Casa:
Integra il reato di indebita percezione di elargizioni a carico dello Stato l'indebito conseguimento, nella misura superiore al limite minimo in esso indicato, del cosiddetto reddito minimo di inserimento
Pubblicata il 24/04/2008
- Leggi la sentenza integrale -
sul ricorso proposto da
Ca.Gi., n. a Is.Ca.Ri. il (...)
Avverso
la sentenza della Corte d'appello di Catanzaro del 10 maggio 2006
Sentita la relazione svolta dal Componente dott. Aniello Nappi
Udite le conclusioni del P.M. nella persona dell'Avvovato Generale dott. Vitaliano ESPOSITO che ha chiesto il rigetto del ricorso.
Uditi i difensori
Motivi della decisione
1. Con la sentenza impugnata la Corte d'appello di Catanzaro ha confermato la dichiarazione di colpevolezza di Gi.Ca. in ordine al delitto di indebita percezione di erogazioni in danno dello Stato, per avere ottenuto dal comune di Is.Ca.Ri., tra l'ottobre del 1998 e il marzo del 2000, la complessiva somma di lire 21.795.000 quale reddito minimo di inserimento, dissimulando a tal fine l'ostativa disponibilità di beni immobili diversi da quello di abitazione.
Ricorre per cassazione Gi.Ca. e deduce violazione di legge, sostenendo che il delitto previsto dall'art. 316 ter c.p. è applicabile solo all'indebita percezione di contributi economico-finanziari, non anche alla percezione di erogazioni pubbliche assistenziali, guai è il reddito minimo di inserimento, come riconosciuto dalla giurisprudenza più recente. Esclude altresì la configurabilità del delitto di truffa, sostenendo che il semplice mendacio non è sufficiente a integrarne l'estremo degli artifizi o raggiri. Conclude che comunque l'intestazione di beni di cui non aveva la disponibilità materiale non era ostativa all'erogazione del controverso sussidio.
2. La sesta sezione penale di questa Corte, cui il ricorso era stato assegnato, ha rilevato un contrasto di giurisprudenza sulla configurabilità del delitto di cui all'art. 316 ter c.p. anche con riferimento all'indebita percezione del reddito minimo di inserimento previsto dal decreto legislativo n. 237 del 1998. E ne ha pertanto rimesso la decisione alle Sezioni unite.
In realtà, secondo una parte della giurisprudenza "non è configurabile il reato di indebita percezione di erogazioni a danno dello Stato (art. 316 ter c p.), né quello di truffa aggravata per il conseguimento di erogazioni pubbliche (art. 640 bis c.p.), nella condotta dell'agente che renda dichiarazioni mendaci in ordine alle proprie condizioni personali, familiari e patrimoniali al fine di ottenere l'erogazione dell'indennità da "reddito minimo di inserimento", in quanto si tratta di un tipo di contributo che rientra nell'ambito delle erogazioni pubbliche di natura assistenziale, che come tali non sono prese in considerazione dalle norme incriminatrici sopra citate, che si riferiscono esclusivamente ai casi di illecita o fraudolenta percezione di contributi pubblici di carattere economico - finanziario a sostegno dell'economia e delle attività produttive" (Cass., sez. VI, 11 maggio 2005, Belcastro, n. 231865, Cass., sez. VI, 16 febbraio 2006, Liva, n. 233852, Cass., sez. VI, 2 marzo 2006, Pantorno, n. 234587).
Si rileva in particolare che gli artt. 316 ter e 640 bis c.p., laddove definiscono le "erogazioni pubbliche" rilevanti come "contributi, finanziamenti, mutui agevolati o altre erogazioni dello stesso tipo, comunque denominate", recepiscono la terminologia propria della sola legislazione di sostegno alle attività economiche e produttive. E si sostiene che le severe sanzioni previste dagli artt. 316 ter e 640 bis c.p. appaiono specificamente destinate a reprimere solo la devianza economico finanziaria, certamente più grave e sofisticata.
Per l'opposto orientamento giurisprudenziale, invece, "è configurabile il reato di indebita percezione di erogazioni a danno dello Stato (art. 316 ter c.p.) nella condotta dell'agente che renda dichiarazioni mendaci in ordine alle proprie condizioni personali, familiari e patrimoniali al fine di ottenere l'erogazione di indennità di natura assistenziale (nella specie, il trasferimento monetario integrativo del reddito, ai sensi dell'art. 8 D.Lgs. 18 giugno 1998 n. 237, c.d. "reddito minimo di inserimento") " (Cass., sez. VI, 12 giugno 2006, Russo, n. 234873, Cass., sez. VI, 10 ottobre 2003, Riillo, n. 228191).
Si sostiene che il termine "contributo" è riferibile anche alle erogazioni pubbliche assistenziali, come confermato dal secondo comma dello stesso art. 316 ter c.p., laddove impone quale condizione di rilevanza penale del fatto una soglia minima di quattromila euro, certamente non giustificabile se la fattispecie si riferisse alle sole erogazioni di sostegno alle attività economico produttive. E' l'art. 316 bis c.p., si aggiunge, che sì riferisce esplicitamente solo a "contributi, sovvenzioni o finanziamenti destinati a favorire iniziative dirette alla realizzazione di opere od allo svolgimento di attività di pubblico interesse". Mentre sarebbe irragionevole ritenere che proprio le attività illecite di minore gravità, come quelle destinate all'indebita percezione di erogazioni assistenziali, debbano in definitiva essere sanzionate più gravemente, posto che, ove escluse dall'ambito di applicazione dell'art. 316 ter c.p., esse risulterebbero riconducibili alle concorrenti fattispecie della truffa aggravata ai danni dello Stato (art. 640 comma 2 n. 1 c.p.) e del falso ideologico in atto pubblico commesso dal privato (art. 483 c.p.).
3. Dei due opposti orientamenti giurisprudenziali risulta fondato il secondo.
Il riferimento sia dell'art. 316 ter sia dell'art. 640 bis c.p. a "contributi, finanziamenti, mutui agevolati o altre erogazioni dello stesso tipo, comunque denominate" è infatti tanto deliberatamente generico da escludere che nella definizione delle fattispecie penali si sia inteso recepire un improbabile linguaggio tecnico, peraltro certamente non desumibile dalla ricchissima legislazione premiale di cui si avvale da decenni l'intervento pubblico, anche europeo, allo scopo di orientare o sostenere le più diverse attività economiche e sociali.
Allo scopo di definire l'ambito di applicazione delle fattispecie in discussione, dunque, occorre piuttosto fare specifico riferimento alla legislazione penale di settore, in particolare alle leggi n. 55 del 1990, n. 86 del 1990 e n. 300 del 2000, che hanno introdotto nel codice penale gli art. 316 bis, 316 ter, 640 bis, destinati a reprimere appunto gli abusi e le frodi connessi a tali erogazioni pubbliche.
Come queste Sezioni unite hanno già avuto modo di chiarire, l'art. 640 bis c.p. prevede in particolare una circostanza aggravante dei delitto di truffa, che si pone in rapporto di specialità con la circostanza aggravante di cui all'art. 640 comma 2 n. 1 c.p. (Cass., sez. un., 26 giugno 2002, Fedi, n. 221663). Infatti, se si raffrontano le due norme, risulta immediatamente evidente come sia concentrico l'ambito di applicazione delle circostanze aggravanti da esse previste. La circostanza prevista dall'art. 640 comma 2 n. 1 c.p. si applica a qualsiasi truffa commessa "a danno dello Stato o di un altro ente pubblico o col pretesto di far esonerare taluno dal servizio militare". La circostanza prevista dall'art. 640 bis c.p. si applica solo quando la truffa abbia comportato l'indebita erogazione di "contributi, finanziamenti, mutui agevolati ovvero altre erogazioni dello stesso tipo, comunque denominate, concessi o erogati da parte dello Stato, di altri enti pubblici o delle Comunità Europee".
Sicché l'atto di disposizione patrimoniale necessario a integrare la truffa (Cass., sez. V, 14 gennaio 2004, Bongioanini, n. 228075) può derivare nel primo caso anche da un rapporto contrattuale bilaterale con lo Stato; presuppone invece nel secondo caso un'erogazione giustificata dal mero riconoscimento dei suoi presupposti di legge.
E che la differenza tra le due circostanze sia nel titolo, piuttosto che nel contenuto, della disposizione patrimoniale è dimostrato dall'art. 316 bis c.p., che al contrario si riferisce appunto al contenuto della prestazione, quando punisce "chiunque, estraneo alla pubblica amministrazione, avendo ottenuto dallo Stato o da altro ente pubblico o dalle Comunità Europee contributi, sovvenzioni o finanziamenti destinati a favorire iniziative dirette alla realizzazione di opere od allo svolgimento di attività di pubblico interesse, non lì destina alle predette finalità".
È evidente infatti che l'art. 316 bis c.p., essendo inteso a reprimere la distrazione dei contributi pubblici dalle finalità per le quali erano stati erogati, non può che riferirsi a contributi connotati appunto da un tale vincolo di destinazione.
Mentre gli artt. 316 ter e 640 bis c.p., essendo entrambi destinati a reprimere la percezione di per sé indebita dei contributi, indipendentemente dalla loro successiva destinazione, sono applicabili anche a erogazioni non condizionate da particolari destinazioni funzionali, come sono appunto i contributi assistenziali.
Si può pertanto concludere che il diverso ambito di applicazione dell'art. 316 bis c.p. rispetto al comune ambito di applicazione degli artt. 316 ter e 640 bis c.p. giustifica il riferimento di queste ultime fattispecie anche a erogazioni a destinazione non vincolata, come quelle assistenziali.
5. Rimane da chiarire tuttavia il rapporto tra le fattispecie previste dagli artt. 316 ter e 640 bis c.p., giacché esse non possono distinguersi in ragione della natura delle erogazioni, che invece, come s'è visto, le distingue entrambe dalla fattispecie prevista dall'art. 316 bis c.p.
L'introduzione nel codice penale dell'art. 316 ter ha in realtà messo in discussione una risalente giurisprudenza, che ha sempre riconosciuto il falso come idoneo a integrare gli artifici o raggiri costitutivi della truffa. Infatti l'art. 316 ter c.p., che pure fa salva l'applicazione dell'art. 640 bis c.p., prevede come punibile l'indebita erogazione di contributi pubblici ottenuta non solo con la mera "omissione di informazioni dovute", che potrebbe riconoscersi talora inidonea a integrare da sola gli estremi della frode, bensì anche "mediante l'utilizzo o la presentazione di dichiarazioni o di documenti falsi o attestanti cose non vere", vale a dire per mezzo di condotte comunemente riconosciute idonee a integrare gli artifici e i raggiri propri del delitto di truffa. Sicché quella prevista dall'art. 316 ter c.p. risulterebbe così un'ipotesi speciale di truffa, perché, pur essendo insita nel falso un'idoneità all'inganno, non ogni inganno presuppone un falso e la realizzazione dell'inganno mediante un falso è una mera eventualità (Cass., sez. V, 13 giugno 2000, Casano, n. 218018).
E tuttavia la costruzione dei delitto di cui all'art. 316 ter c.p. come un'ipotesi speciale di truffa finirebbe per vanificare l'intento del legislatore che, anche in adempimento di obblighi comunitari, aveva perseguito l'obiettivo di espandere ed aggravare la responsabilità per le condotte de-cettive consumate ai danni dello Stato o dell'Unione europea; mentre proprio tali condotte risulterebbero invece punite meno severamente a norma dell'art. 316 ter comma 1 c.p. o addirittura sottratte alla sanzione penale a norma dell'art. 316 ter comma 2 c.p. nei casi di minore gravità. Ora non v'è dubbio che il legislatore del 2000, quando ha inserito nel codice penale l'art. 316 ter, ha ritenuto appunto di estendere la punibilità a condotte decettive non incluse nella fattispecie di truffa, esattamente come già il legislatore del 1986, che aveva previsto un'analoga fattispecie criminosa (art. 2 della legge 23 dicembre 1986 n. 898). E questa possibile diversità della fattispecie di truffa rispetto a quelle introdotte nel 1986 e nel 2000 è stata più volte riconosciuta sia dalla Corte costituzionale sia da queste stesse Sezioni unite, sebbene con un affidamento all'interprete del compito di verificare caso per caso se sia configurabile il delitto dì truffa aggravata (art. 640 bis c.p.) ovvero quello residuale previsto appunto dall'art. 316 ter c.p. (C. cost., n. 25/1994, C. cost., n. 433/1998, C. cost., n. 95/2004; Cass., sez. un., 24 gennaio 1996, Panigoni, n. 203969).
Sicché all'interprete si sono offerte due sole possibilità di risoluzione di questo problema: o ridurre l'ambito di applicazione dell'art. 316 ter c.p. in termini di radicale marginalità o ridurre considerevolmente l'ambito dì applicazione della truffa. E su tali opposte soluzioni sì è in effetti divisa anche la giurisprudenza di questa Corte.
Una parte dalla giurisprudenza ha ritenuto infatti di poter restringere l'ambito di applicazione della fattispecie di truffa, escludendo che la mera presentazione di documentazione falsa integri gli estremi degli artifici o raggiri, in modo da riservare così all'art. 316 ter un effettivo ambito di applicazione (Cass., sez. II, 22 marzo 2002, Morandell, n. 221838, Cass., sez. VI, 10 ottobre 2003, Riillo, n.. 228191, Cass., sez. II, 28 ottobre 2005, Maiorana, n. 232785).
Altra parte della giurisprudenza tende invece a mantenere fermi i limiti tradizionali della fattispecie dì truffa, ritenendo che siano riconducibili all'art. 316 ter c.p. solo o comunque soprattutto quelle condotte cui non consegua un'induzione in errore o un danno per l'ente erogatore (Cass., sez. II, 10 febbraio 2006, Fasolo, n. 233449, Cass., sez. Il, 8 giugno 2006, Corsinovi, n. 234996, Cass., sez. Il, 6 luglio 2006, Carere, n.. 234848, Cass., sez. VI, 24 settembre 2001, Tammerle, n. 220200).
Il primo di questi due orientamenti finisce però per tradursi in una mera finzione interpretativa ad hoc, perché, quando non venga in discussione l'applicabilità dell'art. 316 ter c.p. o di altre fattispecie speciali dì frode, la giurisprudenza continua correttamente a ritenere che il falso sia di per sé uno strumento di raggiro idoneo a integrare gli estremi della truffa (Cass., sez. I, 31 gennaio 2000, Petrarca, n.. 215516, Cass., sez. V, 27 marzo 1999, Longarini, n.. 214868, Cass, sez. VI, 25 febbraio 2003, Di Rosa Donatella, n. 224495), anche se si tratti della truffa aggravata prevista dall'art. 640 bis c.p. (Cass., sez. V, 14 aprile 2004, Ballesio, n. 229203). Sicché questo orientamento interpretativo varrebbe solo a dissimulare, ma certo non a scongiurare, un risultato repressivo opposto a quello perseguito dal legislatore; oltre a legittimare inaccettabili disparità dì trattamento di situazioni del tutto simili.
Non rimane quindi che privilegiare il secondo orientamento interpretativo, con la consapevolezza tuttavia che, in conformità del resto ai dichiarati intenti dei legislatore, l'ambito di applicabilità dell'art. 316 ter c.p. si riduce così a situazioni del tutto marginali, come quelle del nero silenzio antidoveroso o di una condotta che non induca effettivamente in errore l'autore della disposizione patrimoniale.
In molti casi, invero, il procedimento di erogazione delle pubbliche sovvenzioni non presuppone l'effettivo accertamento da parte dell'erogatore dei presupposti del singolo contributo. Ma ammette che il riconoscimento e la stessa determinazione del contributo siano fondati, almeno in via provvisoria, sulla mera dichiarazione del soggetto interessato, riservando eventualmente a una fase successiva le opportune verifiche. Sicché in questi casi l'erogazione può non dipendere da una falsa rappresentazione dei suoi presupposti da parte dell'erogatore, che in realtà si rappresenta correttamente solo l'esistenza della formale dichiarazione del richiedente.
D'altro canto l'effettivo realizzarsi di una falsa rappresentazione della realtà da parte dell'erogatore, con la conseguente integrazione degli estremi della truffa, può dipendere, oltre che dalla disciplina normativa del procedimento, anche dalle modalità effettive del suo svolgimento nel singolo caso concreto. E quindi l'accertamento dall'esistenza di un'induzione in errore, quale elemento costitutivo del delitto di truffa, ovvero la sua mancanza, con la conseguente configurazione del delitto previsto dall'art. 316 ter c.p-, è questione di fatto, che risulta riservata al giudice del merito.
Questa conclusione restituisce peraltro ragionevolezza al sistema anche nella prospettiva del rapporto dei reati in discussione con quelli di falso.
Secondo una plausibile e prevalente giurisprudenza infatti "il reato di cui all'art. 316 ter c.p. assorbe quello di falso previsto dall'art. 483 c.p., in quanto l'utilizzo o la presentazione di dichiarazioni o documenti falsi costituiscano elemento essenziale per la sua configurazione" (Cass., sez. VI, 19 settembre 2006, Cristodaro, n. 234765, Cass., sez. VI, 31 maggio 2006, Raccioppo, n. 235091, Cass., sez. VI, 31 maggio 2006, Magnolia, n. 234840). Si rinviene certo uh precedente secondo il quale "il delitto di tentata froda comunitaria e quello di falso ideologico commesso da soggetto privato in atto pubblico concorrono pax la diversità del bene giuridico offeso" (Cass., sez. III, 2 ottobre 1998, Carone, n. 212164). Tuttavia, una volta riconosciuto un. rapporto di parziale identità tra le fattispecie, il riferimento anche all'interesse tutelato dalle norme incriminatrici non ha immediata rilevanza ai fini dell'applicazione del principio di specialità, perché si può avere identità di interesse tutelato tra fattispecie del tutto diverse, come il furto e la truffa, offensive entrambe del patrimonio, e diversità di interesse tutelato tra fattispecie in evidente rapporto di specialità, come l'ingiuria, offensiva dell'onore, e l'oltraggio a magistrato in udienza, offensivo del prestigio dell'amministrazione della giustizia.
E' invece ragionevolmente indiscusso in giurisprudenza che la truffa concorre con i delitti di falso destinati a integrarne l'estremo degli artifici e raggiri, perché, come s'è detto, il falso è solo uno dei possibili strumenti dì frode (Cass. sez. V, 13 giugno 2000, Casano, n. 219018, Cass. sez. II, 16 dicembre 1988, Piazza, n. 180937, Cass., sez. V, 18 gennaio 1984, Arenare, n. 163439). Sicché, ove non si ritagliasse per l'art. 316 ter c.p. un ambito di applicazione estraneo a quello della truffa, sì avrebbe l'ulteriore conseguenza discriminante di escludere solo par queste frodi il concorso con il falso.
Vale piuttosto chiarire che solo la falsa dichiarazione rilevante ai sensi dell'art. 433 c.p. ovvero l'uso di un atto falso costituiscono modalità tipiche di consumazione del delitto di cui all'art. 316 ter c.p., mentre è solo eventuale che l'utilizzatore degli atti o documenti falsi sia anche autore della falsificazione. Deve perciò ritenersi che solo i delitti di cui all'art. 483 c.p. e all'art. 489 c.p. rimangono assorbiti ai sensi dell'art. 84 c.p. nei delitto previsto dall'art. 316 ter c.p., che concorre invece con gli altri delitti di falso eventualmente commessi al fine di ottenere le indebite erogazioni.
6. Sì può pertanto enunciare il seguente principio di diritto:
I delitti di cui agli artt. 316 ter e 640 bis c.p-, configurabili entrambi, diversamente dal delitto previsto dall'art. 316 bis c.p., anche nel caso di indebita erogazione di contributi di natura assistenziale, sono in rapporto di sussidarietà e non di specialità. Sicché il residuale e meno grave delitto di cui all'art. 316 ter, che diversamente da quello di cui all'rart. 640 bis c.p. assorbe anche i delitti di falso ideologico previste dall'art. 483 c.p. e di uso di atto falso previsto dall'art. 489 c.p., è configurabile solo quando difettino nella condotta gli estremi della truffa.
E in applicazione dì tale principio il ricorso risulta infondato, essendo incensurabile in questa sede il convincimento espresso dai giudici del merito circa la disponibilità da parte dell'imputato di beni immobili ostativi al riconoscimento del contributo erogatogli.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del procedimento.