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Scatta la calunnia non la falsa testimonianza nei confronti di chi accusa ingiustamente una persona, deponendo il falso in giudizio

Si configura l'esimente ex 384 Cp per il testimone che ha reso false dichiarazioni per sottrarsi al pericolo di essere incriminato per reato in precedenza commesso e in ordine al quale, al momento in cui è sentito, non vi erano indizi a suo carico. (Corte di Cassazione Sezione 6 Penale, Sentenza del 26 gennaio 2009, n. 3427)



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REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DI VIRGINIO Adolfo Presidente del 05/11/2 -

Dott. OLIVA Bruno Consigliere SENTE -

Dott. MILO Nicola Consigliere N. 1 -

Dott. CORTESE Arturo Consigliere REGISTRO GENER -

Dott. IPPOLITO Francesco Consigliere N. 037541/2 -

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso proposto da:

PROCURATORE GENERALE DELLA REPUBBLICA PRESSO CORTE D'APPELLO di BARI;

1) DE. DO. N. IL (OMESSO);

avverso SENTENZA del 03/04/2007 CORTE APPELLO di BARI;

visti gli atti, la sentenza ed il ricorso;

udita in PUBBLICA UDIENZA la relazione fatta dal Consigliere Dott. MILO NICOLA;

udito il P.G. in persona del Dott. Galasso A. che ha concluso per il rigetto del ricorso;

non e' comparso il difensore della p.c.;

non e' comparso il difensore dell'imputato.

FATTO E DIRITTO

1- La Corte d'Appello di Bari, con sentenza 3/4/2007, decidendo sui gravami proposti dal P.G., dalla parte civile e dall'imputato, confermava la decisione in data 21/6/2004 del Tribunale della stessa citta', che aveva dichiarato De.Do. colpevole del delitto di falsa testimonianza, con le conseguenti statuizioni sanzionatorie, e lo aveva assolto dal delitto di calunnia perche' il fatto non costituisce reato.

1a- Secondo la concorde ricostruzione di entrambi i Giudici di merito, il processo aveva tratto origine dalla denunzia sporta, in data (OMESSO), dal De. contro Ga.Pi., sindaco di (OMESSO), accusato - pur sapendolo innocente - di avere preteso, abusando della qualita' e dei poteri rivestiti, somme di denaro ed altri regali in occasione dell'indebito rinnovo, negli anni (OMESSO), della licenza commerciale relativa all'esercizio dell'attivita' di bar e di ristorazione, da tempo cessata ma alla quale il denunziante era comunque ancora interessato, e per avere negato analogo rinnovo nell'anno (OMESSO), solo perche' il denunziante non aveva inteso aderire alla ulteriore richiesta di "tangente".

Il Ga., sottoposto a procedimento penale per i reati di concussione e di abuso d'ufficio, era stato assolto, con sentenza 6/4/2000 del Tribunale di Bari, perche' il fatto non sussiste. Nell'ambito di tale procedimento, il De., escusso come teste all'udienza del 5/2/1998, aveva affermato, contro il vero, di non avere ottenuto il rinnovo della licenza commerciale per l'anno (OMESSO) (rinnovo, invece, concesso in data (OMESSO)) e di non avere presentato in data 21/11/1990 l'istanza diretta ad ottenere la sospensione temporanea della licenza (il contrario risultava dalla documentazione acquisita). L'assoluzione del Ga. era stata basata sulla constatazione che la prova d'accusa, integrata sostanzialmente dalle sole dichiarazioni del De., era "generica", "imprecisa" e "inattendibile perche' smentita dagli atti processuali" e sicuramente condizionata dal deterioramento dei rapporti tra le due parti contrapposte, per effetto dell'intervenuta revoca, in data (OMESSO), delle licenze commerciali a suo tempo rilasciate al De..

Il Ga., dopo tale assoluzione, aveva sporto denunzia, in data 26/10/2000, contro il De., dando cosi' impulso alla vicenda processuale in esame.

1b- Il Giudice distrettuale riteneva di confermare l'assoluzione del prevenuto dal reato di calunnia per difetto di dolo, sottolineando in particolare che, pur essendo oggettivamente falsa l'affermazione di avere pagato tangenti per il rinnovo della licenza relativa agli anni (OMESSO) e di non avere ottenuto il rinnovo nel (OMESSO) a causa del mancato pagamento, non poteva escludersi che il predetto avesse inteso riferirsi, in modo generico ed approssimativo, "ad altre regalie illecite o semplicemente sconvenienti". Riteneva, inoltre, ampiamente provata l'accusa di falsa testimonianza, in ordine al diniego del rinnovo dell'autorizzazione per l'anno (OMESSO) e della presentazione il (OMESSO) dell'istanza di sospensione della licenza, essendo tali circostanze cadute sotto la diretta percezione del De. e "tuttavia positivamente negate". Ne' poteva operare per quest'ultimo illecito l'esimente di cui all'articolo 384 c.p., non essendo il De., nel momento in cui rese la testimonianza, indagato per calunnia.

2- Hanno proposto ricorso per cassazione il Procuratore Generale della Repubblica presso la Corte d'Appello di Bari e, tramite il proprio difensore, l'imputato.

Il primo ha lamentato mancanza, contraddittorieta', manifesta illogicita' della motivazione, inosservanza ed erronea applicazione della legge penale, con riferimento all'articolo 368 c.p.: inconciliabilita' logica tra la ritenuta falsa testimonianza su determinate circostanze di fatto riferite e la esclusione della calunnia con riferimento alle medesime circostanze; non poteva essere affermata la mancanza di dolo sulla base di argomenti meramente ipotetici.

Il secondo ha dedotto: 1) vizio di motivazione sulla denegata applicazione della causa di non punibilita' di cui all'articolo 384 c.p.; 2) mancanza di motivazione sull'elemento soggettivo del reato di falsa testimonianza.

3- I ricorsi sono fondati.

3a- L'assoluzione dal delitto di calunnia, invero, riposa su argomentazioni assolutamente apodittiche e prive di qualunque aggancio fattuale, per cui non resiste alle censure articolate dal P.G. ricorrente.

La Corte di merito, infatti, pur dando atto della falsita' di quanto esposto dal De. nella denunzia del (OMESSO), con riferimento all'affermazione di "avere pagato tangenti per il rinnovo delle licenze (OMESSO) e di non avere ottenuto il rinnovo del (OMESSO) a causa del mancato pagamento", dati di fatto - questi - che costituiscono il nucleo essenziale dell'accusa di calunnia e formano sostanzialmente oggetto anche di quella di falsa testimonianza, perviene, con insanabile contraddizione, a conclusioni diverse in ordine alla esistenza della prova dei due illeciti, che difetterebbe per il primo ma non per il secondo. Giustifica la prima conclusione, ipotizzando la genericita' e l'approssimazione del contenuto della denunzia, per inferirne, senza alcun particolare approfondimento, la carenza di dolo. Non e' dato comprendere, peraltro, come possa ipotizzarsi approssimazione o imprecisione nel pacifico mendacio circa il mancato rinnovo della licenza del (OMESSO) quale ritorsione per il rifiuto alla corresponsione di ulteriori tangenti, circostanza assolutamente precisa, ben definita nei suoi contorni ed evidentemente non suscettibile di essere equivocata dal denunziante.

La sentenza impugnata, richiamando in maniera criptica e - a volte - confusa soltanto alcune delle circostanze di fatto esposte piu' diffusamente nella decisione di primo grado, si limita ad affermare, non diversamente da questa, la "carenza di prova del dolo" del reato di calunnia contestato, senza offrire il benche' minimo elemento dimostrativo di tale convincimento.

L'indagine sul dolo, nel delitto di calunnia, richiede una approfondita e adeguata valutazione, che deve essere orientata in due direzioni: accertare la volonta' dell'incolpazione e la consapevolezza dell'innocenza dell'incolpato. Queste due componenti essenziali del delitto di calunnia vanno analizzate distintamente, prendendo specificamente in esame le circostanze e le modalita' della condotta dell'agente, quali espressione dell'atteggiamento psichico di costui e indicative dell'esistenza di una rappresentazione e di una voluta motivazione del fatto, onde risalire, con processo logico deduttivo, alla sfera intellettiva e volitiva del medesimo soggetto. Di tanto non v'e' traccia nella sentenza impugnata.

3b- Quanto al delitto di falsa testimonianza, che deve essere valutato nell'ambito della complessiva vicenda in esame cosi' come si e' venuta delineando, rileva la Corte che la pronuncia di condanna per tale reato ha escluso, con motivazione assolutamente insoddisfacente, l'invocata causa di non punibilita' di cui all'articolo 384 c.p., sulla base della semplicistica e formale considerazione che il De., nel momento in cui rese la sua deposizione testimoniale, "non era neppure indagato di calunnia e aveva l'obbligo di dire la verita'", con l'ulteriore precisazione, in verita' poco comprensibile sul piano della consequenzialita' logica, che "se avesse ammesso di avere presentato l'istanza del (OMESSO) e di avere ottenuto il rinnovo per il (OMESSO), sarebbe apparso accusatore confuso e inattendibile - quale in ogni caso e' risultato - ma non certo in mala fede, in quanto pronto ad ammettere circostanze a lui contrarie".

Si e' di fronte ad argomentazioni che non giustificano correttamente il diniego dell'invocata causa di non punibilita', sul cui riconoscimento l'imputato ricorrente insiste con il primo motivo di censura.

E' necessario, al riguardo, approfondire, all'esito di una scrupolosa valutazione delle emergenze processuali, la sussistenza - come sembra - di una stretta ed inscindibile connessione tra i fatti oggetto della denunzia ipotizzata come calunniosa e quelli oggetto della falsa testimonianza.

Risolto positivamente tale accertamento, deve tenersi conto del seguente principio di diritto al quale conformare la relativa decisione: non e' punibile per il reato di cui all'articolo 372 c.p. il testimone che abbia reso false dichiarazioni al fine di sottrarsi al pencolo di essere incriminato per reato in precedenza commesso e in ordine al quale, al momento in cui e' stato sentito, non v'erano indizi di colpevolezza a suo carico.

Non rileva che il teste renda false dichiarazioni nel procedimento che trova la sua genesi in una denunzia da lui steso sporta e rivelatasi, poi, calunniosa. In tal caso, non puo' revocarsi in dubbio che ricorra per il delitto di falsa testimonianza la causa di non punibilita' prevista dall'articolo 384 c.p., comma 1. Diversamente opinando, si violerebbe il principio fondamentale nemo tenetur se detegere, nel senso che colui che abbia formulato una falsa accusa, chiamato poi a deporre come teste nel processo instaurato a carico dell'incolpato, sarebbe costretto a confessare la calunnia antecedentemente commessa; consegue, quindi, che, in tale specifica situazione, il persistere nel mendacio non puo' essere sanzionato penalmente. Il carattere assorbente e decisivo delle argomentazioni di cui innanzi esime dal prendere in esame il secondo motivo di ricorso articolato dall'imputato con riferimento all'elemento soggettivo del reato.

4- La sentenza impugnata, pertanto deve essere annullata con rinvio, per nuovo giudizio, ad altra sezione della Corte d'Appello di Bari, che dovra' rivalutare l'intera vicenda, tenendo conto di tutti i rilievi sopra esposti e nel rispetto dei principi di diritto fissati.

P.Q.M.

Annulla la sentenza impugnata e rinvia per nuovo giudizio ad altra sezione della Corte d'Appello di Bari.

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