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Scatta il reato di estorsione per chi chiede con modalità intimidatorie e in misura proporzionata rispetto al dovuto la restituzione di una somma

Scatta il reato di estorsione per chi chiede con modalità intimidatorie e in misura proporzionata rispetto al dovuto la restituzione di una somma; il meno grave reato di esercizio arbitrario delle proprie ragioni, infatti, si può configurare solo quando in maniera "prepotente" si fa valere un diritto che verrebbe comunque riconosciuto anche in un aula di tribunale. Difatti, secondo la giurisprudenza anche una minaccia dall'esteriore apparenza di legalita' puo' costituire illegittima intimidazione idonea a integrare i l'elemento materiale del reato di estorsione nel caso in cui e' finalizzata ad ottenere un profitto ingiusto e dunque non la controprestazione dovuta; nella specie, la valenza intimidatoria della minaccia e' costituita anche dalla rilevata sproporzione tra credito originario e somma pretesa, situazione che trasforma la richiesta di una prestazione in un risultato iniquo perche' ampiamente esorbitante rispetto a quanto si sarebbe conseguito attraverso l'esercizio del diritto, che viene strumentalizzato per uno scopo contro ius.

Corte di Cassazione Sezione 6 Penale, Sentenza del 16 settembre 2010, n. 33741



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REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DE ROBERTO Giovanni - Presidente

Dott. AGRO' Antonio Stefa - Consigliere

Dott. IPPOLITO Francesco - Consigliere

Dott. COLLA Giorgio - Consigliere

Dott. FIDELBO Giorgio - Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso proposto da:

Al. Sa. , nato a (OMESSO);

contro l'ordinanza del 30 marzo 2010 emessa dal Tribunale di Lecce;

visti gli atti, l'ordinanza impugnata e il ricorso;

sentita la relazione del consigliere dott. Fidelbo Giorgio;

sentito il sostituto procuratore generale, dott. Cedrangolo Oscar, che ha chiesto l'inammissibilita' del ricorso;

sentito l'avvocato Gianzi Giuseppe, che ha insistito per l'accoglimento del ricorso.

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con la decisione in epigrafe il Tribunale di Lecce, in parziale accoglimento della richiesta di riesame avverso l'ordinanza del 3 marzo 2010 con cui il G.i.p. in sede aveva disposto nei confronti di Al.Sa. la misura degli arresti domiciliari per il reato di estorsione, ha escluso l'aggravante di cui alla Legge n. 203 del 1991, articolo 7 e l'aggravante di cui all'articolo 628 c.p., comma 3, n. 3 e, in accoglimento dell'appello proposto dal pubblico ministero, ha applicato all' Al. la misura della custodia cautelare in carcere.

La vicenda prende avvio dalla denuncia presentata da De. Fl. Al. , socio della Da. s.r.l. operante nel settore della commercializzazione all'ingrosso di prodotti alimentari, il quale ha dichiarato che, dopo aver ceduto la partecipazione nella predetta societa' a tale Gi.Fr. di (OMESSO), venne contattato da Al.Sa. , rappresentante della Vi. s.r.l., il quale lo invitava ad estinguere un debito che la sua vecchia societa' Da. aveva nei confronti della Vi. , riferendogli che quest'ultima societa' era gestita da persone poco raccomandabili e che per questo poteva esserci qualche pericolo per la sua incolumita'; aggiungeva il De. Fl. che un mese dopo, costretto dalle insistenze di Al. , il quale gli rappresentava la pericolosita' dei proprietari della Vi. , aveva emesso trenta cambiali a scadenza mensile da euro 300,00 in favore della Vi. per il pagamento del debito; De. Fl. pagava solo le prime due cambiali, dopo di che comunicava all' Al. di non essere piu' in grado di saldare il debito residuo; a questo punto l' Al. lo invitava a consegnargli una somma di circa quindici/venti euro al giorno per tamponare il debito e il De. Fl. gli consegnava un assegno di seicento euro come garanzia; anche in questo caso il pagamento aveva luogo solo per alcuni giorni, dopodiche' il De. Fl. veniva convocato dal pluripregiudicato Du.Ro. , gia' condannato per partecipazione ad associazione maliosa, il quale gli comunicava di essere stato incaricato dalla Vi. di riscuotere il pagamento del debito per un importo di euro 9.236,23, intimandogli di pagare euro 8.000,00 entro il 15.11.2009; seguiva un incontro con altro pregiudicato, Lo.Ro. , e trascorsi altri otto giorni senza eseguire i pagamenti richiesti, De. Fl. si incontrava con l' Al. , con il titolare della Vi. e con il Du. , impegnandosi a pagare tutte le cambiali gia' emesse a favore della societa' creditrice.

Sulla base delle dichiarazioni della persona offesa, riscontrate anche da servizi di appostamento e da intercettazioni, il Tribunale ha ritenuto sussistenti i gravi indizi per il reato di estorsione consumata relativo al primo episodio (capo a) e di estorsione tentata, in relazione al secondo episodio (capo b).

Contro l'ordinanza del Tribunale ha proposto ricorso per cassazione il difensore dell'indagato.

Con il primo motivo si deduce l'erronea applicazione dell'articolo 629 c.p., in quanto il preteso pagamento richiesto dall' Al. al De. Fl. non puo' considerarsi ingiusto, come ha fatto l'ordinanza impugnata, sul presupposto dell'avvenuta cessione della societa', in quanto si era trattato di una cessione simulata, realizzata ai danni dei creditori, tra cui la societa' Vi. . La mancanza dell'evento costitutivo dell'estorsione (ingiusto profitto) fa venir meno il reato contestato, sia nella forma consumata che tentata, potendo semmai ipotizzarsi il meno grave reato di esercizio arbitrario delle proprie ragioni.

Con il secondo motivo si censura l'ordinanza per non aver ritenuto l'unitarieta' della condotta estorsiva ipotizzata, distinguendo erroneamente una estorsione consumata da una tentata, senza considerare che la condotta era comunque rivolta ad ottenere il pagamento del medesimo titolo.

Con il terzo motivo si assume che difettino le prove sulla condotta estorsiva posta in essere, in quanto l'unica fonte di accusa e' costituita dal De. Fl. , persona offesa interessata e nei cui confronti il Tribunale ha omesso di valutare attentamente la sua credibilita', trascurando quanto dedotto dalla difesa sulla personalita' della persona offesa.

Con il quarto motivo si deduce la violazione della Legge n. 203 del 1991, articolo 7 e il collegato vizio di motivazione, non avendo il Tribunale dimostrato che l'indagato abbia realizzato la condotta contestatagli nelle forme del tentativo con metodo mafioso.

Con il quinto motivo si censura il provvedimento impugnato per avere ritenuto la sussistenza delle esigenze cautelari, nonostante l'incensuratezza del De. Fl. .

MOTIVI DELLA DECISIONE

Il primo motivo e' infondato.

Il Tribunale ha fatto una corretta applicazione delle norme penali e ha motivato in maniera convincente e logica sulla configurabilita', seppure a livello di gravi indizi di colpevolezza, del reato di estorsione. Infatti, deve escludersi che la condotta posta in essere dall'indagato possa configurare l'esercizio arbitrario delle proprie ragioni per le modalita' con cui si e' richiesto il pagamento del credito e, inoltre, per la sproporzione della somma pretesa, pari a circa il doppio del valore del credito. Nella specie la minaccia, per come e' stata ricostruita la vicenda, e' consistita in un'apprezzabile pressione psichica esercitata abilmente dall'imputato che ha rappresentato alla vittima una serie di conseguenze negative in caso di mancato pagamento del credito vantato, alludendo all'intervento di persone "poco raccomandabili" che gestivano la societa' creditrice e prospettandogli, indirettamente, uno stato di pericolo per la sua stessa incolumita' personale. La giurisprudenza ha avuto modo di precisare che anche una minaccia dall'esteriore apparenza di legalita' puo' costituire illegittima intimidazione idonea a integrare i l'elemento materiale del reato di estorsione nel caso in cui e' finalizzata ad ottenere un profitto ingiusto e dunque non la controprestazione dovuta; nella specie, la valenza intimidatoria della minaccia e' costituita anche dalla rilevata sproporzione tra credito originario e somma pretesa, situazione che trasforma la richiesta di una prestazione in un risultato iniquo perche' ampiamente esorbitante rispetto a quanto si sarebbe conseguito attraverso l'esercizio del diritto, che viene strumentalizzato per uno scopo contro ius.

Manifestamente infondato e' il secondo motivo, tendente a negare autonomia ai fatti contestati nel capo b). Infatti, si tratta di una questione irrilevante dal punto di vista del giudizio cautelare, che potra' eventualmente essere fatta valere in sede di giudizio di merito.

Manifestamente infondato e' anche il terzo motivo.

A differenza di quanto sostenuto dal ricorrente, l'ordinanza impugnata ha operato un controllo sulla attendibilita' del De. Fl. , evidenziando la mancanza di incoerenze e contraddizioni nel suo racconto e rilevando come le sue dichiarazioni abbiano trovato riscontro anche nei risultati delle intercettazioni, nonche' nei servizi di appostamento e di osservazione organizzati dalla polizia giudiziaria. Inoltre, i giudici hanno escluso l'esistenza di risentimenti o di rancore nei confronti dell'indagato.

Allo stesso modo deve ritenersi manifestamente infondato il quarto motivo.

Il Tribunale ha coerentemente giustificato le ragioni per le quali ha ritenuto sussistente l'aggravante per l'episodio della tentata estorsione, mettendo in rilievo come la richiesta di pagamento sia stata formulata "in virtu' del collegamento della loro richiesta alle condizioni di assoggettamento ed intimidazione derivanti dalle loro personali qualita' e dalla efficacia persuasiva dell'essere la Vi. s.r.l. in mano a persone poco raccomandabili", con un esplicito riferimento all'organizzazione criminale per la quale operavano.

Manifestamente infondati sono, infine, i motivi con cui si contesta la sussistenza delle esigenze cautelari, in quanto non sembrano tenere conto che il Tribunale ha fatto applicazione dell'articolo 275 c.p.p., comma 3, escludendo coerentemente l'esistenza di elementi da cui risulti la mancanza di esigenze cautelari, sulla base della presunzione di pericolosita' cui tale disposizione si riferisce.

L'infondatezza di tutti i motivi proposti determina il rigetto del ricorso, con la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.

La Cancelleria provvedera' agli adempimenti di cui all'articolo 28 reg. esec. c.p.p..

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali. Manda alla Cancelleria per gli adempimenti di cui all'articolo 28 reg. esec. c.p.p..

 

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