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Integra il reato di ricettazione l'acquisto di un cane rubato

In tema di ricettazione, l'ipotesi attenuata prevista dal comma 2 dell'articolo 648 del Cp deve essere valutata con riguardo a «tutte le componenti oggettive e soggettive del fatto» e cioè non solo con riguardo alla qualità della res provento da delitto. L'aspetto patrimoniale del valore della cosa, infatti, non è né esclusivo, né decisivo, dovendosi considerare ogni elemento della vicenda: il valore della cosa, le modalità e i motivi dell'azione, la personalità del colpevole, e, in sostanza, la condotta complessiva di quest'ultimo. Nella fattispecie, relativa alla ricettazione di un cane, la S.C. ritenuto corretto il diniego dell'attenuante che il giudice aveva argomentato considerando ogni elemento della vicenda - modalità del fatto, valore dell'animale, personalità degli imputati risultati recidivi reiterati infraquinquennali - mentre nel ricorso si era valorizzato solo un aspetto del fatto, cioè il preteso scarso valore economico del cane. (Corte di Cassazione Sezione 2 Penale, Sentenza del 22 dicembre 2008, n. 47631)



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REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BARDOVAGNI Paolo - Presidente

Dott. ESPOSITO Antonio - Consigliere

Dott. ZAPPIA Pietro - Consigliere

Dott. CAPOZZI Raffaele - Consigliere

Dott. RAGO Geppino - rel. Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso proposto da:

1. CA. VI., nato il (OMESSO);

2. MA. AL., nato il (OMESSO);

avverso sentenza del 25/9/2007 della Corte di Appello di Caltanisetta;

Visti gli atti, la sentenza ed il ricorso;

udita in pubblica udienza la relazione fatta dal Consigliere Dr. Geppino Rago;

Udito il Procuratore Generale in persona del Dott. Alfredo Montagna, che ha concluso per il rigetto di entrambi i ricorsi;

Udito il difensore avv. Foci che chiede l'accoglimento del ricorso di Ma. Al..

FATTO E DIRITTO

Con sentenza n 773/2007, la Corte di Appello di Caltanisetta:

- confermava la sentenza emessa in data 9/12/2005 dal Tribunale di Enna, con la quale Ca. Vi. e Ma. Al. erano stati condannati alla pena di anni uno e mesi sei di reclusione ciascuno per il reato di ricettazione ed esattamente per avere acquistato un cane di razza boxer che risultava essere stato provento di furto, perpetrato in data (OMESSO), ai danni di C. G.;

- assolveva C. G. dal suddetto reato, con la formula "perche' il fatto non sussiste".

Rilevava la Corte:

- reato PRESUPPOSTO: "La denuncia di furto dell'animale sporta dal C. e le modalita' del fatto dal medesimo descritte in sede di denuncia, laddove la p.o. ha riferito di aver rinvenuto la catena alla quale era legato il cane spezzata in due parti, danno invero piena contezza della sussistenza del reato presupposto della ricettazione, da individuarsi per l'appunto nel patito furto. Ne' di certo per la sussistenza del reato di ricettazione si richiede che il reato presupposto abbia costituito oggetto di un accertamento giudiziale conclusosi in via definitiva con esito positivo.

E' indubbio, d'altra parte, alla stregua del positivo riconoscimento del cane, operato dalla parte offesa, che l'animale rivenuto presso la campagna dell'odierno imputato C., dove era stato portato dal Ca., era proprio quello del quale il C. aveva denunciato il furto";

- Ca. : la responsabilita' di costui (pacificamente rinvenuto nel possesso del cane ricevuto dal Ma.), doveva ritenersi sulla base delle sue stesse dichiarazioni apparse del tutto inattendibili;

(Questa la motivazione nei suoi esatti termini: "Non puo' negarsi poi che il Ca. avesse piena consapevolezza della provenienza furtiva dell'animale. L'imputato medesimo ha riferito che il Ma. non gli consegno' alcun certificato di proprieta' del cane e vieppiu' significativo appare anche il fatto che egli abbia portato l'animale per custodirlo (rectius nasconderlo) presso la campagna di altro soggetto, il C., delle cui chiavi disponeva, e all'insaputa del proprietario. Lo stesso Ca. ha riferito, infatti, che il C. non c'era quando egli aveva portato il cane presso la sua campagna e che successivamente, allorche' si era accorto della presenza dell'animale, gli aveva chiesto spiegazioni ed egli gli aveva risposto che l'animale gli era stato consegnato dal Ma. in cambio di altri cani").

MA.; la responsabilita' di costui doveva ritenersi sia sulla base delle stesse dichiarazioni rese dal Ca. (peraltro ammesse dallo stesso imputato) sia dall'inverosimiglianza della tesi difensiva secondo la quale il prevenuto aveva rinvenuto il cane in stato di abbandono legato ad una catena impigliata a degli arbusti, tesi smentita dalle circostanze riferite dalla p.o.;

(Questa la motivazione: "Pienamente comprovata, a giudizio della Corte, e' anche la penale responsabilita' del Ma. Al.. A suo carico possono anzitutto apprezzarsi le dichiarazioni del coimputato Ca. Vi., il quale lo ha chiamato in causa, sostenendo che il cane gli era stato consegnato proprio dal Ma. in permuta di altri cani da lui per converso dati a quest'ultimo.

La circostanza e' stata, d'altra parte, ammessa dall'imputato medesimo nel corso dell'interrogatorio reso ai CC. della Stazione di Enna, acquisito agli atti del dibattimento. Non meritevoli di credito, ad avviso della Corte, sono tuttavia le ulteriori circostanze da lui narrate in quel contesto, laddove l'imputato ha riferito di aver rinvenuto l'animale in stato di abbandono, legato ad una catena impigliata a degli arbusti e di averlo liberato, di poi consegnandolo al Ca. in cambio di altro cane da caccia, non senza aver preavvertito quest'ultimo che si trattava di un cane che era stato trovato in stato di abbandono e che lo stesso Ca. avrebbe dovuto restituire al legittimo proprietario se fosse riuscito a rintracciarlo. Tale versione dei fatti risulta incompatibile con le circostanze riferite dalla p.o. la quale non ha mai lasciato intendere, contrariamente a quanto sostenuto dall'appellante, che l'animale poteva essere fuggito o essersi comunque smarrito (tali possibilita' sono state prospettate piuttosto nell'ambito di una domanda suggestiva rivolta alla p.o. dalla difesa dell'imputato, alla quale il C. non ha comunque affatto assentito, dichiarando piuttosto di non averla compresa), ma ha chiaramente sostenuto che lo stesso era stato asportato dal suo terreno dove trovavasi legato ad una catena che era stata da lui rinvenuta spezzata in due parti. La non congruita' delle spiegazioni fomite dall'imputato in ordine alla provenienza dell'animale e' d'altra parte, circostanza che puo' sicuramente apprezzarsi a suo carico a comprova della consapevolezza della provenienza delittuosa dello stesso").

- Applicabilita' articolo 648 c.p., comma 2: a fronte delle richiesta degli appellanti di applicare la circostanza attenuante speciale della particolare tenuita', la Corte ribatteva che non se ne ravvisavano gli estremi non avendo la difesa "enucleato alcun concreto elemento a sostegno della propria richiesta";

Avvero la suddetta sentenza, hanno proposto ricorso per Cassazione sia il Ca. che il Ma., adducendo i seguenti motivi:

- CA. : costui censura l'impugnata sentenza sotto un solo profilo ed esattamente per non avere la Corte nissena ritenuto il fatto di lieve entita' ex articolo 648 c.p.p., comma 2.

Sostiene, infatti, che, in nessuna parte della sentenza si evidenzia il valore commerciale del cane il quale "e' un esemplare apparentemente di razza boxer, ma che non avendo alcun pedigree, difficilmente puo' essere distinto da un cane comune, il cui valore e' molto contenuto";

- Ma. : costui censura la sentenza sotto un triplice profilo:

1) nullita' della sentenza di primo grado ex articoli 125 e 546 c.p.p. e violazione del diritto di difesa: lamenta il ricorrente che la Corte di Appello, "pur dando atto che la sentenza di primo grado non era adeguatamente motivata, la confermava richiamando genericamente un potere di integrazione", non considerando, invece, che il suddetto assunto doveva ritenersi illegittimo sia perche' in violazione degli articoli 125 e 546 c.p.p. sia perche' lesivo del diritto alla difesa non essendo stato posto, esso ricorrente, nelle condizioni di valutare la correttezza dell'iter logico argomentativo seguito dal giudice di prime cure. Cosi' operando, la Corte non si era limitata ad integrare la motivazione, ma, sostituendosi al giudice di prime cure, aveva creato ex novo una motivazione prima inesistente;

2) illogicita' della motivazione e/o mancanza della motivazione della sentenza di secondo grado: sostiene il ricorrente che l'affermazione di responsabilita' ritenuta dalla Corte nei suoi confronti "risulta apodittica e arbitraria in quanto non sostenuta da adeguata motivazione che trovi sostegno negli atti processuali". Infatti, la responsabilita' sarebbe stata affermata:

2.1. "utilizzando unicamente le dichiarazioni di un coimputato, a sua volta, ritenuto non credibile in quanto egli stesso condannato";

2.2. sarebbe mancante la prova sia del reato presupposto (furto) che del fatto che il cane in questione fosse proprio quello la cui scomparsa era stata denunciata dalla p.o.;

2.3. La Corte non avrebbe motivato ne' in ordine al fatto che il cane era stato portato dal Ca. nel canile gestito dal C. ne' in ordine alla circostanza che la p.o. aveva visto il Ca. a spasso con il cane per strada. Invero, "appare ovvio ed evidente che chi sia consapevole di essere in possesso di un bene di provenienza illecita sicuramente non scelga per occultarlo il deposito della Questura, ne', ancora, lo esibisca in pubblico, con il rischio certo che il bene venga riconosciuto, cosi' come e' stato nella vicenda oggetto del presente procedimento";

2.4. non vi sarebbe la prova del dolo specifico in quanto esso ricorrente aveva fornito "la spiegazione del possesso, poi riscontrata da tutti gli esiti probatori del procedimento e perfettamente compatibile anche con la normativa vigente in materia di randagismo che favorisce la raccolta di cani randagi, anche da parte di privati";

3. Omessa motivazione in ordine alla mancata applicazione dell'articolo 648 c.p., comma 2: lamenta il ricorrente che "la Corte territoriale non ha formulato alcuna statuizione, tanto in positivo quanto in negativo determinando il vizio di omessa motivazione".

Il ricorso deve ritenersi manifestamente infondato.

CA. :

E' principio di diritto consolidato che la sussistenza dell'attenuante di cui all'articolo 648 c.p., comma 2, dev'essere valutata con riguardo a tutte le componenti oggettive e soggettive del fatto e cioe' non solo con riguardo alla qualita' della res provento da delitto, ma anche alla sua entita', alle modalita' dell'azione, ai motivi della stessa, alla personalita' del colpevole e, in sostanza, alla condotta complessiva di quest'ultimo. Infatti, l'aspetto patrimoniale non e' ne' esclusivo ne' decisivo: ex plurimis Cass. 9/4/1997 Hassan - 19/11/1997 Favari -23/3/1998 Canteruccio.

Alla luce del suddetto principio, la doglianza deve, pertanto, ritenersi infondata essendosi il ricorrente limitato a valorizzare solo un aspetto del fatto (preteso scarso valore economico del cane), laddove, invece, la Corte nissena, tenendo evidentemente conto di ogni elemento della vicenda (modalita' del fatto - valore dell'animale - personalita' dei prevenuti recidivi reiterati infraquinquennali), ne ha correttamente escluso la riconducibilita' all'ipotesi di cui al comma 2, proprio perche' la richiesta della difesa era del tutto immotivata non basandosi su alcun concreto elemento.

MA. :

Primo motivo: la censura va disattesa perche' la Corte di merito, pur dando atto che la sentenza di primo grado non era "adeguatamente motivata", ha provveduto ad integrarla. Con il che, di nulla puo' piu' dolersi il ricorrente perche', secondo la consolidata giurisprudenza di questa Corte, alla quale va data continuita', "la struttura motivazionale della sentenza di appello si salda con quella precedente per formare un unico complesso corpo argomentativo": ex plurimis Cass. 8868/2000. Oggetto della censura, infatti, non puo' piu' essere la sentenza di primo grado ma solo quella di appello che l'ha sostituita in toto.

Secondo Motivo: la sentenza di appello impugnata non si presta ad alcuna censura sotto il profilo dell'illogicita', mancanza o contraddittorieta' della motivazione, perche' la Corte ha preso in esame, in modo analitico, tutti gli elementi probatori acquisiti agli atti processuali e, con un iter argomentativo logico e coerente, e' pervenuta a ritenere la responsabilita' del prevenuto. Alle doglianze del ricorrente, deve, infatti, replicarsi:

- ad 2.1.) non e' vero che la responsabilita' di esso ricorrente e' stata affermata "utilizzando unicamente le dichiarazioni di un coimputato, a sua volta, ritenuto non credibile in quanto egli stesso condannato". In realta', la Corte ha utilizzato le dichiarazioni rese dal Ca. (peraltro confermate dallo stesso Ma.), solo per affermare che era stato il Ma. a consegnargli il cane (cfr. supra nota sub 2);

ad 2.2.) la Corte ha dato ampiamente conto del motivo per cui riteneva provata sia la sussistenza del reato presupposto (furto denunciato dalla p.o.), sia che il cane trovato in possesso del Ca. fosse proprio quello di proprieta' della parte offesa (riconoscimento da parte di costui del cane - l'animale non appena aveva visto il padrone gli era andato incontro con atteggiamento festante). Si tratta di accertamenti di fatto del tutto coerenti e logici che, in quanto tali, non si prestano ad alcuna censura in questa sede di legittimita' anche perche' la doglianza del ricorrente appare generica;

ad 2.3) : la censura deve ritenersi inammissibile perche' si riferisce alla posizione del coimputato Ca. il solo che avrebbe avuto interesse ad eventualmente censurare la motivazione della Corte; ad 2.4.) : la Corte ha ampiamente spiegato il motivo per cui la tesi difensiva doveva ritenersi non congrua (cfr. supra sub nota 2).

Si tratta di motivazione ineccepibilmente logica e coerente con le risultanze processuali, sicche' si sottrae ad ogni censura in questa sede tanto piu' che il ricorrente, pur lamentando che la spiegazione che aveva dato del possesso era stata "riscontrata da tutti gli esiti probatori del procedimento", non ha specificatamente indicato, nei motivi del gravame, da quali atti processuali la sua versione dei fatti risulterebbe confermata, con cio' contravvenendo al disposto dell'articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera e).

Terzo Motivo: vale, mutatis mutandis, quanto gia' detto in relazione alla censura proposta dal Ca..

P.Q.M.

Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti in solido al pagamento delle spese processuali e ciascuno della somma di euro 1.000,00 alla cassa delle ammende.

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