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La consegna ad un giornalista di alcuni files precedentemente sequestrati, ove non vi sia stata alcuna prescrizione o segretazione da parte del pubblico ministero non configura il reato di cui all'art. 379 bis c.p.p.
Pubblicata il 05/06/2011
Corte di Cassazione Sezione 6 Penale, Sentenza del 20 maggio 2011, n. 20105
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IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. MILO Nicola - Presidente
Dott. IPPOLITO Francesco - Consigliere
Dott. ROTUNDO Vincenzo - Consigliere
Dott. PAOLONI Giacomo - Consigliere
Dott. FIDELBO Giorgio - Consigliere
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
procuratore generale presso la Corte d'appello di Milano;
contro la sentenza del 15 febbraio 2008 emessa dal G.i.p. del Tribunale di Milano;
nel procedimento nei confronti di:
Sp. Sa. e D'. Gi. ;
visti gli atti, la sentenza impugnata e il ricorso;
letta la requisitoria del sostituto procuratore generale, dott. Giovanni Galati, che ha concluso per il rigetto del ricorso;
sentita la relazione del consigliere dott. Giorgio Fidelbo.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
1. - Con la sentenza in epigrafe il G.i.p. del Tribunale di Milano, in sede di esame della richiesta di decreto penale di condanna nei confronti di Sp.Sa. e D'.Gi. , entrambi imputati del reato di cui all'articolo 684 c.p., ha dichiarato non doversi procedere per il primo reato perche' il fatto non sussiste e ha trasmesso gli atti riguardanti l'altro illecito al Tribunale di Roma, competente per territorio.
Secondo l'imputazione Sp.Sa. avrebbe rivelato indebitamente al giornalista D'.Gi. notizie coperte da segreto investigativo concernenti un procedimento penale avente ad oggetto la raccolta illegale di dati e informazioni su personaggi pubblici e privati, nell'ambito del quale la stessa Sp. era stata sottoposta a perquisizione locale per i legami lavorativi con Be.Ma. , investigatore privato, indagato nel procedimento penale; in particolare, la Sp. avrebbe messo a disposizione del giornalista il contenuto - raccolto in un pendrive - di due notebook sequestrati nel corso della perquisizione e poi restituiti alla stessa, materiale che veniva utilizzato dal D'. in un articolo apparso sul quotidiano (OMESSO).
Il giudice ha escluso la sussistenza del reato, rilevando che l'articolo 379-bis c.p. punisce la rivelazione di notizie segrete qualora siano apprese da chi ha partecipato o assistito ad un atto del procedimento penale, situazione che non ricorreva per nessuno dei due imputati, precisando, inoltre, che la rivelazione era comunque avvenuta successivamente al dissequestro del materiale, quando cioe' i notebook erano tornati nella piena disponibilita' della Sp. , senza che il provvedimento di restituzione imponesse qualche forma di limitazione al riguardo; ha, comunque rilevato la mancanza dell'elemento soggettivo.
2. - Contro questa sentenza il procuratore generale presso la Corte d'appello di Milano ha proposto appello.
Con il primo motivo ha censurato la decisione, sostenendo che il giudice erroneamente ha escluso la sussistenza del reato di cui all'articolo 379-bis c.p.: sotto il profilo oggettivo assume che le notizie contenute nel materiale informatico sottoposto a sequestro erano coperte da segreto; sotto il profilo soggettivo ritiene che entrambi gli imputati avevano la consapevolezza che sul materiale permaneva il segreto investigativo.
Con il secondo motivo ha eccepito la questione di costituzionalita' dell'articolo 428 c.p.p., nella parte in cui esclude il potere di appello del pubblico ministero.
3. - La Corte d'appello di Milano, con ordinanza del 22 dicembre 2009, rilevato che la sentenza emessa dal Gip non era appellabile, ma solo ricorribile per cassazione, ha trasmesso gli atti a questa Corte per l'ulteriore corso.
MOTIVI DELLA DECISIONE
4. - Preliminarmente deve rilevarsi che la questione di costituzionalita' sollevata dal procuratore generale e' mal posta, in quanto la sentenza impugnata non e' stata pronunciata nell'udienza preliminare ai sensi dell'articolo 428 c.p.p. nella parte in cui non consente al p.m. di appellare le sentenza di non luogo a procedere, si deve osservare che la sentenza di proscioglimento in questione, emessa dal giudice per le indagini preliminari investito della richiesta di decreto penale di condanna, puo' essere impugnata solo con ricorso per cassazione, come del resto e' stato recentemente ribadito dalle Sezioni unite di questa Corte (Sez. un., 30 settembre 2010, n. 43055, Dalla Serra), sicche' correttamente la Corte d'appello di Milano ha investito la cassazione.
5. - Nel merito il ricorso e' infondato.
La rivelazione di segreti inerenti a un procedimento penale e' un reato proprio, nel senso che puo' essere commesso solo da chi ha "partecipato o assistito" ad un atto del procedimento, ovvero da chi ha rilasciato dichiarazioni sulle quali il pubblico ministero ha esercitato il potere di segretazione di cui all'articolo 391-quinquies c.p.p..
Nella specie, la contestazione mossa alla Sp. riguarda il primo tipo di condotta illecita ipotizzata, l'avere cioe' rivelato notizie apprese nel corso della perquisizione a cui e' stata sottoposta, sicche' puo' essere considerata soggetto attivo del reato di cui all'articolo 379-bis c.p., avendo assistito e preso parte al procedimento penale in qualita' di destinataria di un provvedimento finalizzato alla ricerca della prova.
La norma incriminatrice e' funzionale ad un rafforzamento della tutela penale del segreto processuale, per cui, pur essendo un reato proprio, si rivolge a tutti i soggetti che comunque siano a diverso titolo coinvolti nel procedimento, anche senza svolgere alcun ruolo attivo, ma assistendovi in maniera del tutto passiva, come, appunto, il terzo che subisca una perquisizione o un sequestro.
Presupposto del reato in esame e' la indebita rivelazione di "notizie segrete" concernenti un procedimento penale al quale l'agente abbia partecipato o assistito e il concetto di segretezza deve essere desunto dalla normativa processuale, precisamente dall'articolo 329 c.p.p. secondo cui gli atti di indagine sono coperti dal segreto fino a quando l'imputato non ne possa avere conoscenza e, comunque, non oltre la chiusura delle indagini preliminari.
Ed e' proprio con riferimento a questo presupposto che la sentenza impugnata ha escluso la sussistenza del reato, ritenendo che l'imputata non abbia rivelato alcuna notizia segreta.
Invero, ne' dalla sentenza, ne' dal ricorso emerge se nel procedimento in cui venne disposta la perquisizione nei confronti della Sp. , persona non indagata, l'imputato abbia avuto comunicazione dell'esito del sequestro, perche' in tal caso non vi sarebbe stato piu' alcun segreto sul contenuto dei notebooks.
Tuttavia, risulta pacifico dagli atti che la consegna dei pen drive al giornalista e' avvenuta dopo la restituzione alla Sp. di quanto sequestrato; peraltro nel decreto di restituzione, datato 28.9.2006, il pubblico ministero ha giustificato il provvedimento con l'insussistenza di esigenze probatorie. Ne consegue la difficolta' di ritenere che l'imputata potesse avere la consapevolezza del permanere di un eventuale obbligo di segretezza una volta rientrata in possesso del materiale sequestrato e in assenza di qualsiasi avvertimento formale circa l'obbligo di mantenere il segreto sul contenuto dei notebook), mancando nel decreto di restituzione qualsiasi disposizione in tal senso.
Ma prima ancora della mancanza di prova sull'elemento soggettivo, cio' che difetta e' proprio l'elemento materiale del reato.
L'articolo 329 c.p.p.; inoltre, entrambe prevedono che la rivelazione indebita deve riguardare "notizie segrete" attinenti al procedimento penale.
La fattispecie delineata nella prima parte dell'articolo 379-bis c.p. delimita l'oggetto della condotta a quelle notizie "apprese per avere partecipato o assistito ad un atto del procedimento", cioe' a quelle notizie che siano state apprese in occasione della partecipazione o dell'assistenza all'atto posto in essere nel procedimento stesso. Pertanto, il divieto di rivelazione ha ad oggetto l'atto del procedimento in quanto tale, nonche' la sua documentazione, ma non il fatto storico oggetto dell'atto e dell'indagine di cui il soggetto abbia avuto conoscenza in precedenza, cioe' a prescindere dall'atto d'indagine.
Che questo sia l'ambito di applicazione della norma in esame lo dimostra la seconda parte dell'articolo 379-bis c.p., riferita all'inosservanza del divieto imposto dal pubblico ministero ai sensi dell'articolo 391-guinquies c.p.p.: in questo caso la rivelazione che integra il reato non riguarda "gli atti di indagine ed il loro contenuto", ma attraverso il richiamo della disposizione processuale viene a comprendere i fatti e le circostanze oggetto dell'indagine. In altri termini, qui la sanzione penale colpisce qualunque comunicazione di notizia che attenga all'oggetto dell'indagine e, quindi, ai fatti inerenti all'indagine, ma tale allargamento della tutela del segreto e' determinato dal provvedimento di segretazione del pubblico ministero.
Nella specie - in cui non vi e' stata alcuna prescrizione o segretazione da parte del pubblico ministero al momento della restituzione dei beni in sequestro - la consegna dei files non puo' essere equiparata ad una rivelazione di "notizie concernenti un procedimento penale", cioe' alla condotta sanzionata dell'articolo 379-bis c.p. ed infatti l'imputata non ha riferito nulla che riguardasse il procedimento, in particolare in ordine alla perquisizione e al sequestro disposto; inoltre, il contenuto dei files non poteva costituire una "notizia segreta" appresa per avere "assistito o partecipato" all'atto del procedimento, avendone avuto conoscenza aliunde, ben prima del sequestro.
Una volta riottenuti i due notebook la Sp. e' tornata ad averne la piena disponibilita', anche dei files in essi contenuti e l'averli consegnati al giornalista non configura il reato di cui all'articolo 379-bis c.p..
Di nessun rilievo sono le considerazioni della parte ricorrente sulla circostanza che i files, prima della restituzione, erano stati duplicati su supporti informatici dalla polizia giudiziaria e che su essi erano in corso verifiche investigative: premesso che il riferimento contenuto nel ricorso al secondo periodo dell'articolo 329 c.p.p., comma 3.
5.1. - per quanto riguarda la posizione di D'. , fermo restando quando si e' detto in relazione alla insussistenza del reato per la mancanza dello stesso elemento materiale, occorre inoltre evidenziare che nell'ipotesi accusatoria egli viene qualificato come il destinatario della condotta di rivelazione della notizia ritenuta indebita; proprio in quanto tale non puo' essere punito per il solo fatto di avere ricevuto la notizia, perche' avrebbe dovuto essere dimostrata la sua piena partecipazione al rato quale concorrente extraneus, ad esempio per avere istigato o determinato la Sp. a rivelare la notizia. La totale assenza di prove al riguardo ha determinato il proscioglimento del D'. da parte del Gip di Milano, soluzione che deve essere confermata in questa sede, con il conseguente rigetto del ricorso.
6. - in conclusione, il ricorso del procuratore generale deve essere rigettato.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso.