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Risarcimento danni per diffamazione

Il diritto di critica giornalistica, espressione della libertà di pensiero, costituzionalmente garantita, si differenzia dal diritto di cronaca in quanto quest'ultimo, avente ad oggetto la rappresentazione di fatti realmente accaduti, deve essere il più possibile corrispondente alla realtà concretizzandosi nella comunicazione verso l'esterno dei medesimi fatti; il diritto di critica, invece, consistente nell'espressione di proprie opinioni personali che attraverso il ragionamento critico, consente di giungere a conclusioni più o meno logiche, si differenza del diritto di cronaca in quanto, pur muovendo da un presupposto oggettivo e reale, si concretizza nella manifestazione e nella comunicazione verso l'esterno di opinioni soggettive che l'individuo matura con il proprio personale ragionamento. (Corte d'Appello Roma Sezione 1 Civile, Sentenza del 9 dicembre 2008, n. 5106)



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REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE DAPPELLO DI ROMA

SEZIONE PRIMA CIVILE

così composta:

dott. Evangelista POPOLIZIO, Presidente;

dott. Ottavio FERRARI ACCIAJOLI, Consigliere;

dott. Gerardo SABEONE, Consigliere Relatore;

riunita in camera di consiglio ha emesso la seguente

SENTENZA

nella causa iscritta al n. 9939 del ruolo generale per gli affari contenziosi dell'anno 2004, posta in deliberazione alla udienza collegiale del 21 maggio 2008 e vertente

TRA

CA.GI.,

elettivamente domiciliato in Roma, alla via (omissis), presso lo studio degli avvocati Ma. e Fr.Ca. che lo rappresentano e difendono per delega in margine all'atto di citazione in primo grado,

APPELLANTE

E

AS.IS.,

elettivamente domiciliata presso lo studio dell'avvocato Pi.Pa. in Roma, alla via (omissis), che la rappresenta e difende in uno con l'avv. Gi.Pa. del foro di Milano per delega in calce all'avverso atto di citazione notificato in primo grado,

APPELLATA

E

AS.C.S.L.S.,

APPELLATA CONTUMACE

OGGETTO: risarcimento danni per diffamazione.

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con atto di citazione, notificato il 16-17 maggio 2001, Ca.Gi., lamentando di essere stato diffamato a mezzo di una pagina Web pubblicata dal dicembre 1996 al novembre 2000 sul sito "Is." di Milano ad opera del "C.S.L.S.", nella quale sotto il titolo "Da piazzale Loreto a Montecitorio. Evoluzione della Destra in Italia. A cura delle compagne e dei compagni del L.S. Le organizzazioni extraparlamentari di destra. Avanguardia Nazionale" era stato accusato di aver organizzato spedizioni punitive di una banda di mazzieri contro studenti di alcune scuole della Capitale ha convenuto avanti il Tribunale di Roma i legali rappresentanti delle suddette associazioni concludendo, quindi, per la loro condanna al risarcimento dei subiti danni morali e materiali, con la rifusione delle spese di lite.

Con la sentenza n. 3687, depositata il 4 febbraio 2004, il Tribunale di Roma, nella contumacia del C.S.L.S., ha, però, rigettato la domanda non avendo ravvisato carattere diffamatorio in quanto posto in essere dai convenuti.

Avverso tale decisione ha proposto appello il Ca., chiedendone la riforma, ribadendo il ritenuto carattere diffamatorio della pagina Web.

Nel costituirsi, anche in questo grado, il solo convenuto "As.Is." si è, viceversa, opposto alle avverse pretese chiedendone il rigetto sostenendo la correttezza del decisum di primo grado.

Dopo la precisazione delle conclusioni, come da verbale in atti, la causa è stata, infine, trattenuta in decisione all'udienza collegiale del 21 maggio 2008, con i termini di legge.

MOTIVI DELLA DECISIONE

L'appello è infondato e non merita accoglimento.

Questa Corte aderisce sostanzialmente, in punto di fatto, alla motivazione del provvedimento impugnato in quanto conforme ai principi, ormai consolidati, elaborati dalla giurisprudenza di legittimità nella materia anche se, nel caso di specie, non può dirsi in contestazione il diritto di cronaca ma piuttosto il diritto di critica, esercitato a mezzo di un articolo pubblicato su di un sito internet.

Giova premettere come tale diritto, espressione del principio costituzionale della libertà di pensiero, non abbia ad oggetto la rappresentazione di fatti, che come tale deve essere il più possibile corrispondente al suo reale accadimento onde evitare il travalicamento dei limiti suoi propri, bensì consiste nell'espressione di opinioni personali che, da determinati presupposti di base, muovono per giungere a delle conseguenze più o meno logiche.

In tal caso, la manifestazione del pensiero riveste una connotazione più nobile ed elevata di quella volta alla semplice rappresentazione dei fatti, in quanto sottesa alla trasmissione di elaborazioni soggettive creative, fonte prima del confronto di opinioni, che costituisce la molla dell'evoluzione culturale, scientifica e sociale.

In tal caso non è richiesta una rispondenza al vero delle premesse di base in forza del principio di correttezza dell'informazione, perché difetta qualsiasi possibilità che dette premesse vengano recepite dai destinatari dell'informazione come dati oggettivi e manca, quindi, qualsiasi potenzialità lesiva della libera formazione del processo volitivo individuale, garantita dall'articolo 2 della Norma fondamentale (v. Cass. 13 giugno 2006 n. 13646).

Indubbiamente, però, qualora la manifestazione del pensiero riguardi, direttamente o indirettamente, una persona determinata, rimane operante la garanzia di salvaguardia dei diritti individuali e della personalità di cui all'articolo 13 della Costituzione.

Trattandosi di opinioni personali è evidente, per quanto dianzi esposto, che devono pur sempre muovere da una base di conoscenze e dati assunti come oggettivi; dati e conoscenze che, tuttavia, non costituiscono l'oggetto diretto della comunicazione, ma solo il punto di partenza per la formazione di espressioni mentali, di opinioni, svolte all'interno del soggetto e da questi comunicate ad altri in modo che, se pure l'oggetto immediato e diretto della comunicazione è costituito dalla opinione soggettiva, tuttavia nella medesima è inserita anche (in maniera espressa o sottintesa) una affermazione di fatti oggettivi assunti come base della successiva elaborazione e che, a seconda di come vengono presentati, possono assumere la qualifica di semplice presupposto ipotetico o di vera comunicazione di scienza.

Con ciò si pone la distinzione tra cronaca e critica, la quale ultima può esser positiva o negativa, ma che si distingue dalla prima per la sua natura di giudizio, contrapposto ad un semplice resoconto.

Né può sussistere dubbio che la manifestazione del pensiero, costituzionalmente garantita, racchiuda entrambe le anzidette espressioni e in particolare la seconda, la quale attiene alla più elevata delle capacità dell'essere umano, quella, cioè, di creare ex novo rappresentazioni mentali, muovendo da una base di fatti e di dati esistenti.

Poiché la critica, come già espresso, può essere sia positiva che negativa (anzi in quest'ultimo senso è l'accezione più diffusa del termine) appare indubbio che la garanzia costituzionale di cui all'articolo 21 comprenda il potere di rivolgere nei confronti di altri soggetti apprezzamenti e giudizi negativi; fermo restando tuttavia l'altro principio di rango costituzionale, del rispetto dei diritti della personalità, di cui all'articolo 13 della Costituzione (v. di recente Cass. 31 marzo 2006 n. 7605, che ha espressamente confermato la possibilità dell'espressione della propria opinione in modo non assolutamente obbiettivo e mediante l'utilizzazione di un linguaggio colorito e pungente).

È, ormai, principio consolidato che, nel contemperamento delle contrapposte esigenze, la libertà personale può essere compressa solamente in presenza di un interesse superiore a quello del singolo, quale è quello della collettività; ma, appunto per ciò, è anche evidente che le forme della comunicazione devono risultare tali da non rendere indebitamente più gravosa la compressione della sfera individuale (e quindi rivestire una continenza di modi proporzionata al contenuto della comunicazione).

Entrambi questi due requisiti devono essere presenti in qualsiasi forma di manifestazione del pensiero, sia che si tratti di semplice cronaca che di critica.

Il problema che a questo punto si pone è di stabilire se anche il requisito della verità dei fatti, individuato dalla giurisprudenza in uno con l'interesse alla divulgazione e con la "continenza" dell'espressione, debba essere valutato in eguale misura sia per la cronaca che per la critica, dal momento che solo la prima è per sua natura volta alla comunicazione di fatti mentre la seconda è rivolta, in via prioritaria, alla comunicazione di opinioni.

Invero, l'elaborazione del pensiero ha la particolarità di rivolgersi in varie direzioni, al fine di una adeguata valutazione soggettiva della problematica presa in esame, nonché della sua comunicazione esterna volta al confronto per l'individuazione di quanto corretto o, eventualmente, errato la certezza oggettiva delle premesse di base deve necessariamente cedere il passo ad una oggettività che può essere fondata su elementi non solo di assolutezza ma anche di ragionevole attendibilità: ragionevole attendibilità che, sola, può giustificare la compressione dei diritti della personalità in unione con gli altri due requisiti dianzi evidenziati.

Sicché qualora la manifestazione di pensiero assuma il contenuto non di semplice comunicazione ma di critica, il limite, che concerne il requisito della oggettiva verità dei presupposti dai quali si muove, è meno definito di quello che si pone nell'affermare detti presupposti come fatti oggettivi: in tale ultimo caso la rispondenza alla realtà dei fatti è intrinseco presupposto della stessa comunicazione, mentre nel primo caso è assunta come base di una serie di ragionamenti che conducono alla formazione delle opinioni, "opinabili" appunto perché tali.

Tutto ciò premesso, in punto di diritto, occorre passare all'esame delle doglianze espresse dalla parte appellante nell'atto d'impugnazione della decisione di primo grado.

In primo luogo ed in punto di fatto, non può dubitarsi:

a) dell'interesse pubblico o sociale dell'argomento trattandosi, in senso oggettivo, di fatti storicamente accertati e sui quali non può impedirsi il libero dibattito nonché, in senso questa volta soggettivo, dell'esponente di spicco di una frangia della destra eletto anche al Parlamento;

b) della continenza delle espressioni utilizzate: è, infatti, incontroverso e, d'altro canto, la stessa parte appellante nemmeno se ne duole se non molto genericamente (v. pagina 9 dell'atto di citazione in appello) che con l'espressione "mazziere" l'autore della pagina Web non abbia travalicato i limiti della esposizione del proprio pensiero critico sulla figura dell'appellante mediante l'utilizzazione di parole, frasi od espressioni atte a denigrare gratuitamente la figura del rappresentato (v. da ultimo, sulle aggressioni individuali all'altrui reputazione, Cass. 6 agosto 2007 n. 17180);

c) non bisogna, infatti, dimenticare come, all'epoca dei fatti raccontati, la violenza fosse una componente purtroppo comune nella lotta politica al di fuori delle aule parlamentari, talvolta rivendicata espressamente quale "forma di espressione politica" per cui dolersi delle espressioni, come nel caso di specie, "mazzieri" e "bande" ovvero picchiatori, squadristi, katanghesi ed altre consimili non ha sicuramente ragion d'essere non essendoci neppure violazione della verità storica dei fatti.

Quanto all'ulteriore elemento della verità di tali fatti può premettersi in punto di diritto come, nella pacifica giurisprudenza di legittimità, si ponga:

a) l'accento sull'oggettiva verità del racconto che tollera, pertanto, le inesattezze considerate irrilevanti se relative a particolari di scarso rilievo o privi di valore informativo (v. Cass. 18 ottobre 2005 n. 20140);

b) l'attenzione sulla possibilità, nell'ambito del diritto di critica, di attribuire un reato ad un soggetto quando non si traduca in una enunciazione immotivata ma possa ricavarsi, con l'ordinario raziocinio dell'uomo medio e con minore o maggiore fondamento, dalla concatenazione di un certo numero di fatti veri, obbiettivamente e correttamente riferiti che rivestano, ancora, interesse per la collettività (v. Cass. 10 gennaio 2003 n. 196);

c) lo sguardo anche sulla c.d. verità putativa, che può tollerarsi soltanto nel caso di involontarietà dell'errore a cagione dell'avvenuto controllo della fonte e dell'attendibilità della stessa (v. Cass. 4 febbraio 2005 n. 2271).

Applicando al caso di specie i principi di diritto dianzi evidenziati si nota che, come correttamente riferito dal primo Giudice, l'esistenza o meno di una sede dell'allora MSI in via Torino appare circostanza del tutto ininfluente, posto che il nucleo essenziale dell'articolo verte piuttosto sull'attività violenta dei soggetti che davano vita alla c.d. spedizioni punitive nei confronti degli studenti dell'opposta fazione politica.

L'attività violenta riportata nell'articolo (spedizioni punitive verso scuole pubbliche ad opera di gruppi di soggetti politicamente orientati) appare fatto storico notoriamente accaduto, per cui neppure appare di pregio ogni considerazione in merito alla c.d. verità putativa.

Del pari inaccoglibili sono le ulteriori doglianze in merito alla violazione della normativa in tema di tutela della c.d. privacy (legge 31 dicembre 1996 n. 675 applicabile ratione temporis, così come sostituita dal D.Lgs. 30 giugno 2003 n. 196).

Premesso che, nel caso di specie, non si verte in tema di dati c.d. sensibili, di cui all'articolo 22 della legge citata, in quanto non si tratta di "rivelare" dati ignoti, essendo le opinioni politiche dell'odierno appellante ormai note può affermarsi che:

a) l'uomo politico Ca. non può impedire l'utilizzazione del suo nome avvenuta nel rispetto, per quanto dianzi espresso, degli articoli 9 e 12 della legge 675/96;

b) del pari, non può invocare il c.d. diritto all'oblio posto che nell'ambito del diritto di critica storico-giornalistica, rispetto al diritto di cronaca, il principio della necessità dell'attualità del fatto riportato (di cui alla citata Cass. 9 aprile 1998 n. 3679) assume, all'evidenza, profili molto meno cogenti.

Alla luce di quanto fin qui esposto va, di conseguenza, rigettato l'appello proposto da Ca.Gi. avverso la sentenza impugnata, che va integralmente confermata.

Le spese, per concludere, anche nel presente grado seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.

P.T.M.

la Corte di Appello di Roma, Sezione Prima Civile, definitivamente pronunziando sulla domanda come in atti proposta, così provvede:

1) rigetta l'appello;

2) condanna l'appellante alla rifusione delle spese di lite in favore della parte appellata costituita che liquida in complessivi Euro 4.604,00 di cui Euro 3.500,00 per onorari di avvocato ed Euro 1.000,00 per diritti di procuratore.

Così deciso in Roma il 19 novembre 2008.

Depositata in Cancelleria il 9 dicembre 2008.

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