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Non ha diritto al risarcimento del danno per ingiusta detenzione niente risarcimento l'imputato che rimase in silenzio durante l'interrogatorio

Il silenzio, pur costituendo esercizio del diritto di difesa, puo' rilevare sotto il profilo del dolo o della colpa grave nel caso in cui l'indagato sia in grado di fornire specifiche circostanze non note all'organo inquirente. Pertanto, pure nel rispetto del diritto di difesa e delle opzioni attuative dello stesso, vi e' un onere di rappresentazione ed allegazione da parte dell'indagato, al fine di porre l'organo inquirente nelle condizioni di valutare quelle prospettazioni e allegazioni, di comporle nell'unitario quadro investogativo e indiziario, e di rilevare, eventualmente, l'errore in cui si e' incorsi nell'instaurazione dello stato detentivo.



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REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE QUARTA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MORGIGNI Antonio - Presidente

Dott. BIANCHI Luisa - Consigliere

Dott. AMENDOLA Adelaide - Consigliere

Dott. BLAIOTTA Rocco - Consigliere

Dott. PICCIALLI Patrizia - Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso proposto da:

DO. Ro. n. a (OMESSO);

avverso l'ordinanza della Corte di Appello di Napoli in data 8 giugno 2006 con la quale e' stata liquidata la somma di euro 3.065,79 a titolo di riparazione per l'ingiusta detenzione subita;

udita la relazione fatta dal Consigliere Dott. Patrizia Piccialli;

letta la requisitoria scritta del Procuratore Generale, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

FATTO E DIRITTO

Con l'ordinanza indicata in epigrafe la Corte di Appello di Napoli ha liquidato a favore di Do. Ro. la somma di euro 3.065,79 a titolo di riparazione per l'ingiusta detenzione subita, ritenendo fondata l'istanza dallo stesso presentata per il periodo di detenzione a cui era stato sottoposto dal 30 gennaio al 2 febbraio 1997 a seguito dell'applicazione della misura cautelare in carcere inflitta nei suoi confronti, nell'ambito di un procedimento per i delitti di corruzione propria aggravata e continuata in concorso e rivelazione di segreti di ufficio, conclusosi con formula liberatoria.

Con l'ordinanza impugnata il giudice della riparazione ha ritenuto che oggetto della riparazione potevano essere solo i tre giorni sopra indicati di restrizione in carcere, sul rilievo che la privazione della liberta' personale successivamente a tale periodo (sino all'1.7.1997) sarebbe stata causata dal comportamento dello stesso istante, che avrebbe contribuito, con colpa grave, al mantenimento della misura cautelare, omettendo di rappresentare, neppure in via ipotetica, in sede di interrogatorio di garanzia davanti al GIP, le ragioni che avrebbero potuto indurre i collaboratori di giustizia ad incolparlo ingiustamente per aggravare la sua posizione. Siffatto comportamento non muto' per tutto il corso della detenzione, tanto che in data 1.7.2007 la misura cautelare venne revocata dal GIP solo perche' il giudicante reputo' cessate le esigenze di cautela per le quali era stata disposta.

Do. Ro. propone ricorso per cassazione avverso la suddetta ordinanza con tre motivi.

Con i primi due motivi, il ricorrente lamenta che la Corte di merito e' incorsa in violazione di legge, con riferimento alla normativa di settore ed alla interpretazione fornitane dalla S.C., con la conseguente manifesta illogicita' della motivazione.

In particolare, contesta l'assunto del giudice della riparazione laddove questi aveva fatto riferimento alla ritenuta "efficacia sinergica" del comportamento del prevenuto nel mantenimento della custodia cautelare in epoca successiva al 2 febbraio 1997 (data dell'interrogatorio di garanzia), individuandolo nell'avere omesso di riferire in sede di interrogatorio dinanzi al GIP le ragioni che avrebbero potuto indurre i collaboratori di giustizia ad incolparlo ingiustamente per aggravare la sua posizione.

Da tale ultima circostanza, si sostiene nel ricorso, la Corte di appello avrebbe erroneamente ed illogicamente desunto la colpa grave dell'istante, interpretando il comportamento del prevenuto come espressione di macroscopica negligenza e trascuratezza, rilevante ai fini e per gli effetti della procedura de qua.

Il ricorrente, sul punto, contesta, invece, la sussistenza della colpa grave, come tale ostativa al riconoscimento del diritto di riparazione, sul rilievo che, nella specie, i giudici della riparazione avrebbero erroneamente dato rilievo, ai fini della configurazione della colpa grave, ad una strategia difensiva dell'imputato, senza verificare, con un giudizio controfattuale, che, se l'istante avesse fornito un contributo dichiarativo e chiarificatorio dell'intento calunnioso dei collaboratori di giustizia, la vicenda avrebbe avuto un diverso decorso.

La Corte di merito, in particolare, non avrebbe preso in considerazione, incorrendo in un travisamento del fatto, l'interrogatorio reso dal Do. al Tribunale del Riesame, pochi giorni dopo l'esecuzione della misura cautelare (in data 15.2.1997), durante il quale, come nel corso di tutto il dibattimento, l'istante aveva strenuamente negato ogni suo coinvolgimento nella vicenda giudiziaria.

Con il terzo motivo si duole della illogicita' della motivazione con riguardo all'entita' della liquidazione,laddove il giudice della riparazione aveva escluso che la malattia psichica accertata in capo al coniuge del Do. potesse essere ritenuta un'ulteriore fonte di pregiudizio risarcibile, in quanto risalente a piu' di tre anni dall'epoca di cessazione della restrizione del Do. . Si sostiene, in proposito, che la tardivita' della diagnosi o l'intempestivita' delle cure non eliderebbe l'acclarato nesso causale tra il disagio psichico del coniuge e la detenzione dell'istante, tenuto conto della natura e degli effetti delle sindromi post traumatiche da stress.

E' stata depositata una memoria difensiva nell'interesse del ricorrente.

Cio' premesso, le doglianze proposte dal ricorrente avverso il provvedimento impugnato non sono condivisibili.

Appare opportuno richiamare in via generale i principi a cui la Corte di merito deve attenersi nel procedimento per la riparazione dell'ingiusta detenzione ai fini dell'accertamento della sussistenza della condizione ostativa della colpa grave (o del dolo) dell'interessato. Sul tema e' stato in piu' occasioni ribadito da questa Corte che il giudice, pur operando necessariamente sul materiale probatorio acquisito dal giudice della cognizione, non deve stabilire se determinate condotte costituiscano o meno reato, ma se esse si sono poste come fattore condizionante (anche nel concorso dell'altrui errore) rispetto alla produzione o al mantenimento della detenzione, per l'idoneita' di tali condotte, da valutarsi "ex ante", a trarre in inganno l'autorita' giudiziaria. In particolare, perche' la condotta difensiva - la quale va valutata con particolare prudenza, dovendosi rispettare la strategia di difesa del soggetto - possa essere considerata ostativa al riconoscimento del diritto all'indennizzo, e' indispensabile non solo che si tratti di una condotta scorretta (come per esempio il fornire un alibi falso o mendace), ma che ricorra anche il rapporto sinergico di causa ed effetto tra condotta e detenzione, con conseguente obbligo di motivazione del giudice di merito al riguardo. (v., tra le tante Sezione 4^, 1 luglio 2008, Di Giuseppe).

Non e' sufficiente, percio', che il giudice di merito accerti ed evidenzi un comportamento, il quale risulti rilevante sul piano soggettivo quale colpa grave o dolo, di per se' idonea a determinare o a mantenere la misura cautelare custodiale, ma occorre che il giudice dell'equa riparazione verifichi che tale condotta dell'istante abbia negativamente inciso sulla liberta' del medesimo, provocandone o contribuendo a provocarne la privazione dello stato di liberta' o il mantenimento di tale stato, avendo assunto concreta rilevanza agli occhi del GIP.

E' evidente che il giudice della riparazione, nella valutazione di siffatto comportamento non puo' che rapportarsi alla stessa situazione esistente nel momento in cui tale provvedimento e' stato adottato o mantenuto ed effettuare il giudizio che gli compete sulla base dello stesso materiale avuto a disposizione dal giudice che ha provveduto sulla cautela (v. in tal senso, Sezione 4^, 13 maggio 2008, Moretti).

Cio' posto, con argomentazioni, qui di immediata utilita', si e' parimenti affermato che il silenzio serbato dall'interessato in sede di interrogatorio davanti al pubblico ministero ed al GIP, pur costituendo esercizio del diritto di difesa, puo' rilevare sotto il profilo del dolo o della colpa grave nel caso in cui l'indagato sia in grado di fornire specifiche circostanze, non note all'organo inquirente, idonee a prospettare una logica spiegazione al fine di escludere e caducare il valore indiziante degli elementi acquisiti in sede investigativa che determinarono l'emissione del provvedimento cautelare, e le taccia; in tal caso, infatti, pur nel rispetto del diritto di difesa e delle opzioni attuative dello stesso, vi e' un onere di rappresentazione ed allegazione da parte dell'indagato, al fine di porre l'organo inquirente nelle condizioni di valutare quelle prospettazioni ed allegazioni, di comporle nell'unitario quadro investigativo e indiziario, e di rilevare, eventualmente, l'errore in cui si e' incorsi nell'instaurazione dello stato detentivo. In una tale prospettiva, poiche' a quel momento solo l'indagato e' in grado di rappresentare utili e giustificativi elementi di valutazione, la circostanza che invece li taccia (o che reticentemente o falsamente altri ne prospetti) contribuisce, concausalmente, al mantenimento del suo stato detentivo (v., da ultimo, Sezione 4^, 19 giugno 2008, Galli).

Alla luce di tali principi si palesano prive di rilievo le doglianze del ricorrente in merito all'asserito errato riferimento fatto nel provvedimento al silenzio da questi serbato nell'interrogatorio per fondare la colpa grave dell'istante ostativa al riconoscimento del diritto alla riparazione.

La Corte di merito ha infatti ritenuto che l'istante, nell'omettere di prospettare, sia pure in via solo ipotetica, le ragioni che avrebbero potuto indurre i due collaboratori di giustizia ad incolparlo ingiustamente, aveva finito per aggravare la sua posizione.

Cio' soprattutto tenuto conto, come sottolinea il giudice della riparazione, che l'intrinseca attendibilita' delle dichiarazioni dei collaboratori non fu posta in discussione neppure in giudizio e che all'assoluzione dall'istante si pervenne, in primo come in secondo grado, esclusivamente per la constatata assenza di riscontri esterni a quelle dichiarazioni, che non potevano riscontrarsi pacificamente, perche' attinenti a fatti diversi, ancorche' analoghi.

E' una argomentazione, questa, che appare in linea con quanto sopra affermato in merito ai requisiti per la configurabilita' della colpa grave, giacche' l'indagato, con il suo comportamento, non aveva consentito all'organo inquirente di rilevare l'errore in cui era incorso nel mantenimento del suo stato detentivo.

Il giudizio non muta anche a voler considerare l'assunto del ricorrente (supportato dalla produzione di verbali di udienza, pur se manoscritti e non compiutamente intelligibili) secondo cui egli avrebbe recisamente negato il proprio coinvolgimento nei fatti di cui era accusato davanti al giudice del riesame. Trattasi, infatti, di situazione che, magari in modo non particolarmente approfondito, e' esaminata dal giudice della riparazione, che ne ha apprezzato evidentemente l'irrilevanza ai fini di interesse quando ha fatto riferimento alle ragioni della intervenuta scarcerazione del prevenuto da parte del GIP, solo per la considerata cessazione delle esigenze di cautela e non, invece, per la carenza originaria e sopravvenuta degli elementi indiziari.

Anche il terzo motivo e' infondato, laddove la difesa, senza tener conto dei limiti del giudizio di cassazione, richiede a questa Corte di rivalutare il materiale probatorio afferente la malattia psichiatrica del coniuge, che si assume collegata alla carcerazione sofferta dal Do. . La Corte di merito ha, invece, motivato in maniera logica ed esauriente, escludendo il nesso di causalita' tra la detenzione del marito e la malattia, alla luce del dato temporale, essendo la sindrome nervosa intervenuta ad oltre tre anni di distanza dalla scarcerazione.

Al rigetto del ricorso consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.

rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

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