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Non integra il reato di estorsione la richiesta di una integrazione "in nero" del canone di affitto con conseguente minaccia di sfratto

Non sussiste il reato di estorsione nel fatto dell'imputato che abbia preteso dal conduttore di un locale commerciale di sua proprietà, mediante la minaccia di sfratto portata verso un soggetto in gravi difficoltà economiche, la dazione di ulteriori somme di denaro quale integrazione “in nero” del canone: infatti, il profitto in tal modo ricavato dal locatore non può considerarsi “ingiusto” nel senso preteso dall'articolo 629 del Cp.. (Corte di Cassazione Sezione 2 Penale, Sentenza del 17 aprile 2009, n. 16562)




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REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PAGANO Filiberto - Presidente

Dott. NUZZO Laurenza - Consigliere

Dott. MACCHIA Alberto - Consigliere

Dott. BRONZINI Giuseppe - Consigliere

Dott. RENZO Michele - rel. Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso proposto da:

Ap. Lu. , nato il (OMESSO);

Visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;

Udita la relazione svolta dal Consigliere Dott. Michele Renzo;

Sentito il Pubblico Ministero, sost. Proc. Gen. Dott. Delehaye Enrico, che ha chiesto la declaratoria d'inammissibilita' del ricorso.

La Corte osserva:

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con sentenza 2 luglio 2002 il Tribunale di Nocera Inferiore ha condannato Ap. Lu. alla pena di anni 3 e mesi 4 di reclusione per il delitto di estorsione in danno del Co. .

Il fatto contestato consisteva nell'aver preteso dal conduttore di un locale commerciale di sua proprieta', mediante la minaccia di sfratto portata verso un soggetto in gravi difficolta' economiche, la dazione di 6 assegni da lire 4.800.000 ciascuno, ognuno con scadenza per gli anni compresi tra il (OMESSO), quale integrazione in nero del canone.

Con sentenza 24 maggio 2005 la Corte d'Appello di Salerno respingeva l'impugnazione dell'imputato. Osservava la Corte che il comportamento dell' Ap. , in ragione delle numerose e particolarissime peculiarita' del caso concreto, era stato idoneo a coartare la volonta' della vittima, procurando alla sua controparte vantaggi oggettivamente ingiusti, perche' non tutelati dall'ordinamento e che egli non avrebbe mai potuto conseguire utilizzando la minaccia di sfratto per finita locazione secondo le finalita' per le quali essa era apprestata a tutela del locatore.

In dettaglio, lo sfratto era stato usato come strumento per piegare la volonta' del Co. che non voleva corrispondere quasi il doppio del canone rispetto a quello in corso e che si trovava in difficolta' finanziarie per le condizioni di salute della moglie... l'abuso sta nel trasformare la posizione di supremazia esecutiva in una condizione di supremazia contrattuale al fine di ottenere che la controparte sia indotta, in funzione della prospettazione dell'uso della supremazia esecutiva, ad accettare una controprestazione che diversamente non accetterebbe... Si era cosi realizzata una minaccia concretamente capace di coartare la libera determinazione della volonta', ponendo la parte offesa in condizioni di tale soggezione e dipendenza da non consentirle, senza un apprezzabile sacrifico della sua autonomia decisionale, alternative meno drastiche di quelle alle quali la stessa si considera costretta.

Contro la pronuncia ricorre il difensore dell' Ap. con atto articolato su tre diversi motivi la cui illustrazione coinvolge una pluralita' di profili critici:

1. Violazione degli articoli 191 e 192 c.p.p., in quanto erroneamente si era ritenuta l'affidabilita' della narrazione della parte lesa costituita parte civile, il cui animoso contegno nel corso del processo dava corpo a sospetti sulla genuinita' della versione dei fatti declinata dinanzi al giudice. Su questo punto, la motivazione offerta dalla sentenza impugnata era illogica.

2. Violazione dell'articolo 629 c.p. e illogicita' della motivazione in relazione a tutti gli elementi costitutivi della fattispecie incriminatrice, ovvero l'esercizio di una violenza o di un minaccia, il costringimento a fare od omettere qualcosa e l'ingiusto profitto con altrui danno. Il ricorrente, prendendo le mosse dall'affermazione dei giudici di merito secondo cui lecitamente egli avrebbe rifiutato il rinnovo o la prosecuzione della locazione se non a condizioni piu' onerose per il conduttore, sostiene che tale (esatta) premessa rende comunque impossibile la configurazione dell'estorsione, poiche' la sua pretesa patrimoniale non concreterebbe mai un ingiusto profitto, ne' potrebbe ravvisarsi la minaccia rilevante ex articolo 629 c.p. nella prospettazione al Co. di uno sfratto esecutivo per finita locazione. Il connotato dell'ingiustizia del profitto non sarebbe nemmeno ricavabile dalle particolari condizioni di pagamento imposte dal locatore (in nero, con assegni consegnati anticipatamente e datati a scadenze annuali), poiche' tali modalita' reagirebbero unicamente sul piano dell'illecito amministrativo tributario ovvero sulla validita' civilistica del contratto determinandone la possibile nullita'.

3. Mancanza e/o illogicita' di motivazione in ordine all'elemento psicologico, non avendo i giudici di merito verificato se l'agente fosse consapevolmente orientato verso un'azione estorsiva o semplicemente verso il conseguimento di un vantaggio patrimoniale.

Il ricorso e' fondato.

Il primo motivo e' inammissibile, poiche' pur segnalando pretese illogicita' della motivazione sollecita sostanzialmente una nuova ed opposta valutazione circa l'attendibilita' della persona offesa, che avrebbe mostrato un'eccessiva foga accusatoria nel corso della deposizione. In realta' la motivazione della Corte d'Appello sul punto e' completa e non inficiata da smagliature logiche; essa conduce un'analisi accurata dei fatti che hanno condotto la persona offesa a testimoniare e dei forti riscontri (ritrovamento di quattro degli assegni lire 4.800.000 in casa dell'imputato) che ne assistono il racconto. Peraltro la contraddizione segnalata dal ricorrente sarebbe consistita nel fatto che il risentimento del Co. ne avrebbe smentito la credibilita' intrinseca, sicche' per quanti riscontri si fossero trovati alle sue dichiarazioni, esse non si sarebbero mai potute porre a fondamento della prova di un qualsiasi fatto. Tale costruzione e' evidentemente erronea, poiche' pretende di applicare alla deposizione di un teste le tecniche di valutazione prescritte dall'articolo 192 c.p.p. per tutt'altre fonti di prova dichiarativa; e perche' inoltre non appare possibile attribuire una volta per tutte un significato determinato ed immutabile ad atteggiamenti umani quali l'animosita', la foga e il risentimento, prescindendo completamente dall'analisi delle circostanze in cui quegli atteggiamenti si manifestano e della personalita' di chi li adotta.

Il secondo motivo e' fondato.

Esattamente la Corte d'Appello ha menzionato i precedenti giurisprudenziali secondo i quali la minaccia di far valere un diritto garantito dall'ordinamento puo' divenire strumento di estorsione ove venga finalizzata al conseguimento di un profitto ingiusto, che l'esercizio di quel diritto secondo la sua naturale funzione non permetterebbe di raggiungere (cfr. Cass. Sez. 2, sent. n. 3380 dep. il 23 marzo 1991: La minaccia, ancorche' non penalmente apprezzabile quando e' legittima e tende a realizzare un diritto riconosciuto e tutelato dall'ordinamento giuridico, diviene "contra ius" quando, pur non essendo antigiuridico il male prospettato, si faccia uso di mezzi giuridici per scopi diversi da quelli per i quali sono stati apprestati dalla legge. Conseguentemente, in tema di estorsione la minaccia di un male legalmente giustificato assume il carattere di ingiustizia quando sia fatta non gia' per esercitare un diritto sibbene con il proposito di coartare la volonta' di altri per soddisfare scopi personali non conformi a giustizia).

Questo ormai remoto precedente e' esemplificativo di una regola tuttora immutata (cfr., da ultima e in tema di locazione, Cass. Sez. 2, sent. n. 12082 dep. il 18 marzo 2008).

Relativamente al carattere realmente intimidatorio della minaccia di sfratto, che pure il ricorrente contesta, deve semplicemente prendersi atto che si tratta di un apprezzamento di mero fatto, sul quale puo' condursi soltanto un controllo di logicita', che in questo caso si conclude con esito ampiamente positivo. La Corte d'Appello ha diffusamente trattato questo tema nel secondo paragrafo dei motivi, ripercorrendo in dettaglio le tappe della vicenda contrattuale e traendone la conclusione che al momento della richiesta dei sei assegni da lire 4.800.000 il Co. , anche per la particolare vicenda familiare che in quel momento stava vivendo, si e' sentito realmente messo con le spalle al muro e senza concrete alternative rispetto all'accettazione della richiesta.

Le conclusioni della Corte sono assistite da una serie di dati effettivamente acquisiti al processo, ai quali vengono assegnati significati coerenti con un ordinario criterio di normalita'.

Il tema della capacita' intimidatoria della minaccia "legale" non chiude tuttavia il discorso sull'estorsione. Deve essere infatti debitamente sottolineato che l'uso di un diritto garantito dall'ordinamento, anche quando sia sproporzionato rispetto alle proprie ragioni e risulti violentemente intimidatorio verso la controparte, resta comunque nell'ambito del penalmente irrilevante se non si volga verso un fine intrinsecamente ingiusto. Non basta percio' la coazione legalmente operata dal creditore verso il debitore per indurlo all'adempimento, se l'adempimento coincide col contenuto dell'obbligazione lecita da lui contratta; ne' che il soggetto coatto, ad esempio mediante la minaccia di espropriazione forzata o di fallimento per un credito scaduto, accetti di rinegoziare le scadenze maggiorando il saggio d'interesse.

Importa invece che il contenuto dell'obbligazione che deriva da quella minaccia sia tale da non procurare al soggetto attivo della minaccia "legale" un profitto ingiusto. Nell'esempio di cui sopra, importa che i nuovi interessi non siano usurari. In definitiva, e' la connotazione giuridica del profitto secondo l'alternativa giusto/ingiusto che segna il confine tra l'esercizio di un diritto e l'estorsione. La sentenza impugnata appare consapevole della centralita' di questo problema nella definizione della fattispecie contestata e procede all'esame delle caratteristiche del profitto che l'imputato ricavava dall'operazione, scoprendone, tra l'altro, alcuni profili d'ingiustizia nei quali la natura contra ius non viene desunta da definizioni normative, ma da un'analisi di tipo economico al cui esito emergono vantaggi che il locatore non avrebbe raggiunto se la minaccia di sfratto fosse stata portata a compimento (es., risparmio di spese per lavori di ripristino dei locali, alea di un nuovo contraente etc.).

L'ingiustizia considerata dall'articolo 629 c.p. non fa pero' riferimento a questo tipo di vantaggi, i quali hanno comunque una causa lecita di attribuzione patrimoniale se si presentano come effetti collaterali di pattuizioni lecite.

Secondo la giurisprudenza di questa Corte si ha profitto ingiusto nella minaccia di far valere un diritto quando si accerti che il profitto non sia affatto riferibile al diritto vantato e concretamente azionabile (cfr. Cass. Sez. 2, sent. n. 12444 dep. il 2 novembre 1999). La fissazione di un canone esoso, o anche irragionevole, in un regime non calmierato quale e' quello della locazione commerciale, non e' in alcun modo vietata e le obbligazioni che nascono dal relativo contratto sono sempre azionabili dinanzi al giudice.

Per contro, le implicazioni di natura fiscale collaterali alla corresponsione del canone con modalita' clandestine, benche' espongano le parti alle pretese impositive e sanzionatorie dell'Erario, non sovvertono le intrinseche caratteristiche di legalita' del contratto stesso, che resta una lecita espressione dell'autonomia privata dei contraenti, non impedita da alcuna norma imperativa. Ne deriva che il profitto ricavato dal locatore non puo' considerarsi ingiusto nel senso preteso dall'articolo 629 c.p. e non puo' integrare il delitto di estorsione.

Le sentenze di merito delineano il profilo estorsivo della condotta anche nelle particolari circostanze di fatto al cui interno si e' inserita la pretesa dell'imputato (grave malattia della moglie del conduttore, disagio al quale sarebbe stato esposto il Co. per il reperimento di un nuovo locale idoneo e in posizione limitrofa).

A tale proposito, tuttavia, emerge dalla stessa argomentazione della sentenza impugnata che quella situazione di fatto non puo' rilevare a carico dell'imputato, non essendo il prodotto della sua azione od omissione: egli si e' limitato ad approfittare delle circostanze per imporre un canone elevato al conduttore, ma il risultato della sua condotta non si e' concretato nel conseguimento di un profitto ingiusto, poiche' questa definizione non puo' riferirsi ad un'entita' alla quale nessuna norma pone un limite. Il terzo motivo di ricorso resta assorbito nell'accoglimento del secondo, che determina per se' solo l'annullamento senza rinvio della sentenza impanata perche' il fatto-reato ascritto al ricorrente non sussiste.

P.Q.M.

Annulla senza rinvio la sentenza impugnata perche' il fatto non sussiste.

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