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Non è diffamazione criticare aspramente il provvedimento di un magistrato
Pubblicata il 16/07/2009
(Corte di Cassazione Sezione 5 Penale, Sentenza del 20 gennaio 2009, n. 2066)
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IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE QUINTA PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. AMBROSINI Giangiulio - Presidente
Dott. CARROZZA Arturo - Consigliere
Dott. AMATO Alfonso - Consigliere
Dott. FEDERICO Raffaello - Consigliere
Dott. DI TOMASSI Mariastefani - Consigliere
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
1) FA. AN., N. IL (OMESSO);
2) CA. GI. DO., N. IL (OMESSO);
avverso SENTENZA del 13/02/2008 CORTE APPELLO di ROMA;
visti gli atti, la sentenza ed il ricorso;
udita in PUBBLICA UDIENZA la relazione fatta dal Consigliere Dott. AMATO ALFONSO;
udito il Procuratore Generale in persona del Dr. G. Febbraro che ha concluso per il rigetto;
udito, per la parte civile, l'Avv. A. Veropalumbo;
uditi i difensori Avv.ti GRECO e ARICO' per il 1; Spigarelli per il 2.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Fa. An. e Ca. Gi. Do. sono stati condannati per diffamazione dal Tribunale di Roma, avendo inviato un esposto al vicepresidente del CSM, al Ministro della Giustizia ed al Presidente del Tribunale di Torre Annunziata, col quale definivano odiosi e disumani i provvedimenti adottati dal Dr. Ma.S. nei confronti del loro assistito To. Gi.. Costui, in stato di custodia domiciliare, aveva chiesto di presenziare alla veglia funebre del genitore e di partecipare ai funerali. Il Dr. Ma. aveva autorizzato la partecipazione alle esequie, senza motivare il diniego di autorizzazione per la veglia funebre.
La Corte d'Appello assolveva gli imputati, ravvisando gli estremi dell'eccesso colposo nell'esercizio del diritto di critica, stante il superamento del limite della continenza per l'imprudenza dovuta allo stato emotivo.
Ricorrono i difensori, insistendo per una pronuncia ampiamente liberatoria, in virtu' della scriminante ipotizzata dall'articolo 51 c.p.. La difesa del Fa. assume che le censure erano formalmente corrette ed indirizzate, in ogni caso, al provvedimento e non al magistrato che lo aveva redatto.
La difesa del Ca. esclude ogni dileggio, rimarca che l'esposto mirava a sollecitare l'intervanto delle autorita' preposte alla funzione disciplinare ed assume che, in qualita' di difensori, essi avevano il diritto di reagire all'iniquo provvedimento fra l'altro inoppugnabile, anche in virtu' dell'articolo 7 del codice deontologico degli avvocati.
E' stata depositata memoria in data odierna dalla parte civile.
Le censure sono prive di fondamento.
Non v'e' dubbio che i provvedimenti giudiziari possono essere oggetto di critica, anche aspra, in ragione della opinabilita' degli argomenti che li sorreggono, ma non e' lecito trasmodare in critiche virulente, concretanti il dileggio di colui che li ha redatti.
Il diritto di critica, infatti, proprio per il limite che gli e' coessenziale, non deve farsi strumento di livore, ne' tradursi in censura rancorosa, bensi' costituire espressione di meditato pensiero, che ne filtri le istintive e facili asperita'.
Spetta al giudice di merito la valutazione di offensivita', che si risolve in un apprezzamento di fatto, sottratto al sindacato di legittimita', se congruamente motivata, come nella specie.
La taccia di "odioso, e disumano, sconcertante, gravemente e gratuitamente contrario al senso di umanita'..." qualifica irreversibilmente in maniera affatto negativa la parte lesa, additata come persona priva di ogni sensibilita', crudele e indifferente alle piu' tristi evenienze della vita, anche nell'esercizio della delicata professione.
Specioso, poi, appare il "distinguo" dei ricorrenti fra il provvedimento e il magistrato che lo ha emanato.
Laddove l'uno e' indeclinabile manifestazione dell'altro, sicche' non di scissione o riverbero e' a parlare fra le due pretese entita', bensi' di piena identificazione.
Improponibile e' pure l'estensione - postulata dalla difesa - dei criteri di operativita' del diritto di critica politica e sindacale all'ambito della critica giudiziaria. La diversita' dei contesti, giammai offuscata, rende inaccettabile l'omologazione prospettata, che gioverebbe solo ad elevare il tasso di conflittualita' nella dialettica processuale, con esiti perniciosi per la serenita' dei soggetti implicati e la definizione dei procedimenti trattati.
Il codice deontologico evocato dalla difesa del Ca., infine, sottolinea la doverosita' della tutela, energica e rigorosa, dei diritti della persona patrocinata, ma non vale a fondare, in tema di reati contro l'onore della persona, un'ulteriore causa di giustificazione, ne' una ragione di deroga ai limiti della scriminante ex articolo 51 c.p., enucleati dall'elaborazione giurisprudenziale costituzionale e di legittimita'.
Sembra piu' appropriato rapportare l'attivita' del difensore alla c.d. immunita' o esimente giudiziale, configurata dall'articolo 598 c.p., che non si attaglia, peraltro, al caso di specie, ove si consideri che le espressioni offensive sono contenute in un esposto mirante all'instaurazione di un procedimento disciplinare a carico di un magistrato, nell'ambito del quale gli esponenti non possono essere considerati"parti" (v. sez. 5, 16.10.02, n. 40725, Folcarelli).
I ricorsi vanno, pertanto, rigettati, con la condanna dei ricorrenti in solido alle spese processuali.
P.T.M.
Rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento in solido delle spese del procedimento.