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Non commette abuso d'ufficio il sindaco che delinea su misura del candidato il profilo per accedere al pubblico concorso

Nel reato di abuso d'ufficio (articolo 323 del Cp), si richiede il dolo intenzionale, nel senso che l'agente deve aver agito proprio per perseguire uno degli eventi tipici della fattispecie incriminatrice, ossia l'ingiusto profitto patrimoniale, per sé o per altri, ovvero l'altrui danno ingiusto. In altri termini, non è sufficiente che il soggetto attivo agisca con dolo diretto, cioè che si rappresenti l'evento come verificabile con elevato grado di probabilità, né che agisca con dolo eventuale, nel senso che accetti il rischio del suo verificarsi, ma è necessario che l'evento di danno o quello di vantaggio sia voluto e realizzato come obiettivo immediato e diretto della condotta, e non risulti semplicemente realizzato come risultato accessorio di questa.

Corte di Cassazione Sezione 6 Penale, Sentenza del 8 febbraio 2010, n. 4979



- Leggi la sentenza integrale -

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DI VIRGINIO Adolfo - Presidente

Dott. SERPICO Francesco - Consigliere

Dott. MILO Nicola - Consigliere

Dott. CONTI Giovanni - Consigliere

Dott. FIDELBO Giorgio - Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso proposto da:

1) RA. Pi. , nato a (OMESSO);

2) BE. Ro. , nato a (OMESSO);

contro la sentenza del 2 dicembre 2008 emessa dalla Corte d'appello di Firenze;

visti gli atti, la sentenza impugnata e i ricorsi;

sentita la relazione fatta dal consigliere Dott. Giorgio Fidelbo;

sentito il Sostituto Procuratore generale, Dott. Luigi Riello, che ha chiesto l'annullamento della sentenza perche' il fatto non sussiste o, in subordine, la rimessione degli atti alle Sezioni unite della Corte;

sentito il difensore di fiducia degli imputati, avvocato MARZADURI ENRICO, che ha insistito nell'accoglimento dei ricorsi.

RITENUTO IN FATTO E IN DIRITTO

Be.Ro. , sindaco del Comune di (OMESSO), e Ra. Pi. , funzionario dello stesso Comune, venivano rinviati a giudizio in ordine al reato di abuso di ufficio per avere, in concorso tra loro e con alcuni componenti della Giunta, bandito un concorso per il posto di comandante della polizia municipale, dopo avere fatto apportare le opportune modifiche al regolamento comunale al fine di consentire l'assunzione di Ca.Br. , gia' individuato come vincitore del concorso ancor prima del bando e procurando cosi' a questi un ingiusto vantaggio patrimoniale.

Il Tribunale di Lucca, con sentenza del 7 dicembre 2007, assolveva tutti gli imputati ritenendo non sussistente il reato di cui all'articolo 323 c.p., per la mancanza della violazione di legge o di regolamento. Secondo i giudici di primo grado l'imputazione faceva riferimento a norme generali e di principio, prive di carattere precettivo, come l'articolo 97 Cost., ovvero a disposizioni del C.C.N.L., espressioni di autonomia negoziale.

Sull'impugnazione del pubblico ministero la Corte d'appello di Firenze, con la decisione in epigrafe, ha riformato parzialmente la prima sentenza, riconoscendo la responsabilita' di Be. e Ra. e confermando l'assoluzione per i componenti della Giunta.

Secondo i giudici d'appello le condotte poste in essere dai due imputati volte a favorire Ca. nel concorso al posto di comandante della polizia municipale avrebbero violato il principio di imparzialita' dell'amministrazione di cui all'articolo 97 Cost., ritenendo, a differenza di quanto sostenuto dal Tribunale, che la disposizione costituzionale abbia un contenuto precettivo, almeno quando impone al pubblico funzionario il divieto di favoritismi, dettando cosi' una vera e propria regola di comportamento di immediata applicazione anche per il reato di abuso d'ufficio.

All'affermazione della responsabilita' dei due imputati e' conseguita la condanna alla pena di dieci mesi di reclusione, per il Be. , e di otto mesi di reclusione per il Ra. , con i benefici della sospensione condizionale della pena e della non menzione della condanna per entrambi.

I due imputati, tramite i loro difensori di fiducia, hanno proposto distinti ricorsi per cassazione.

Con il primo motivo, comune ad entrambi i ricorsi, deducono l'erronea applicazione dell'articolo 323 c.p., per avere la Corte d'appello ritenuto integrato l'elemento oggetti vo della violazione di legge o di regolamento con riferimento all'articolo 97 Cost., puo' integrare il reato di abuso d'ufficio, in quanto nella specie le condotte contestate attengono sicuramente al momento dell'organizzazione della pubblica amministrazione - trattandosi di procedure selettive predisposte per l'accesso al pubblico impiego -, sicche' il principio di imparzialita' non presenta carattere precettivo.

Sotto altro profilo i ricorrenti rilevano come, anche ammettendo la portata precettiva del menzionato articolo 97 Cost., deve riconoscersi che non vi e' stata alcuna violazione di questa norma, dal momento che la valorizzazione del servizio svolto rispetto al titolo di studio e' stata una scelta funzionale non a favorire il Ca. , ma ad individuare, attraverso il concorso, una persona in grado di risolvere la situazione contingente di contrasti interni e di mancanza di disciplina creatasi all'interno di Corpo della polizia municipale, situazione che necessitava di una conduzione sicura e di "polso" che poteva essere garantita dall'esperienza piu' che dal titolo di studio.

Comune ai due ricorrenti e' anche il motivo con cui si censura la motivazione della sentenza impugnata la' dove, a sostegno della tesi accusatoria, sottolinea che nella redazione del bando non siano stati tenuti in considerazione neppure i pareri richiesti al professore Ta. e all'avvocato T. , circa la valutazione del titolo di studio. A questo proposito viene rilevato un travisamento del contenuto dei pareri e, soprattutto, della testimonianza del Ta. .

Infine, entrambi i ricorrenti deducono l'erronea applicazione della norma incriminatrice con riferimento all'elemento soggettivo del reato, peraltro rilevando la mancanza di motivazione sul punto e l'assenza di ogni vaglio critico sulle testimonianze di Fo. , An. , Na. e Qu. , necessario per accertare che il sindaco avesse effettivamente gia' deciso la nomina del Ca. . Inoltre, si sottolinea, sempre con riferimento all'elemento soggettivo, che emerge dagli atti, anche tenendo conto della cautela con cui si e' mossa l'amministrazione comunale che ha richiesto appositi pareri ad esperti del settore, come la condotta del Be. , che non aveva alcun rapporto personale con il Ca. , sia stata ispirata comunque al perseguimento dell'interesse pubblico.

Per quanto riguarda la posizione del Ra. , nel suo ricorso viene dedotta anche la mancanza e manifesta illogicita' della motivazione in ordine alla commissione del fatto. Si rileva la grave carenza motivazionale della sentenza, che non spiega il contributo del Ra. alla commissione del reato e che non tiene conto ne' del fatto che non fu l'imputato a contattare il prof. Ta. , ne' che non fu lui a redigere il bando. In ogni caso, si rileva che le condotte contestate al Ra. , asseritamente consistite nell'aver seguito fedelmente le disposizioni del sindaco, acquisendo i pareri richiesti, appaiono del tutto irrilevanti ai fini dell'integrazione del reato.

I ricorsi sono fondati con riferimento alla carenza dell'elemento soggettivo del reato.

Come e' noto nel reato di abuso d'ufficio si richiede il dolo c.d. intenzionale, nel senso che l'agente deve aver agito proprio per perseguire uno degli eventi tipici della fattispecie incriminatrice, ossia l'ingiusto vantaggio patrimoniale, per se' o per altri, ovvero l'altrui danno ingiusto. In altri termini, non e' sufficiente che il soggetto attivo agisca con dolo diretto, cioe' che si rappresenti l'evento come verificabile con elevato grado di probabilita', ne' che agisca con dolo eventuale, nel senso che accetti il rischio del suo verificarsi, ma e' necessario che l'evento di danno o il vantaggio sia voluto come obiettivo del suo operato e non semplicemente realizzato come risultato accessorio della sua condotta, sia quindi conseguenza diretta e immediata dell'azione posta in essere (Sez. 6, 1 giugno 2000, 8745, Spitella; Sez. 6, 7 luglio 2000, n. 10448, Bellino).

A differenza che nella precedente formulazione, l'articolo 323 c.p., non ritiene piu' irrilevante il conseguimento del fine, per cui qualora manchi la prova che l'uno o l'altro evento realizzato costituisse il fine perseguito dall'agente, deve escludersi la sussistenza del reato.

Nella specie, dalla ricostruzione del fatto contenuto nelle sentenze di merito risulta con una certa evidenza che la scelta di prefigurare un "profilo" del candidato al posto di comandante della polizia municipale che valorizzasse l'esperienza rispetto ai titoli di studio rispondesse a precise esigenze dell'amministrazione comunale, in cui vi era la necessita' di risolvere, per un periodo limitato, una situazione di conflittualita' venuta a crearsi all'interno del corpo dei vigili urbani. In altri termini, non risulta che i due imputati, nelle loro rispettive posizioni, abbiano agito allo scopo di avvantaggiare Ca.Br. , in quanto la loro azione e' stata diretta, in buona fede, al perseguimento dell'interesse pubblico.

La mancanza dell'elemento soggettivo impone l'annullamento della sentenza impugnata perche' il fatto non costituisce reato.

P.Q.M.

Annulla senza rinvio la sentenza impugnata perche' il fatto non costituisce reato.
 

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