti, la sentenza impugnata e il ricorso;

sentita la relazione del Consigliere Dott. Giorgio Fidelbo;

letta la richiesta del Sostituto Procuratore Generale, Dott. Santi Consolo, che ha chiesto il rigetto dei ricorsi.

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1. - La Corte d'appello di Palermo, in parziale riforma della sentenza del Tribunale di Trapani in data 12 luglio 2004, ritenuta l'ipotesi del fatto lieve prevista dal Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990 articolo 73 comma 5, condannava Co.Gi. e Ta.Ra. alla pena di un anno e otto mesi di reclusione ed euro 2.000,00 di multa ciascuno, eliminando la pena accessoria dell'interdizione temporanea dai pubblici uffici.

2. - Nell'interesse di Co.Gi. il difensore di fiducia ha proposto ricorso per cassazione.

Con un primo motivo si deduce vizio di motivazione della sentenza, per non aver tenuto conto della condizione di tossicodipendente dell'imputato e dei suoi compartecipi, condizione che, assieme al dato ponderale della sostanza sequestrata, avrebbe dovuto comportare l'inquadramento della condotta nell'ambito dell'illecito amministrativo di cui al Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990 articolo 75 riconoscendo l'uso personale.

Con l'altro motivo si denuncia violazione e falsa applicazione dell'articolo 81 cpv. c.p. e articolo 671 c.p.p., nonche' difetto di motivazione, in quanto la Corte d'appello avrebbe escluso la sussistenza del vincolo della continuazione con i fatti giudicati separatamente con sentenza emessa dal G.u.p. del Tribunale di Trapani in data 18 febbraio 2005, nonostante i reati fossero stati commessi nel medesimo contesto temporale (tra il (OMESSO)).

3. - Nell'interesse di Ta.Ra. ha presentato ricorso per cassazione il suo difensore di fiducia.

Con il primo motivo si deduce vizio di motivazione della sentenza sotto differenti profili:

- si rileva l'illogicita' della tesi espressa dai giudici di secondo grado, secondo i quali la presenza dell'imputato all'esterno dell'abitazione dello Sc. si spiega con i compiti di "palo" affidati allo stesso, non potendo escludersi, sulla base del medesimo quadro probatorio, che il Ta. stesse aspettando la sua fidanzata, come ha sempre sostenuto. Si tratterebbe di una spiegazione alternativa, che sottrae univocita' e certezza all'argomento adottato dai giudici di merito;

- si sostiene che la sentenza non abbia tenuto conto che la stessa conformazione dei luoghi non richiedeva un palo;

- si afferma che l'aver avvertito gli amici dell'arrivo della polizia non puo' automaticamente significare concorso nell'attivita' di detenzione della droga e, inoltre, non vi sarebbe comunque la prova che abbia aiutato i complici nel confezionamento delle dosi, ne' l'elemento di prova indicato dai giudici nella vicinanza del Ta. al "pensile", dove venne trovata della droga, appare univoco per riconoscere la sua responsabilita'.

Con l'ultimo motivo si censura la decisione per aver escluso la configurabilita' del reato di favoreggiamento a carico dell'imputato.

MOTIVI DELLA DECISIONE

4. Secondo i giudici d'appello la responsabilita' degli imputati, ai quali e' stata contestata l'illecita detenzione a fini di spaccio di sostanza stupefacente di tipo cocaina (articolo 110 c.p. e Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990 articolo 73), in concorso con Sc.Mi., risulta provata dall'esito della perquisizione operata nell'appartamento dello Sc., presso il quale sono stati sorpresi, il Co. all'interno e il Ta. all'esterno, con compiti di sorveglianza.

5. Nel suo primo motivo di ricorso Co.Gi. ha dedotto il vizio di motivazione della sentenza per aver ritenuto sussistente l'ipotesi della detenzione a fine di spaccio, anziche' per uso personale, sostenendo che i giudici avrebbero dovuto considerare sia il dato ponderale della sostanza sequestrata, sia la condizione di tossicodipendente.

Le censure appaiono del tutto infondate.

Il ricorrente non sembra aver tenuto presente che la sentenza impugnata ha coerentemente valutato entrambe le circostanze sopra indicate, in base alle quali, riformando parzialmente la decisione di primo grado, ha ritenuto sussistente l'ipotesi del fatto lieve di cui al Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990 articolo 73 comma 5, giustificando tale scelta in relazione alla modestia del principio attivo contenuto nella sostanza stupefacente e alla presumibile destinazione di una quota di sostanza per consumo personale, proprio in quanto soggetti tossicodipendenti. Si tratta di una valutazione che poggia su una motivazione immune da vizi logici e su un attenta lettura degli elementi di prova acquisiti, che non puo' essere messa in discussione dall'alternativa ricostruzione dei fatti proposta dal ricorrente.

5.1. Infondato e' anche l'altro motivo proposto dal Co., relativo al mancato riconoscimento della continuazione con i fatti-reato di cui alla sentenza di condanna emessa dal G.u.p. del Tribunale di Trapani.

Sul punto i giudici d'appello hanno escluso la sussistenza del vincolo della continuazione tra i due episodi, tenuto conto del lasso di tempo intercorso tra i fatti, sintomatico della assenza di un identico disegno criminoso, necessario per riconoscere l'ipotesi di cui all'articolo 81 cpv. c.p.. Anche in questo caso, si tratta di una motivazione assolutamente coerente e che ha fatto corretta applicazione della norma penale.

6. Infondati sono pure i motivi presentati nel ricorso di Ta. Ra..

Si deve innanzitutto rimarcare che il sindacato di legittimita' si limita al riscontro dell'esistenza di una motivazione che rispetti i canoni logici, verificando cioe' che sussista una coordinazione logica tra le varie proposizioni della motivazione, senza alcuna possibilita' di effettuare una diversa valutazione delle emergenze procedimentali, essendo limitati i vizi denunciabili, quanto alla motivazione, alla mancanza, alla contraddittorieta' ovvero alla manifesta illogicita' risultante dal testo o da altri atti del processo specificamente indicati. Ne consegue che le censure che vengono mosse nel ricorso, nei confronti di non condivise ricostruzioni dei fatti operate dai giudici d'appello, non possono trovare spazio in questa sede, trattandosi di valutazioni di merito, fondate sull'apprezzamento di circostanze di fatto, peraltro alternative rispetto a quelle contenute nella gravata sentenza che non appaiono affette da alcuna illogicita'.

E', quindi, sulla base della ipotesi ricostruttiva dei fatti, cosi' come effettuata nella sentenza impugnata, che deve essere valutata la correttezza del procedimento logico-argomentativo che ha portato a ritenere l'imputato responsabile del reato di cui al Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990 articolo 73 comma 5.

Invero, il ricorrente, piu' che indicare le eventuali carenze o illogicita' della motivazione risultante dal testo, ha proposto una integrale e alternativa rilettura dei fatti, la cui verifica imporrebbe a questa Corte di immergersi in una valutazione di merito che non le compete e che in questa sede non puo' essere effettuata.

D'altra parte, la motivazione offerta dalla sentenza non presenta alcuna contraddittorieta', incongruenza o illogicita': i giudici d'appello hanno ritenuto il diretto coinvolgimento dell'imputato nel reato di illecita detenzione di sostanze stupefacenti, in concorso con Co. e Sc., sulla base di elementi probatori, anche di natura logica, costituiti dallo stesso atteggiamento che ha avuto l'imputato al momento in cui si e' accorto dell'arrivo della polizia giudiziaria. In particolare: Ta. ha svolto la funzione di "palo", collocandosi fuori dall'abitazione per avvertire i complici, che si trovavano all'interno intenti a confezionare le dosi, di eventuali pericoli; all'arrivo della polizia e' corso ad avvertire i suoi amici; e' stato trovato all'interno dell'abitazione vicino al pensile - aperto - nel quale e' stata rinvenuta la sostanza stupefacente. Sulla base di questi elementi la sentenza, con una motivazione che appare immune da vizi logici, ha sostenuto la responsabilita' dell'imputato. Del tutto coerentemente e' stata ritenuta l'inverosimiglianza delle giustificazioni offerte dalla difesa, secondo cui il Ta. si trovava fuori dell'abitazione ad attendere la fidanzata, evidenziando che rispetto a questa versione non trova alcuna spiegazione logica l'improvviso precipitarsi dell'imputato all'interno dell'abitazione, se non quello di avvertire i suoi complici.

6.1. Rispetto alla ricostruzione dei fatti cosi' come contenuta nella sentenza non trova spazio neppure il motivo, riproposto anche in questa sede, con cui il ricorrente assume che la condotta contestatagli rientrerebbe nella fattispecie di cui all'articolo 378 c.p..

La giurisprudenza ha rilevato come, in tema di illecita detenzione di stupefacenti, l'aiuto prestato "in corso d'opera" rientra nella fattispecie del concorso di persona nel reato, e non del favoreggiamento, quando vi sia la consapevolezza di contribuire anche in minima parte alla realizzazione di una condotta piu' articolata (Sez. 4, 6 febbraio 2007, n. 12793, Camera; Sez. 4, 22 aprile 1997, n. 4243, Contaldo).

Nella specie, i giudici hanno messo in rilievo come lo stesso imputato abbia ammesso di essere rimasto per un'ora all'interno dell'abitazione, da cio' desumendo che abbia concorso, per un lasso di tempo non insignificante, a detenere consapevolmente la droga, partecipando al confezionamento delle singole dosi. In ogni caso, il ruolo di "palo" svolto dall'indagato, funzionale a segnalare l'eventuale presenza della polizia, gia' di per se' giustifica una responsabilita' a titolo di concorso nel reato di cui all'articolo 73 Decreto del Presidente della Repubblica cit.. Infatti, ai fini della configurabilita' della fattispecie del concorso di persone nel reato, il contributo concorsuale assume rilevanza non solo quando abbia efficacia causale, ponendosi come condizione dell'evento lesivo, ma anche quando assuma la forma di un contributo agevolatore, e cioe' quando il reato, senza la condotta di agevolazione, sarebbe ugualmente commesso ma con maggiori incertezze di riuscita o difficolta'. Ne deriva che, a tal fine, e' sufficiente che la condotta di partecipazione si manifesti in un comportamento esteriore che arrechi un contributo apprezzabile alla commissione del reato, mediante il rafforzamento del proposito criminoso o l'agevolazione dell'opera degli altri concorrenti e che il partecipe, per effetto della sua condotta, idonea a facilitarne l'esecuzione, abbia aumentato la possibilita' della produzione del reato (Sez. 5, 13 aprile 2004, n. 21082, Terreno; Sez. 4, 22 maggio 2007, n. 24895, P.M. in proc. Di Chiara).

Pertanto, deve riconoscersi che correttamente e' stata esclusa l'ipotesi del favoreggiamento.

7. In conclusione, entrambi i ricorsi devono essere rigettati, con la condanna degli imputati al pagamento, in solido, delle spese processuali.

P.Q.M.

Rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti, in solido, al pagamento delle spese processuali.

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