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In tema di intercettazione di conversazioni, qualora venga contestata dall'imputato l'identificazione delle persone colloquianti, non è indispensabile che venga disposta una perizia fonica per il relativo accertamento

In tema di intercettazione di conversazioni, qualora venga contestata dall'imputato l'identificazione delle persone colloquianti, non è indispensabile che venga disposta una perizia fonica per il relativo accertamento, ben potendo il giudice trarre il suo convincimento in base ad altre circostanze che consentano di risalire alla loro identità con certezza. (Ad esempio, nella specie, apprezzandosi i nomi e i soprannomi delle persone che venivano menzionate nel corso dei colloqui, nonché il riconoscimento delle voci da parte del personale addetto all'ascolto). (Corte di Cassazione Sezione 6 Penale, Sentenza del 30 aprile 2008, n. 17619)



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REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DE ROBERTO Giovanni - Presidente

Dott. MANNINO Saverio - Consigliere

Dott. MILO Nicola - Consigliere

Dott. MATERA Lina - Consigliere

Dott. FIDELBO Giorgio - Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso proposto da:

1) GI. Pa. , nato a (OMESSO);

2) LO. Ge. , nato a (OMESSO);

3) SA. Ca. , nato a (OMESSO);

4) MA. Al. , nato a (OMESSO);

contro l'ordinanza del 4 luglio 2007 emessa dal Tribunale di Napoli;

visti gli atti, l'ordinanza denunziata e il ricorso;

sentita la relazione del Consigliere Dott. Giorgio Fidelbo;

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale, Dott. Febbraro Giuseppe, che ha chiesto il rigetto dei ricorsi;

sentiti gli avvocati Gianzi Giuseppe, per Gi. , e Sinopoli Vincenzo, per Lo. , Sa. e Ma. , che hanno chiesto l'accoglimento dei rispettivi ricorsi.

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1. Il Tribunale di Napoli, in qualita' di giudice del riesame, ha confermato l'ordinanza cautelare dell'11 giugno 2007 con cui il G.i.p. dello stesso Tribunale, nell'ambito di un complesso procedimento che vedeva indagate numerose persone ritenute appartenenti ad associazione mafiose operanti nel territorio di (OMESSO), aveva disposto la misura della custodia cautelare in carcere anche nei confronti di Gi.Pa. , LO. Ge. , Sa.Ca. e Ma.Al. , tutti accusati di appartenere all'associazione camorristica denominata clan Gionta, i primi due anche del duplice omicidio di G.F. P. e De. An.An. ; GI. e Sa. del tentato omicidio ai danni di Ca.Tu. ; al MA. e' stata contestato anche il reato di detenzione di armi.

Dall'ordinanza del Tribunale si apprende che le indagini si sono sviluppate sulla base delle dichiarazioni rese da M. C. , divenuto collaboratore di giustizia, gia' affiliato al clan Gionta dall'agosto all'ottobre del 2006, grazie all'interessamento di Ma.Al. , cui sono seguite intercettazioni ambientali, accertamenti di p.g. e i primi arresti collegati all'omicidio di De. An. - G. e al tentativo di omicidio di Ca. .

2. Contro l'ordinanza del Tribunale di Napoli hanno presentato ricorso per cassazione i quattro indagati.

L'avvocato Giuseppe Gianzi, nell'interesse di Gi.Pa. , ha dedotto, con un primo motivo, la violazione degli articoli 273, 292 c.p.p. e illogicita' della motivazione.

2.1. Si assume la totale mancanza di autonomia dell'ordinanza impugnata, sia dal punto di vista contenutistico che formale, rispetto ai precedenti provvedimenti sulla liberta' a carico dell'indagato, in particolare in relazione al decreto di fermo, al provvedimento di convalida e all'ordinanza del G.i.p. In sostanza l'ordinanza del Tribunale sarebbe una mera ripetizione del provvedimento genetico, senza alcun apporto critico e senza alcuna considerazione delle istanze e doglianze della difesa, in aperta violazione dell'articolo 292 c.p.p., applicabile anche alle ordinanze del Tribunale del riesame, secondo cui devono essere esposti i motivi per i quali sono stati ritenuti non rilevanti gli elementi forniti dalla difesa. Nell'ordinanza impugnata sarebbero stati riprodotti interi brani dei colloqui oggetto di intercettazioni, senza alcuna argomentazione e valutazione critica degli stessi, omettendo di prendere in considerazione le specifiche doglianze rivolte dagli interessati.

Sotto altro profilo, si sostiene che nell'ordinanza non vi sia una chiara esposizione dei fatti, ne' un esplicito riferimento ai reati rispetto ai quali e' intervenuta la misura cautelare. In particolare, non sarebbero stati individuati gli elementi in ordine alla sussistenza dell'associazione di stampo mafioso; all'attribuzione all'indagato del ruolo di dirigente ed organizzatore dell'associazione; alle singole condotte relative al contestato reato di detenzione di armi; al tipo di concorso negli omicidi contestati; alla condotta del reato di ricettazione.

Ancora, vengono sottoposti a critica gli indizi a carico dell'indagato. Dopo aver premesso che nell'ordinanza non vi e' alcuna traccia degli accertamenti svolti dalla polizia giudiziaria, si rileva che le dichiarazioni rese da M.C. non sono idonee a rappresentare un quadro indiziario ai sensi dell'articolo 273 c.p.p., in quanto riferite ad un periodo di tempo molto limitato e comunque precedente ai fatti oggetto del presente procedimento; peraltro, le sue accuse in ordine all'appartenenza dell'indagato all'associazione non sono riscontrate da alcun elemento esterno e individualizzante.

2.2. Con un secondo motivo si deduce la violazione dell'articolo 274 c.p.p. per omessa valutazione delle esigenze cautelari.

3. Gli avvocati Vincenzo Sinopoli e Ezio Vrenna hanno presentato distinti ricorsi nell'interesse di Lo. , Sa. e Ma. .

3.1. Con un motivo comune a tutti gli indagati viene dedotta la mancanza di motivazione, con conseguente nullita' dell'ordinanza, in quanto si sarebbe limitata a richiamare le motivazioni contenute nel decreto di fermo, a sua volta riportate nell'ordinanza del G.i.p.. Si tratterebbe, secondo i ricorrenti, di una forma di motivazione per relationem senza alcuna valutazione critica, in violazione del principio del doppio grado di giurisdizione, in quanto non avrebbe preso in alcuna considerazione le specifiche doglianze prospettate dalla difesa.

3.2. In relazione alla posizione di Lo. viene dedotta l'illogicita' della motivazione sotto diversi profili.

Innanzitutto, si rileva che l'ordinanza non avrebbe tratto coerenti conclusioni dalla circostanza che il collaboratore di giustizia M.C. , ritenuto dagli stessi giudici particolarmente attendibile, non conoscesse l'indagato, che non viene mai menzionato nelle sue dichiarazioni accusatorie: si tratta di un fatto rilevante, secondo i ricorrenti, tenuto conto che l'accusa colloca il LO. in posizione di vertice all'interno del clan Gionta.

Con riferimento alle risultanze delle intercettazioni ambientali si rileva che le stesse sono di difficile lettura ed interpretazione, con sovrapposizione di voci, tali da non consentire la ricostruzione di un chiaro e preciso quadro indiziario a carico dell'indagato. In questa situazione di incertezza non e' possibile individuare quella gravita' indiziaria richiesta dal codice che possa giustificare l'adozione ed il mantenimento della misura cautelare.

3.3. Anche per quanto riguarda Sa.Ca. viene evidenziato che il collaboratore di giustizia M. non lo ha mai menzionato delle sue dichiarazioni, per cui il Tribunale avrebbe dovuto quanto meno dubitare dell'appartenenza dell'indagato all'associazione delittuosa.

In ordine ai risultati delle intercettazioni ambientali si sostiene che non possano valere come "gravi indizi", ma semmai come semplici sospetti inidonei ad essere ritenuti come base per l'emissione di misure cautelari. In particolare, si contesta l'ordinanza che non avrebbe detto nulla circa le modalita' di identificazione della voce del Sa. . Inoltre, l'intercettazione del (OMESSO) (ore 8.02) appare inadeguata a ritenere l'esistenza di gravi indizi in ordine al ferimento di Ca.Tu. , a causa della difficile lettura e interpretazione della stessa, con voci soprapposte, in cui peraltro non vi e' alcun riferimento all'arma utilizzata e alle modalita' dell'azione. Si evidenzia una incompatibilita' cronologica tra l'intercettazione stessa effettuata alle 8.02 e le dichiarazioni di Ca. che riferisce di essere stato colpito verso le 8, desumendo da tale impossibile sovrapposizione di orari una debolezza dell'impianto accusatorio basato soprattutto sui risultati di tale intercettazione. Peraltro, su queste deduzioni, che la difesa aveva presentato, il Tribunale si sarebbe limitato a rispondere facendo un generico riferimento alla motivazione del decreto di fermo e dell'ordinanza genetica.

Con un altro motivo si censura l'ordinanza per avere ritenuto la partecipazione dell'indagato all'associazione con riferimento alla sua presenza nell'agguato ai danni di Ca. : si tratterebbe di una affermazione arbitraria, del tutto scollegata dal contesto probatorio, non potendo sostenersi che la partecipazione ad un unico episodio criminoso, peraltro non dimostrato, possa rappresentare un grave indizio circa il suo pieno inserimento nel clan Gionta.

3.4. Infine, in ordine alla posizione di Ma.Al. si censura l'ordinanza per illogicita' della motivazione sotto diversi profili.

Viene sottoposta a critica la valutazione che il Tribunale ha fatto delle dichiarazioni di M.C. , evidenziando numerosi riscontri negativi che infirmerebbero la credibilita' del collaboratore di giustizia, tra cui la circostanza che non avrebbe neppure ricordato con esattezza il cognome del Ma. (chiamandolo Ma. ), le fantomatiche azione a cui avrebbe preso parte nel limitatissimo periodo di tempo della sua militanza nell'organizzazione, le confuse ragioni della sua decisione a collaborare con la giustizia, dopo le insistenze per entrare a far parte del clan Gionta.

Per quanto riguarda l'altro elemento indiziario, rappresentato dall'intercettazione ambientale del (OMESSO), presso l'abitazione di Do.Ge. , viene evidenziata la non univocita' del colloquio avuto con Gi.Pa. , che non giustifica l'accusa di codetenzione delle armi, potendo intendersi il ruolo del Ma. come quello di procacciatore di armi, quindi di un soggetto non associato al clan.

MOTIVI DELLA DECISIONE

4. I ricorsi sono infondati.

4.1. Tutti i ricorrenti hanno censurato l'ordinanza impugnata per mancanza di motivazione, ritenendo che in essa i giudici si siano limitati a richiamare e riportare integralmente passi delle argomentazioni contenute nel decreto di fermo e nel provvedimento applicativo della misura da parte del G.i.p., senza alcun apporto critico e omettendo di prendere in considerazione le doglianze delle difese.

Sebbene l'ordinanza sia stata redatta ricorrendo in maniera eccessiva all'inserimento nel testo di interi brani delle conversazioni, rendendo la lettura e la stessa comprensibilita' del provvedimento estremamente difficoltosa, tuttavia non puo' dirsi che i giudici abbiano rinunciato ad ogni forma di valutazione critica, limitandosi a "ritagliare" e riproporre pezzi delle conversazioni intercettate. Infatti, l'ordinanza possiede una sua struttura logico-argomentativa autonoma, in base alla quale e' possibile ricostruire il giudizio che e' stato dato del provvedimento cautelare genetico, sia in ordine alla sussistenza dei gravi indizi, che in relazione alle esigenze cautelari: i brani delle conversazioni riportate sono sempre preceduti o seguiti da sintetiche valutazioni critica circa il significato dei contenuti dell'intercettazione, che consentono di ricostruire il giudizio sui fatti in oggetto. In ogni caso, la constatata difficolta' di intellegibilita' non equivale automaticamente a sostenere la carenza ovvero la mancanza della motivazione.

D'altra parte, deve escludersi che dall'ordinanza non si ricavi ne' l'esposizione dei fatti, ne' il riferimento ai reati rispetto ai quali e' intervenuta la misura cautelare, cosi' come sostiene la difesa del Gi. : l'ordinanza non presenta le lacune motivazionali dedotte, in quanto dalla sua lettura complessiva emergono le condotte poste in essere dagli indagati, in riferimento ai reati loro contestati e risultano evidenziati, come si vedra', tutti i presupposti che legittimano l'emissione delle misure cautelari disposte.

In sostanza, deve riconoscersi che l'ordinanza in questione corrisponda al modello legale enucleatale dall'articolo 546 c.p.p., applicabile anche a questa tipologia di provvedimenti: sebbene vi sia stata una trasposizione di intere risultanze investigative - operazione favorita dal ricorso a tecniche di video scrittura - tuttavia tale modulo motivazionale e' stato comunque accompagnato da apporti critici, con una concisa indicazione degli elementi indiziari e con una conclusiva determinazione in cui si da conto della deliberazione assunta, anche attraverso l'esame degli elementi di segno contrario offerti dalla difesa, sebbene si tratti di un esame quasi sempre sintetico, in alcuni casi indiretto, in quanto risultante dalla stessa ricostruzione dei fatti da parte dei giudici.

4.2. Con un altro gruppo di motivi i ricorrenti, seppure sotto differenti profili, hanno censurato l'ordinanza per aver ritenuto sussistenti i gravi indizi di colpevolezza in relazione ai reati loro contestati, rivolgendo una serie di critiche alla valorizzazione fatta dai giudici dei risultati delle intercettazioni.

Anche in questo caso si tratta di censure infondate.

Nella ricostruzione dei giudici del riesame gli episodi contestati devono inquadrarsi nell'ambito di una cruenta guerra di mafia insorta tra due organizzazioni camorristiche, il clan Gionta da una parte e il clan Gallo-Cavalieri dall'altra, per il predominio criminale sulla citta' di (OMESSO) e sui paesi limitrofi. I due gruppi avrebbero rotto un tacito accordo di non aggressione intervenuto da tempo e che consentiva una ripartizione del mercato della droga locale, in quanto il clan Gionta avrebbe deciso di gestire in termini monopolistici il traffico di stupefacenti, ridimensionando le attivita' illegali svolte dal gruppo rivale dei Gallo-Cavalieri. Inoltre, la messa in discussione di vecchi equilibri avrebbe determinato anche un mutamento del quadro delle alleanze di altre organizzazioni criminali, concretizzatosi con il passaggio del gruppo dei Chierchia-Francoises dal cartello dei Gallo-Cavalieri a quello degli Gionta.

Ovviamente la guerra di camorra ha avuto come risvolto immediato la realizzazione di una serie omicidi dimostrativi ai danni di appartenenti alle due organizzazioni.

Ed infatti a Gi.Pa. e a Lo.Ge. e' stata contestata anche la partecipazione all'omicidio di G. e di De. An. , avvenuto il 22 aprile 2007. Secondo il Tribunale del riesame si sarebbe trattato di una ritorsione del clan Gionta all'omicidio di Ga.Ma. , ucciso il giorno prima da sicari ritenuti vicini al clan Gallo-Cavalieri. Sulla base dei rilievi di p.g. effettuati sul luogo dell'omicidio, dei referti relativi alle ferite riportate da alcuni indagati nel corso di un conflitto a fuoco tra i clan rivali e, soprattutto, dei risultati delle intercettazioni ambientali eseguite nell'abitazione di Do.Ge. (moglie del capo storico Gi.Va. ) e dello stesso Lo. Ge. , sarebbero emersi una serie di gravi indizi a carico dei due indagati. In particolare, secondo l'ordinanza impugnata l'omicidio di G. e di De. An. , uomini legati ai Gallo-Cavalieri, sarebbe stato deliberato da Gi.Pa. e Lo. Ge. , attuali reggenti del clan Gionta, considerati i mandanti del delitto, eseguito da una squadra composta da appartenenti al gruppo Gionta ( Ia.Gi. , On.Um. ) e al gruppo Chierchia ( C.G. , G.P. e Za. Fr. ); il commando avrebbe raggiunto la via (OMESSO), dove poi e' stato commesso l'omicidio, separatamente, G. P. , assieme ad un complice non identificato, a bordo di un'autovettura, Ia.Gi. e Za.Fr. su una Honda, C. G. e On.Um. su un altro motociclo. I primi componenti del gruppo di fuoco a raggiungere le vittime sarebbero stati quelli a bordo della autovettura, uno dei quali sarebbe sceso e avrebbe sparato contro G. e De. An. ; successivamente sarebbero giunti C.G. e On.Um. , su un ciclomotore, quest'ultimo avrebbe a sua volta sparato con un kalashnikov nonostante G. e De. An. fossero stati gia' colpiti; a questo punto vi sarebbe stata una reazione degli uomini dei Gallo-Cavalieri che avrebbero sparato inizialmente dai balconi, colpendo Ia.Gi. e Za.Fr. che nel frattempo erano sopraggiunti a bordo della Honda; i due feriti sarebbero stati soccorsi da On.Um. , che poi si sarebbe allontanato a piedi, e messi in salvo da C.G. , che li avrebbe trasportati entrambi sulla moto, fino a palazzo (OMESSO), dove hanno ricevute le prime cure, per poi essere accompagnati in ospedale.

4.3. Si tratta di una accurata ricostruzione dei fatti che si basa prevalentemente sulle intercettazioni ambientali che sono state eseguite nell'abitazione di Lo.Ge. e di Do. Ge. , nonche' all'interno del Palazzo (OMESSO), dove si ritrovavano i componenti del gruppo facente capo al clan Gionta. Secondo i giudici attraverso tali intercettazioni e' stato possibile seguire quasi "in diretta" alcune delle fasi organizzative che hanno preceduto e seguito le azioni delittuose, a cui anche gli attuali ricorrenti hanno partecipato. Le stesse intercettazioni rappresentano la base indiziaria anche in relazione alla ritenuta appartenenza degli indagati all'associazione camorristica.

Con riferimento alle intercettazioni devono innanzitutto essere respinte le censure volte a contestare il significato attribuito dai giudici alle conversazioni. Infatti, l'interpretazione del linguaggio adoperato nelle conversazioni intercettate, anche quando sia criptico o cifrato, e' questione di fatto rimessa alla valutazione del giudice di merito (Sez. 4, 28 ottobre 2005, n. 117, Caruso) e si sottrae al giudizio di legittimita' se tale valutazione risulta logica in rapporto a massime di esperienza. Nella specie, i giudici hanno offerto una ricostruzione del significato delle conversazioni oggetto di intercettazione - in alcuni casi particolarmente esplicite - del tutto coerente anche perche' puntualmente confermate dai fatti che si sono successivamente potuti accertare. Ne consegue che le critiche mosse da alcuni ricorrenti al senso e al significato dato ai colloqui registrati devono ritenersi del tutto infondate.

Allo stesso modo devono essere respinte le critiche sulla corretta individuazione delle voci intercettate. Secondo una consolidata giurisprudenza qualora venga contestata l'identificazione delle persone colloquianti, il giudice non deve necessariamente disporre una perizia fonica, ma puo' trarre il proprio convincimento in merito da altre circostanze che consentano di attribuire con certezza le voci intercettate (Sez. 4, 18 ottobre 2007, n. 43409, Artiaco; Sez. 1, 20 settembre 2007, n. 38484, Anastasi) e tale valutazione, se correttamente motivata, si sottrae al giudizio di legittimita'. Nella specie, deve considerarsi che correttamente i giudici hanno proceduto all'individuazione dei soggetti tenendo conto dei nomi e dei soprannomi delle persone che venivano menzionate nel corso dei colloqui, nonche' sulla base del riconoscimento delle voci da parte del personale di polizia giudiziaria che le aveva ascoltato e individuate nel corso di precedenti intercettazioni.

4.4. Per quanto riguarda il ruolo di Gi. e Lo. nel duplice omicidio di G. - De. An. gli indizi sono rappresentati dalle intercettazioni ambientali.

Assumono fondamentale importanza, nella ricostruzione del Tribunale, le conversazioni del (OMESSO), sia quella tra LO. Ge. e G. A. , che quella avvenuta tra lo stesso Lo. , Gi. Pa. , Do. Ge. e G. T. . Secondo i giudici, i colloqui intercettati chiariscono che il duplice omicidio G. - De. An. rappresenta una risposta all'uccisione di G. M. (fratello di G. A. ), che il giorno prima era stato ucciso dal gruppo rivale; viene messo in rilievo che LO. , dopo aver parlato con G. A. , dal quale apprende le modalita' dell'uccisione del fratello, si reca a casa di Do. Ge. dove incontra, tra gli altri, Gi. Pa. al quale manifesta la necessita' di organizzare una immediata "risposta armata all'omicidio di G. M. ", trovando il pieno appoggio dello stesso Gi. e degli altri.

La successiva intercettazione avvenuta nel palazzo (OMESSO) a partire dalle ore 15,24 dello stesso giorno conferma, nella logica ricostruzione contenuta nell'ordinanza impugnata, la lettura delle precedenti conversazioni, in quanto si assiste "in diretta" alle fasi immediatamente successive dell'attentato mortale nei confronti di G. e De. An. - individuati come gli obiettivi della risposta punitiva - nel corso del quale restano feriti anche due componenti del gruppo Gionta che hanno partecipato all'azione. Da un'altra intercettazione avvenuta il (OMESSO) all'interno dell'abitazione di LO. Ge. i giudici traggono ulteriori elementi per chiarire quanto avvenuto il giorno dell'attentato e cioe' il ferimento alla mano da arma da fuoco di Za. Fr. , circostanza che ha trovato conferma nella documentazione medica acquista presso l'ospedale di (OMESSO) dove lo stesso venne medicato; ancora, l'intercettazione del (OMESSO) delle ore 16.21 consente di individuare in Ia. Gi. l'altra persona rimasta ferita nell'attentato, circostanza che e' stata confermata dal verbale di pronto soccorso acquisito presso il Presidio ospedaliero di (OMESSO), dove Ia. venne portato per essere curato.

Da queste e da altre conversazioni intercettate e puntualmente riportate nell'ordinanza emerge, a livello di gravi indizi, il ruolo avuto da Lo. e GI. i quali, dopo avere deliberato la "riposta armata", dando l'incarico di eseguirla, hanno dovuto gestire le fasi successive all'attentato: ed infatti, quando vengono portati a palazzo (OMESSO) i due feriti sono loro che decidono di farli ricoverare, in quanto "coperti di sangue"; sono sempre i due indagati che danno le necessarie disposizioni per far scomparire le tracce di sangue, presenti anche sulla moto con la quale C. G. avrebbe trasportato i due feriti; sempre loro due si preoccupano di contattare Za. e Ia. , ricoverati in ospedale, perche' giustifichino con dichiarazioni coordinate le ferite d'arma da fuoco riportate, assicurandosi che non rivelino l'azione alla quale hanno partecipato. Successive intercettazioni hanno dimostrato come gli esponenti del clan Gionta si siano preoccupati anche di verificare l'esito dell'azione delittuosa realizzata, verificando le perdite subite dal gruppo rivale e acquisendo notizie sul ferimento di G. F. .

Secondo i giudici, che le conversazioni si riferiscano al duplice omicidio e' dimostrato non solo dalla coincidenza temporale riscontrata tra l'attentato e il ritorno a palazzo (OMESSO) dei due feriti, ma anche dalle successive intercettazioni in cui Lo. , Gi. ed altri fanno continui riferimenti all'attentato, alle armi e ai mezzi utilizzati e alle modalita' in cui si sarebbero svolti i fatti, ipotizzando, almeno inizialmente, che il ferimento di Za. e Ia. fosse dipeso da "fuoco amico". Solo dopo qualche ora dai fatti Lo. e gli altri riescono a ricostruire con precisione lo svolgimento dell'azione, venendo a sapere che il gruppo di fuoco, composto da Ia. , Za. e altre quattro persone, e' stato oggetto di una pronta reazione degli uomini del gruppo Gallo-Cavalieri, che da un terrazzo avrebbero fatto fuoco contro di loro, ferendo i due. Da un'altra intercettazione ambientale eseguita nell'abitazione di Do. Ge. ((OMESSO)) si apprende che Lo. e Gi. , una volta venuti a conoscenza dell'effettivo svolgimento dei fatti, discutono della necessita' di porre in essere un'ulteriore e immediata "rappresaglia".

Sussistono tutti gli elementi per ritenere la gravita' indiziaria richiesta dall'articolo 273 c.p.p. in relazione alla partecipazione, quali mandanti, dell'omicidio G. - De. An. . Le conversazioni sopra riportate dimostrano che a loro due deve essere imputata la decisione di rispondere, con una azione violenta e punitiva nei confronti del gruppo rivale dei Gallo-Cavalieri, all'omicidio di G. M. . In particolare, la reazione sarebbe stata richiesta proprio da G. A. a Lo. e questi avrebbe individuato G. F. P. come possibile obiettivo. Dai colloqui registrati risulta inoltre che i due imputati hanno svolto una continua azione di coordinamento anche successiva all'attentato, dimostrando una piena e totale condivisione dell'azione posta in essere dal commando che avrebbe eseguito il duplice omicidio. Peraltro, che l'omicidio fosse stato deliberato da Gi. e da Lo. risulta anche da una intercettazione all'interno dell'abitazione di Do. (24 aprile 2007, ore 10.34) nel corso della quale i due imputati si preoccupano di precostituirsi una giustificazione da offrire a un tale ga. - non identificato, ma probabilmente parente di G. - circa i motivi per cui erano stati uccisi G. e De. An. , circostanza questa che, secondo il Tribunale, dimostrerebbe che a loro deve essere fatta risalire anche la decisione della deliberazione dell'omicidio. Questa ricostruzione e' confermata dalla successiva intercettazione (5 maggio 2007, ore 10.20) di un colloquio tra GI. e il ga. cui si e' fatto prima riferimento, in cui il primo si assume la responsabilita' dell'omicidio, precisando pero' che non si intendeva colpire G. e De. An. , i quali erano stati uccisi per una loro inaspettata reazione al passaggio del commando.

4.5. Anche per il tentato omicidio ai danni di Ca.Tu. gli indizi sono rappresentati dalle intercettazioni ambientali, dalle quali e' stato possibile apprendere le ragioni di quest'altro attentato. Infatti, dopo il duplice omicidio il clan Gallo-Cavalieri avrebbe ordinato la chiusura delle piazze di spaccio, determinando cosi' una forte perdita economica per il gruppo Gionta; da qui la decisione di operare una ritorsione da parte di Gi. Pa. , il quale avrebbe individuato la figura di Ca. Tu. , uomo legato al gruppo antagonista, come possibile vittima.

Sulla base dell'attivita' investigativa espletata dalla p.g. sul luogo del delitto e dei risultati delle intercettazioni ambientali eseguite anche presso l'abitazione di LO. Ge. e di Sa. Fe. i giudici hanno ricostruito le modalita' del tentativo di omicidio avvenuto il (OMESSO), all'interno dell'abitazione di Ca. Tu. .

Anche in questo caso il mandante viene individuato in Gi. Pa. ; il gruppo di fuoco sarebbe stato formato da Ag. Al. , Sa. Ca. , C. G. e un quarto complice non identificato; questi si sarebbero appostati di fronte all'abitazione della vittima, su un terrazzo di un edificio raggiungibile dall'abitazione della famiglia Sa. ; da tale posizione avrebbero investito con una vera e propria pioggia di fuoco il Ca. , ferendolo di striscio alla testa e centrandolo alla coscia destra.

Il coinvolgimento di Gi. Pa. e di Sa. Ca. risulta, secondo l'ordinanza impugnata, dalle conversazioni intercettate il (OMESSO) all'interno dell'abitazione di Do. e il (OMESSO), sia prima, che dopo l'avvenuto attentato.

Nella prima intercettazione Gi. espone il suo intendimento ed individua il Ca. come possibile obiettivo; nell'intercettazione precedente l'attentato i giudici rilevano la presenza dello stesso Gi. al momento dell'apertura di una botola in cui sarebbero state custodite le armi; dall'intercettazione successiva all'attentato emerge il sicuro coinvolgimento di Sa. Ca. , che lamenta di aver perso un cappuccio nel corso della sparatoria e che poi brucia gli abiti indossati durante l'agguato per impedire - secondo i giudici di merito - il rilevamento delle tracce di polvere da sparo.

L'ordinanza ha dato atto che la voce del Sa. e' stata identificata con riferimento al timbro e alle caratteristiche, in quanto gia' "conosciuta" dagli organi investigativi sin dal novembre 2006, quando venne disposta un'intercettazione ambientale presso l'abitazione del padre: le censure riproposte in relazione ai dubbi sulla corretta identificazione si risolvono in censure di fatto che in questa sede non possono essere prese neppure in esame in presenza di una motivazione che ha giustificato in maniera ragionevole l'identificazione.

La rilevata minima discrasia circa l'effettiva ora dell'attentato non e' in grado di inficiare la ricostruzione dei fatti offerta dai giudici del riesame.

4.6. Deve ritenersi che siano sussistenti gli elementi di gravita' indiziaria anche in relazione alla partecipazione degli imputati all'associazione camorristica.

Dal tenore delle conversazioni intercettate appare evidente il ruolo di spicco ricoperto da GI. Pa. e, in parte, da Lo. Ge. : si e' visto come siano i soggetti che prendono le decisioni strategiche, decidono le azioni criminose, coordinano gli uomini, si preoccupano di assicurare linee difensive omogenee, rappresentano l'associazione all'esterno. Sono sempre Gi. e Lo. che valutano gli effetti e i rischi delle azioni di rappresaglia, che si preoccupano dei mezzi e delle armi rimaste sul luogo del delitto e a loro si rivolgono i vari appartenenti al clan per riferire quanto accaduto ovvero per giustificare un parziale insuccesso.

Inoltre, il Tribunale ha preso correttamente in esame le dichiarazioni accusatorie del collaboratore di giustizia M. C. , che ha fatto parte dell'associazione e che ha riferito del ruolo di capo svolto da Gi. Pa. , dichiarazioni che appaiono puntualmente confermate dalle intercettazioni piu' volte menzionate.

Sulla sussistenza dei gravi indizi circa l'appartenenza di SA. Ca. all'associazione deve ritenersi che la modalita' del suo coinvolgimento nell'attentato a Ca. Tu. rappresenta un elemento significativo anche della partecipazione all'associazione. Il Sa. e' stato chiamato a far parte di un gruppo di fuoco, gli e' stata consegnata un'arma, ha sparato cercando di colpire l'obiettivo indicatogli, si e' preoccupato di far sparire eventuali tracce di polvere da sparo bruciando gli indumenti indossati: elementi eloquenti in base ai quali il Tribunale ha correttamente ritenuto la sussistenza dei gravi indizi di reato anche in relazione al suo coinvolgimento nell'associazione.

In sostanza, deve ritenersi che la partecipazione dell'indagato all'agguato costituisce un grave indizio della sua affiliazione all'associazione, dal momento che appare logico ritenere che proprio in qualita' di intraneo al gruppo criminale abbia ricevuto la disposizione di far parte del gruppo di fuoco. D'altra parte, mettendosi a disposizione dell'associazione per compiere azioni omicidiarie, ha dimostrato di trovarsi in un rapporto di stabile e organica compenetrazione con il gruppo criminale, confermando il ruolo quanto meno di partecipe al reato associativo (Sez. 1, 11 dicembre 2007, n. 1470, P.G. in proc. Addante ed altri).

Del tutto ininfluente a questi fini e' quanto dedotto dalla difesa circa il fatto che il M. non abbia mai fatto il nome del Sa. , in quanto i risultati delle intercettazioni sono gia' da soli sufficienti a giustificare l'emissione del provvedimento cautelare.

4.7. Per quanto riguarda la posizione di Ma. Al. a cui non e' stata contestata la partecipazione ad alcun omicidio, ma soltanto l'affiliazione al clan Gionta e la detenzione illegale di armi, i giudici hanno individuato gravi elementi indiziari, oltre che nelle dichiarazioni di M. C. , nei risultati dell'intercettazione ambientale del (OMESSO), all'interno dell'abitazione di Do. Ge. , in cui l'indagato parla con GI. Pa. delle armi detenute e di quelle che servirebbero per nuove operazioni dimostrative.

Lo stabile rapporto con il gruppo criminale e' dimostrato, nella ricostruzione dell'ordinanza, oltre che dal tenore e dall'oggetto dei colloqui con Gi. Pa. , dalla stessa detenzione da parte dell'indagato di armi che sono nella disponibilita' dell'associazione, disponibilita' che risulta confermata dalle azioni omicidiarie progettate e caratterizzate da un uso "amplificato" delle armi.

Tuttavia, l'elemento indiziario piu' rilevante e' costituito dalle dichiarazioni accusatorie di M. , che riferisce che fu proprio MA. ad inserirlo nell'organizzazione criminale, presentandolo, una volta uscito dal carcere, agli esponenti piu' importanti del clan.

Le accuse del collaboratore di giustizia sono state ritenute pienamente credibili dai giudici e sono state riscontrate dai risultati delle intercettazioni che hanno confermato, seppure a livello di gravi indizi, l'esistenza dell'organizzazione capeggiata da Gi. Pa. .

La circostanza che M. abbia parlato di " Ma. Al. " e non di " Ma.Al. ", non ne compromette minimamente l'attendibilita', dal momento che si tratta di un errore privo di significativita', non essendovi dubbio che intendesse riferirsi proprio all'indagato.

5. Infine, del tutto infondate sono le critiche sulla presunta omessa valutazione delle esigenze cautelari: il Tribunale, con riferimento ad ognuna delle quattro posizioni considerate, ha offerto una corretta motivazione sul punto, evidenziando come la pericolosita' degli indagati, dimostrata dai fatti di sangue ai quali hanno partecipato e dalla stessa adesione ad una associazione criminale di stampo mafiosa, giustifichi il ricorso alla misura cautelare della custodia in carcere.

6. In conclusione, tutti ricorsi devono essere rigettati, con la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali.

La Cancelleria provvedere agli adempimenti previsti dall'articolo 94 disp. att. c.p.p., comma 1 ter.

P.Q.M.

Rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti, in solido, al pagamento delle spese processuali.

Manda alla cancelleria per gli adempimenti di cui all'articolo 94 disp. att. c.p.p., comma 1 ter.

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