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In tema di maltrattamenti in famiglia, le dichiarazioni della persona offesa possono costituire una vera e propria fonte di prova,

In tema di maltrattamenti in famiglia, le dichiarazioni della persona offesa, ove ritenute intrinsecamente attendibili, possono costituire una vera e propria fonte di prova, su cui può essere fondata, esclusivamente, l'affermazione di colpevolezza dell'imputato; tuttavia, la relativa valutazione deve essere adeguatamente motivata ogni qual volta i denunciati maltrattamenti si sono consumati ai danni del coniuge, all'interno della casa coniugale, senza testimoni diretti delle vessazioni ovvero delle condotte violente che avrebbe posto in essere l'imputato nei confronti dell'altro coniuge

Corte di Cassazione Sezione 6 Penale, Sentenza del 28 maggio 2010, n. 20498



- Leggi la sentenza integrale -

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DE ROBERTO Giovanni - Presidente

Dott. AGRO' Antonio - Consigliere

Dott. MANNINO Saverio F. - Consigliere

Dott. ROTUNDO Vincenzo - Consigliere

Dott. FIDELBO Giorgio - Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso proposto da:

Te. Eu. , nata a (OMESSO);

contro la sentenza del 6 maggio 2008 emessa dalla Corte d'appello di Venezia;

visti gli atti, la sentenza impugnata e il ricorso;

sentita la relazione del consigliere dott. Fidelbo Giorgio;

sentito il sostituto procuratore generale, dott. CEDRANGOLO Oscar, che ha concluso per l'inammissibilita' del ricorso;

sentito, per le parti civili, l'avvocato Crisafi Gaetano, che ha chiesto il rigetto del ricorso e la conferma delle statuizioni civili;

sentita, per l'imputata, l'avvocato Porzio Paola, che ha insistito per l'accoglimento del ricorso.

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con la decisione in epigrafe la Corte d'appello di Venezia ha confermato la sentenza del 23 gennaio 2006 con cui il Tribunale di Vicenza aveva dichiarato Te.Eu. colpevole dei reati di maltrattamenti ai danni del marito, Bo.Cl. , di lesioni volontarie ai danni di Me.Ol. , e di soppressione di atti veri ai danni dell'avvocato M.A. , condannandola alla pena di mesi nove e giorni quindici di reclusione, oltre al risarcimento dei danni da liquidarsi, in separato giudizio, alle parti civili a favore delle quali veniva liquidata anche una provvisionale.

I giudici di secondo grado hanno ritenuto sussistente il reato di maltrattamenti contestato alla Te. in concorso con il figlio Bo.Ma. - giudicato separatamente -, concretizzatosi in una serie di condotte vessatorie nei confronti del coniuge affetto da paraplegia e costretto su una sedia a rotelle. Nella sentenza si evidenzia come tali condotte, riguardanti un periodo temporale limitato ad alcuni mesi del 2003, hanno avuto origine quando l'imputata venne a sapere che il marito intendeva separarsi.

Allo stesso modo la sentenza ha ritenuto provato sia il concorso dell'imputata nel reato di lesioni volontarie ai danni di Me. Ol. , badante di Bo.Cl. , sia la sua responsabilita' per la distruzione del fascicolo processuale dell'avvocato M. , contenente tra l'altro copia notificata del ricorso per separazione.

L'imputata ha proposto personalmente ricorso per cassazione.

Riguardo al reato di maltrattamenti di cui al capo A) ha dedotto vizio di motivazione per travisamento della prova.

Innanzitutto viene criticata la sentenza per avere ritenuto provate le violenze fisiche, in mancanza di testimonianze dirette ed anzi in presenza delle dichiarazioni del medico, dott. M. , che aveva riferito che i segni rinvenuti sul corpo del Bo. erano compatibili con altre cause.

Allo stesso modo la ricorrente assume che la sentenza abbia travisato le prove in merito alle vessazioni.

Anche per quanto riguarda il reato di lesioni personali la Te. ha dedotto la manifesta illogicita' della motivazione per travisamento della prova, dal momento che dagli elementi agli atti non emerge il concorso dell'imputata nel reato posto in essere solo da Bo.Ma. .

Infine, in relazione al reato di distruzione di atti veri si censura la sentenza per avere ritenuto sussistente l'elemento soggettivo, attraverso una contraddittoria ed illogica valutazione delle stesse dichiarazioni rese dall'avvocato M. .

MOTIVI DELLA DECISIONE

Il ricorso e' fondato, limitatamente alle censure proposte in relazione al reato di maltrattamenti.

La sentenza impugnata ha basato il giudizio di colpevolezza dell'imputata quasi esclusivamente sulle dichiarazioni della persona offesa, ma ha omesso di compiere una accurata e approfondita valutazione sulla credibilita' intrinseca dell'accusatore e sulla attendibilita' delle accuse.

Questa Corte ha costantemente affermato che i fini della formazione del libero convincimento del giudice, puo' sicuramente tenersi conto delle dichiarazioni della parte offesa, la cui testimonianza, ove ritenuta intrinsecamente attendibile, costituisce una vera e propria fonte di prova, su cui puo' anche essere, esclusivamente, fondata l'affermazione di colpevolezza dell'imputato, ma la relativa valutazione deve essere adeguatamente motivata, soprattutto in relazione a quei reati l'accertamento dei quali passa, nella maggior parte dei casi, attraverso la necessaria valutazione del contrasto delle opposte versioni di imputato e parte offesa, soli protagonisti dei fatti, in assenza, non di rado, anche di riscontri oggettivi o di altri elementi atti ad attribuire maggiore credibilita', dall'esterno, all'una o all'altra tesi.

Ed e' quanto accaduto nel caso di specie, in cui i denunciati maltrattamenti si sono consumati ai danni del coniuge, all'interno della casa coniugale, senza testimoni diretti delle vessazioni ovvero delle condotte violente che avrebbe posto in essere l'imputata nei confronti del marito. Infatti, la stessa sentenza riconosce che nessun testimone ha potuto riferire con certezza di avere assistito ad atti di violenza fisica commessi dalla Te. ai danni di Bo.Ma. e, inoltre, non risulta che sia stata presa in attento esame quanto riferito dal medico che avrebbe visitato entrambi i coniugi, la cui testimonianza avrebbe potuto offrire un importante riscontro alle dichiarazioni della persona offesa. D'altra parte, per quanto riguarda le altre condotte contestate alla Te. , consistenti nell'impedire al marito di avere rapporti epistolari o telefonici con terze persone ovvero di lesinargli le somme di denaro necessarie per le spese personali, i giudici di merito non hanno evidenziato il carattere abituale e vessatorio di tali comportamenti, che invece, dalla stessa descrizione dei fatti contenuta in sentenza, sembrano avere avuto un carattere episodico, originati dalla richiesta di separazione del marito, piu' che dalla volonta' di porre in essere condotte vessatorie nei suoi confronti.

Pertanto, la sentenza impugnata deve essere annullata limitatamente a questo capo, con rinvio ad altra sezione della Corte d'appello di Venezia per un nuovo giudizio che tenga conto dei rilievi sopra indicati.

Per il resto il ricorso deve essere respinto.

Infondati sono i motivi con cui la ricorrente contesta la motivazione in ordine al reato di lesioni volontarie ai danni di Me. Ol. : infatti, la sentenza ha evidenziato come l'episodio verificatosi il (OMESSO) sia stato puntualmente riferito oltre che dalla stessa persona offesa, da Te.Cl. e da M. , teste del tutto estraneo alle vicende familiari, che ha confermato la partecipazione della Te. all'aggressione della Me. .

Allo stesso modo sono da considerare del tutto infondate le censure relative al reato di cui all'articolo 490 c.p. in punto di sussistenza dell'elemento soggettivo. Infatti, la sentenza ha ampiamente e correttamente motivato, rilevando come la Te. con la distruzione degli atti che l'avvocato M. stava esibendo al Bo. intendesse rendere tali atti inutilizzabili nel giudizio di separazione personale che il marito intendeva intraprendere.

Al rigetto dei motivi di ricorso in relazione ai capi della sentenza da ultimo trattati consegue la condanna della ricorrente a rimborsare alle parti civili costituite, Me.Ol. e Ma. Al. , le spese di questo grado di giudizio, che si liquidano in complessivi euro 2.500,00, oltre spese generali, I.V.A. e C.P.A..

P.Q.M.

Annulla la sentenza impugnata limitatamente alla imputazione di cui all'articolo 572 c.p. e rinvia per nuovo giudizio su tale capo ad altra sezione della Corte d'appello di Venezia.

Rigetta nel resto il ricorso.

Condanna la ricorrente a rimborsare alle parti civili, Alberto Maule e Olga Meleschenko, le spese del grado, che liquida in complessivi euro 2.500,00, oltre spese generali, I.V.A. e C.P.A..

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