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Integra il reato di favoreggiamento tentato la condotta del difensore che induca un teste a ritrattare

Integra il reato di tentato favoreggiamento la condotta del difensore che, dopo che sia stato commesso un delitto per cui è prevista la pena della reclusione, si adoperi per procurare all'autore la prova dell'estraneità al delitto ascrittogli, inducendo il teste che ne ha raccolto la confessione a ritrattare la deposizione già resa alla polizia giudiziaria, non riuscendo nell'intento per il rifiuto di collaborazione di quest'ultimo.
E' quanto stabilito dalla Corte di Cassazione con sentenza sentenza 18 ottobre 2007, n. 38516.
In tal caso infatti, precisa la S.C., al momento dell'interruzione la condotta, per lo sviluppo già assunto, appare di per sé idonea e univocamente rivolta alla commissione del reato, anche se la posizione negativa del testimone rende inutile rispetto al fine perseguito la presentazione di un'istanza per la sua audizione, riducendo l'azione nei limiti del tentativo (cfr. Cass., Sez. 6, 23 gennaio 2003 n. 22523, rie. Picone).



- Leggi la sentenza integrale -

Con sentenza del 23 maggio 2002 n. 903 il Tribunale monocratico di Bergamo dichiarava M.S. colpevole del reato previsto dagli artt. 56, 378 e 61 n. 11 c.p., commesso in Bergamo il 25 ottobre 1999 (o giorno prossimo), in quanto avvocato, dopo che fu commesso il delitto di rapina a mano armata in Trani il 22 ottobre 1998, aiutava il proprio cliente " Domenico a eludere le investigazioni dell'Autorità suggerendo a Renata (che ne aveva raccolto la confessione) di modificare la versione dei fatti già resa alla Questura di La Spezia in data 17 aprile 1999, di modo che lo stesso risultasse estraneo alla rapina ascrittagli. E lo condannava, con la concessione delle attenuanti generiche equivalenti all'aggravante contestata, alla pena di sei mesi di reclusione sospesa alle condizioni di legge.
Avverso la predetta sentenza l'imputato proponeva appello, chiedendo in via principale l'assoluzione perché il fatto non sussiste o non costituisce reato; in subordine, la riduzione della pena in limiti tali da consentirne la sostituzione con la pena pecuniaria di specie corrispondente, con revoca della sospensione condizionale e concessione della non menzione della condanna. Con sentenza del 7 febbraio 2006 n. 192 la Corte d'appello di Brescia, in parziale riforma della sentenza di primo grado, sostituiva la pena detentiva irrogata con la pena pecuniaria di €. 6.840 di multa, revocando il beneficio della sospensione condizionale e concedendo quello della non menzione. Confermava nel resto la sentenza impugnata.
Avverso la sentenza d'appello il S.ha proposto ricorso per cassazione, chiedendone l'annullamento per i seguenti motivi:
1. erronea applicazione della legge penale perché la sentenza impugnata dal principio di diritto della sufficienza per la commissione del reato di favoreggiamento del dolo generico trae la conseguenza dell'irrilevanza della convinzione del soggetto agente dell'innocenza del soggetto favorito, non tenendo conto che nella specie il S. aveva agito nella sua funzione di difensore, non nella prospettiva dell'elusione delle investigazioni dell'autorità, bensì in quella di indirizzarle nella giusta direzione, nel senso del ristabilimento della verità rispetto a una falsa accusa;
2. travisamento delle deposizioni testimoniali nel senso di un non granitico convincimento dell'aw. S. dell'innocenza di Domenico, laddove il semplice dubbio sulla sussistenza del dolo, benché generico, sarebbe stato sufficiente, nonché della decisione dell'ayv. Sighinolfi di lasciare la difesa una volta esaurita la fase degli incombenti urgenti, senza percepire alcun compenso per l'attività professionale svolta, dedotta dalla Difesa a dimostrazione della mancanza di un serio movente per la commissione di un illecito non solo disciplinare, ma anche di natura penale;
3. difetto di motivazione, a seguito della qualificazione giuridica della condotta come tentativo di favoreggiamento personale, in ordine all'idoneità e all'univocità della condotta e ai rilievi formulati con il terzo motivo d'appello, volti a porre in evidenza il fatto che, in carenza di un'iniziativa diretta a sollecitare all'Autorità Giudiziaria procedente una nuova audizione della testimone, il colloquio avuto dal legale con quest'ultima non poteva che essere collocato nell'area delle valutazioni o iniziative preventive, suscettibili comunque di ripensamenti e non destinate a sfociare inevitabilmente in una concreta iniziativa volta a portare al proprio assistito un aiuto sanzionato dall'art. 378 c.p..
L'impugnazione è infondata.
1. Per la sussistenza dell'elemento soggettivo nel delitto di favoreggiamento personale è sufficiente il dolo generico, che consiste nella consapevolezza dell'agente di fuorviare, con la propria condotta, le ricerche poste in essere dalla competente autorità nei confronti della persona ricercata, nella ragionevole consapevolezza dell'apprezzabilità del suo contributo di aiuto al detto soggetto, conoscendone il reato cosiddetto presupposto e al di fuori dei casi di concorso in esso (Cass., Sez. 6, 29 ottobre 2003 n. 44756, rie. Bevilacqua).
Pertanto è irrilevante per la commissione del reato la circostanza che l'autore sia personalmente convinto dell'innocenza del soggetto favoreggiato.
A questo principio di diritto il Giudice d'appello si è correttamente uniformato, per cui il primo motivo di ricorso si rivela privo di fondamento.
2. Quanto al secondo motivo si osserva che, dopo aver deciso in punto di diritto nel senso sopra indicato, la Corte di merito ha affrontato la medesima questione in punto di fatto, escludendo motivatamente che dagli atti emergesse la convinzione assoluta dell'aw. dell'innocenza del suo cliente.
Premesso che dalla conversazione fra lui e la teste Fiorita, registrata da quest'ultima, non emergeva tale convincimento, ma solo la volontà di neutralizzare la prova a carico, la sentenza impugnata segnala, fra gli altri, un elemento determinante, costituito dalla circostanza che la teste Rota aveva riferito d'aver appreso della rapina dallo stesso Domenico Curci prima della sua cattura e di averlo riferito all'aw.
A fronte di questo elemento decisivo, riguardante la conoscenza che egli di fatto aveva della colpevolezza del proprio assistito per cui non poteva essere ragionevolmente convinto del contrario, il ricorrente si limita a dedurre la sua volontà di lasciare la difesa dopo quella prima fase del procedimento, rinunciando ad ogni emolumento, intendendo così dimostrare l'assenza del movente di una condotta, che tuttavia risulta aliunde e direttamente provata.
La motivazione risulta pertanto completa ed esauriente anche su questo versante, cui si riferisce il vizio dedotto col secondo motivo, che appare perciò anch'esso infondato. Del pari infondato è il terzo motivo.
I Giudici del merito hanno correttamente qualificato come favoreggiamento in forma tentata l'insistente richiesta- rivolta dall'aw. alla signora Fiorita, di cambiare versione onde consentirgli di predisporre una memoria difensiva con istanza presentata all’A.G. procedente di assumere da lei nuove sommarie informazioni testimoniali - in quanto idonea e univocamente diretta a demolire la prova fondamentale a carico dell'imputato raccolta nella fase delle indagini preliminari, che in dibattimento ha portato poi alla condanna, benché tale condotta non si sia compiuta perché l’aw. Sighinolfi, a seguito della resistenza oppostagli dalla Fiorita, si è astenuto dal presentare l'istanza di un supplemento di indagini al fine - come conferma il Giudice d'appello - di sentirla nuovamente e di acquisire una prova da utilizzare subito, per proporre un'istanza de libertate, e, più tardi, nella fase dibattimentale.
La sentenza impugnata ha, dunque, messo in luce con motivazione adeguata e coerente la correttezza della qualificazione giuridica del fatto come tentativo di favoreggiamento, rilevando l'univocità della condotta rispetto al reato di favoreggiamento e l'idoneità della stessa per efficienza causale, proiettata verso l'attuazione della fattispecie criminosa corrispondente. La diagnosi così eseguita implica la risposta e la smentita della tesi difensiva dell'equivocità della condotta per la mancata, successiva presentazione dell'istanza di audizione, considerando che l'interruzione, verificatasi per effetto della rinuncia dell'aw. Sighinolfi a presentarla in conseguenza del rifiuto della teste di ritrattare la deposizione già rilasciata, è intervenuta quando la condotta aveva già assunto uno sviluppo adeguato, sotto il profilo dell'idoneità e dell'inequivocità, rispetto al reato di favoreggiamento, senza che fosse necessaria l'effettiva presentazione dell'istanza. Tant'è che, per converso, se la collaborazione della Fiorita non fosse stata negata, la presentazione di essa sarebbe stata meramente consequenziale e non avrebbe inciso significativamente sulla configurabilità del delitto tentato.
Si deve quindi concludere che sussiste tentativo di favoreggiamento nel caso in cui taluno, dopo che è stato commesso un delitto per cui è prevista la pena della reclusione, si adoperi per procurare all'autore la prova dell'estraneità al delitto ascrittogli, inducendo il teste che ne ha raccolto la confessione a ritrattare la deposizione già resa alla polizia giudiziaria, non riuscendo nell'intento per il rifiuto di collaborazione di quest'ultimo. In tal caso infatti, al momento dell'interruzione la condotta, per lo sviluppo già assunto, appare di per sé idonea e univocamente rivolta alla commissione del reato, anche se la posizione negativa del testimone rende inutile rispetto al fine perseguito la presentazione di un'istanza per la sua audizione, riducendo l'azione nei limiti del tentativo (cfr. Cass., Sez. 6, 23 gennaio 2003 n. 22523, rie. Picone).
Nella specie la condotta posta in essere dall'imputato riveste gli estremi del favoreggiamento tentato, sicché anche il terzo motivo appare destituito di fondamento. Il ricorso, pertanto, non può essere accolto. Segue al rigetto la condanna del ricorrente al pagamento delle spese giudiziali.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese giudiziali

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