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La coltivazione delle piante da cui può ottenersi lo stupefacente è reato anche se avviene in ambito domestico

La coltivazione delle piante da cui può ottenersi lo stupefacente, come la canapa indiana, è penalmente rilevante ex artt. 26 e 28 d.P.R. n. 309 del 1990 comunque essa avvenga e senza alcun riguardo alla distinzione tra coltivazione tecnico-agraria o domestica, posto che l'attività in se medesima è da ritenere potenzialmente diffusiva della droga (v. Corte cost. sent. n. 360 del 1995).
(Corte di Cassazione Sezione 4 Penale, Sentenza del 13 febbraio 2008, n. 6758




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REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE QUARTA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MARINI Lionello - Presidente

Dott. CAMPANATO Graziana - Consigliere

Dott. LICARI Carlo - Consigliere

Dott. AMENDOLA Adelaide - Consigliere

Dott. PICCIALLI Patrizia - Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso proposto da:

PUBBLICO MINISTERO PRESSO TRIBUNALE di GROSSETO;

nei confronti di:

1) SC. MA., N. IL (OMESSO);

avverso SENTENZA del 19/10/2006 GIUDICE UDIENZA PRELIMINARE di GROSSETO;

sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. LICARI CARLO;

sentite le conclusioni del P.G. Dr. IANNELLI Mario, il quale ha chiesto l'annullamento con rinvio.

Udito il difensore Avv. DRESDA Vincenzo, il quale, intervenendo in sostituzione dell'Avv. SENATORE Antonio, ha chiesto il rigetto del ricorso.

OSSERVA

Il G.U.P. del Tribunale di Grosseto, con sentenza del 19/10/2006, dichiarava non luogo a procedere nei confronti di Sc. Ma. in ordine al reato ascrittogli di coltivazione di n. 9 piante di canapa indiana.

Il giudice, pur riconoscendo la riferibilita' della condotta contestata all'imputato, riteneva insussistente il fatto, sul rilievo che, trattandosi nella specie di coltivazione cd. domestica, posta in essere in un appartamento abitato in comune con altri giovani e in numero ridotto, essa non costituirebbe condotta idonea ad integrare la fattispecie criminosa in conseguenza della sua inidoneita' strutturale a ledere l'interesse protetto dalla norma e cioe' "... a creare la disponibilita' della materia-prima in quantita' tale da rendere prevedibile l'immissione delle sostanze ricavate nel mercato degli stupefacenti in quantita' tale da costituire pericolo per l'interesse della generalita'...".

Avverso tale decisione proponeva ricorso per Cassazione il Procuratore della Repubblica presso il medesimo Tribunale, adducendo, sotto il profilo della violazione di legge, che la proposta distinzione tra coltivazione in senso tecnico-agrario e coltivazione in ambito domestico non avrebbe alcun fondamento giuridico, onde sarebbe illegittima la conclusione di ritenere quest'ultima tipologia di coltivazione irrilevante penalmente, considerato che, al contrario, essa, nell'ipotesi che la sostanza prodotta avesse efficacia drogante, porrebbe concretamente in grave pericolo l'interesse collettivo alla salute, a prescindere dalla quantita' della stessa, tale elemento rilevando solo per apprezzare l'entita' del pericolo e non l'esistenza del pericolo stesso. Il ricorso e' meritevole di accoglimento.

Invero, e' principio affermato in modo dominante dalla giurisprudenza di questa Suprema Corte che, alla coltivazione vietata di piante di sostanze stupefacenti non si applica la disposizione di cui al Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990 articolo 75 essendo irrilevante, ai fini della declaratoria di responsabilita' ex articolo 73 del cit. Decreto del Presidente della Repubblica, la destinazione ad uso personale del prodotto della coltivazione, dilettando, nel caso della coltivazione, il nesso di immediatezza con l'uso personale ed attesa, altresi', l'impossibilita' di determinare ex ante la potenzialita' della droga ricavatale. La modesta estensione della coltivazione, la qualita' delle piante, ed in particolare, il grado di tossicita' delle stesse, eventualmente potra' avere, semmai, rilievo solo ai fini della considerazione della gravita' del reato e della commisurazione della pena; mentre, solo nel caso in cui in concreto risulti, oltre alla non destinazione all'uso di terzi, anche l'assenza o l'insufficienza di effetto drogante della sostanza coltivata, e' consentito di escludere l'offensivita' della condotta, configurandosi cosi' il reato impossibile previsto dall'articolo 49 c.p..

In proposito, la Corte Costituzionale, nella evocata sentenza n. 360/1995, ha rilevato come la coltivazione sia condotta "esterna" all'area "contigua al consumo", dando, gia' di per se', "ragione sufficiente di una disciplina differenziata"; evidenziando, altresi', che "nel caso della coltivazione non e' apprezzabile ex ante con sufficiente grado di certezza la quantita' di prodotto ricavabile dal ciclo piu' o meno ampio della coltivazione in atto, sicche' anche la previsione circa il quantitativo di sostanza stupefacente alla fine estraibile dalle piante coltivate, e la correlata valutazione della destinazione della sostanza stessa ad uso personale, piuttosto che a spaccio, risultano maggiormente ipotetiche e meno affidabili, e cio' ridonda in favore della maggiore pericolosita' della condotta stessa, anche perche' - come ha rilevato la stessa giurisprudenza dominante della Corte di Cassazione - l'attivita' produttiva e' destinata ad accrescere indiscriminatamente i quantitativi coltivabili e, quindi, ha una maggiore potenzialita' diffusiva delle sostanze stupefacenti estraibili".

Cio' posto - a) fine di replicare ex adverso all'assunto, che e' propugnato di recente in due sentenze della Sezione 6 penale di questa Corte e che, pur condiviso dal G.U.P. del Tribunale di Grosseto, si pone, tuttavia, in senso nettamente difforme all'indirizzo dominante in tema di coltivazione di piante da stupefacenti (vedansi, sent. n. 17983 del 18/1/2007 e n. 40712 del 21/9/2007 della Sez. 6 penale) - deve innanzitutto considerarsi, sotto un profilo d'ordine generale, che ne' alla stregua della ratio della norma (individuata nella stessa sentenza n. 360/1995 della Corte Cost. nella idoneita' della condotta di coltivazione ad attentare al bene della salute dei singoli per il solo fatto di arricchire la provvista di droga e, quindi, di creare potenzialmente piu' occasioni di spaccio, tanto connotando l'illecito come un tipico reato di pericolo), ne' alla stregua del letterale disposto del Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990 articolo 26 e' dato distinguere tra una coltivazione "di tipo tecnico-agrario" ed una "coltivazione domestica" (come prospetta anche nella impugnata sentenza il G.U.P. di Grosseto), rimanendo cosi' condotta penalmente rilevante quella intesa alla "coltivazione" di tali piante, comunque essa avvenga, questa ponendosi come attivita' idonea, appunto, a ricavare illecitamente nuove disponibilita', ed a conseguentemente accrescere il pericolo di circolazione e diffusione delle sostanze stupefacenti (cfr., ex ceteris, Cass., Sez. 4 n. 4209/2000, n. 9984/2000; Sez. 6 nn. 3895/2001, 4998/2001, 24622/2003; Sez. 4 n. 4836/2003; Sez. 6 n. 24622/2003; Sez. 4 n. 46529/2004; Sez. 6 n. 31472/2004; Sez. 4 nn. 22037/2005, 150/2005, 10138/2006, 8142/2006, 40295/2006; Sez. 6 n. 35796/2007).

Vero e' che l'articolo 27 del Decreto del Presidente della Repubblica citato fa riferimento anche alle "particelle catastali" ed alla "superficie del terreno sulla quale sara' effettuata la coltivazione", ed i successivi articoli 28, 29 e 30 richiamano - oltre che le modalita' di vigilanza, raccolta e produzione delle "coltivazioni autorizzate" e le eccedenze di produzione "sulle quantita' consentite" - le sanzioni in caso di mancata autorizzazione; ma tali prescrizioni riguardano la "autorizzazione alla coltivazione" e sono indicative, cioe', dei requisiti richiesti per ottenere tale autorizzazione; ove, come nella specie, nessuna autorizzazione venga richiesta, viene in rilievo l'attivita' illecita posta in essere, non affrancata da alcuna autorizzazione, per la quale pure sarebbero mancate quelle richieste condizioni.

D'altra parte, ove la propugnata distinzione tra coltivazione "di tipo tecnico-agrario" e "coltivazione domestica" dovesse essere intesa a prospettare, per tale via, una riproposizione della distinzione tra destinazione ad uso personale ed allo spaccio, tale distinzione e' comunque improponibile, per le ragioni che si e' detto, in siffatta ipotesi.

Al di fuori di tale distinzione dovrebbe pervenirsi, secondo la prospettazione del G.U.P. del Tribunale di Grosseto, alla conclusione che, pur in mancanza della prescritta autorizzazione, concedibile solo in presenza dei requisiti indicati dalla legge, sarebbe consentita la coltivazione in numero modesto di piante di sostanze stupefacenti, purche' non messe a dimora in un terreno identificabile nelle sue particelle catastali e secondo le altre prescrizioni al riguardo indicate dalla legge, se e' questo il senso contenutistico della allegazione della "coltivazione tecnico-agraria": trattasi, pero', di conclusione evidentemente del tutto confliggente con la ratio della norma. Gli e', peraltro, ed in ogni caso, che le 9 piante di canapa indiana risultano essere state piantate e coltivate dall'imputato all'interno di un appartamento, abitato in comune con altri giovani, sicche' ancor piu' si evidenzia anche la violazione di quelle specifiche indicazioni di cui all'articolo 27 Decreto del Presidente della Repubblica citato.

Quanto, poi, al rilievo circa l'offensivita' della condotta, la precitata sentenza della Corte Costituzionale aveva rilevato che "diverso profilo e' quello dell'offensivita' specifica della singola condotta in concreto accertata; ove questa sia assolutamente inidonea a porre a repentaglio il bene giuridico tutelato, viene meno la riconducibilita' della fattispecie concreta a quella astratta": ne consegue che proprio la indispensabile connotazione di offensivita' in generale di quest'ultima implica di riflesso la necessita' che anche in concreto la offensivita' sia ravvisabile, almeno in grado minimo, nella singola condotta dell'agente, in difetto di cio' venendo la fattispecie a rifluire nella figura del reato impossibile ex articolo 49 c.p..

Ma, nella concreta fattispecie, tali connotazioni di inoffensivita' logicamente e' possibile escludere, posto che, come e' indicato specificamente dal P.M. ricorrente, dall'analisi LASS, agli atti del processo, e' risultata la capacita' drogante della sostanza prodotta dalla coltivazione. La sentenza impugnata, che ai principi giuridici sopra affermati si e' erroneamente discostata, va, in conclusione, annullata con rinvio al Tribunale di Grosseto, affinche' proceda ad un nuovo esame della vicenda per cui e' processo, tenendo conto ovviamente dei principi suddetti.

P.Q.M.

Annulla la sentenza impugnata con rinvio al Tribunale di Grosseto per nuovo esame.

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