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Si configura il reato di ingiuria se nella lite tra due avvocati uno definisce il comportamento dell'altro "inqualificabile"

Si configura il reato di ingiuria se nella lite tra due avvocati uno definisce il comportamento dell'altro "inqualificabile", minacciando anche conseguenze professionali per il presunto comportamento scorretto che poi tale non si è dimostrato.E ciò in un contesto in cui non era in alcun modo giustificabile la condotta tenuta dall'imputato in considerazione della disponibilità mostrata dal collega alla restituzione del fascicolo asseritamente trattenuto. (PUBBLICAZIONE, Il Sole 24 Ore, www.guidaaldiritto.ilsole24ore.com, 2012)

Corte di Cassazione, Sezione 5 penale, Sentenza 6 novembre 2012, n. 42954



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REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE QUINTA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ZECCA Gaetanino - Presidente

Dott. OLDI Paolo - Consigliere

Dott. FUMO Maurizio - Consigliere

Dott. SABEONE Gerardo - Consigliere

Dott. MICHELI Paolo - rel. Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso proposto da:

(OMISSIS), nato a (OMISSIS);

avverso la sentenza del 01/04/2011 del Tribunale di Teramo;

visti gli atti, la sentenza impugnata e il ricorso;

udita la relazione svolta dal consigliere Dott. Paolo Micheli;

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Dott. GAETA Pietro, che ha concluso chiedendo l'annullamento senza rinvio della sentenza impugnata, per intervenuta prescrizione del reato contestato.

RITENUTO IN FATTO

1. Il Tribunale di Teramo, decidendo in grado di appello sulla sentenza emessa dal Giudice di pace della stessa citta' in data 09/11/2004, confermava detta pronuncia, recante la condanna di (OMISSIS) alla pena di euro 300,00 di multa per il delitto di ingiurie, nonche' al pagamento delle spese processuali ed al risarcimento del danno subito dalla parte civile costituita, (OMISSIS).

Il giudicante disattendeva le doglianze espresse nell'atto di appello, in particolare circa la presunta nullita' della sentenza di primo grado, dovuta al mancato accoglimento di un'istanza di rinvio del difensore dell' (OMISSIS), impedito per motivi di salute; condivideva al contrario le argomentazioni esposte nel merito dal Giudice di pace, reputando che nel caso di specie l'espressione utilizzata dall'imputato nella lettera assunta come ingiuriosa ("siamo certi che sapra' prendere atto della propria inqualificabile condotta e, pentendosi, restituire quanto di diritto alla mia assistita, e cio' evitera' serie conseguenze al prosieguo della vostra attivita' professionale") fosse concretamente idonea a ledere l'onore del (OMISSIS). In particolare, trattandosi di una controversia fra esercenti la professione forense, con l' (OMISSIS) subentrato alla parte civile nell'assistere un dato cliente (tale (OMISSIS)), veniva sottolineato che l'imputato aveva addebitato al (OMISSIS) di non aver restituito un fascicolo di parte, che invece risultava essere gia' stato consegnato al nuovo difensore.

In punto di computo della prescrizione, la sentenza oggi impugnata dava atto non essersi ancora realizzata la causa estintiva, stante la sospensione dovuta ad una questione di legittimita' costituzionale sollevata il 5 aprile 2006 e decisa dal Giudice delle leggi nel dicembre 2008.

2. L'Avv. (OMISSIS), a mezzo del proprio difensore, procuratore speciale, ricorre avverso la sentenza in epigrafe, lamentando violazione dell'articolo 178 c.p.p., lettera c), in ordine alla gia' illustrata questione di nullita', e deducendo comunque carenza di motivazione. Rileva quindi l'intervenuta prescrizione del reato addebitato.

2.1 Con il primo motivo, il ricorrente segnala che il certificato medico a suo tempo depositato (il pomeriggio precedente rispetto all'udienza di cui si sollecitava il rinvio) conteneva l'espressa dicitura, vergata dal medico curante, "deve rimanere a casa": il fatto che non fosse stato dato atto della sintomatologia nel suo complesso, spiegabile in virtu' delle sottese ragioni di riservatezza, non poteva quindi prevalere sulla tassativa prescrizione del sanitario, da cui era doveroso evincere l'impossibilita' del difensore dell' (OMISSIS) di allontanarsi dal proprio domicilio.

2.2 Con il secondo motivo, viene rappresentato che i giudici di merito avrebbero travisato le emergenze processuali, atteso che il fatto presupposto alla missiva asseritamente ingiuriosa consisteva nella mancata restituzione non gia' di un fascicolo di parte, bensi' di un atto di appello, indispensabile al successore dell'Avv. (OMISSIS) per provvedere alla difesa del cliente e che certamente non era stato ancora consegnato. In ogni caso, non sarebbe corretto affermare che l'espressione riportata in rubrica comporti un giudizio denigratorio sull'intera persona della presunta parte offesa, piuttosto che su un singolo comportamento.

2.3 Con il terzo motivo, il ricorrente prospetta nuovamente l'intervenuta prescrizione del reato, che si assume commesso il 20 gennaio 2003, censurando la motivazione della sentenza del Tribunale di Teramo perche' non contenente un computo reale dei termini decorsi e del periodo di sospensione.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso deve essere rigettato.

1.1 A proposito del presunto impedimento a presenziare da parte del difensore dell'Avv. (OMISSIS), dall'esame degli atti si evince che il certificato medico fatto pervenire in vista dell'udienza del 09/11/2004, recante la data del giorno precedente, ha il seguente contenuto: "Sindrome da raffreddamento - Necessita di gg. 2 (due) s.c. di riposo e cure - Deve rimanere a casa".

La patologia consisteva pertanto in un semplice raffreddore, diagnosi che - stante l'assenza di riferimenti a stati di iperpiressia od a qualsivoglia complicanza - si attaglia per dato di comune conoscenza ad una generica indisposizione, con naso chiuso o poco piu': il fatto che il medico prescrivesse la permanenza in casa del paziente, dunque, altro non significava se non la normale cautela di riguardarsi, non certo l'assoluto impedimento ad uscire dall'abitazione.

La giurisprudenza di questa Corte, tenendo anche conto dell'intervento delle Sezioni Unite sulla problematica in argomento (sent. n. 36635 del 27/09/2005, Gagliardi), ha gia' avuto modo di affermare che e' legittimo il provvedimento con cui il giudice di merito - investito di una richiesta di rinvio per impedimento dell'imputato a comparire con allegato certificato medico che si limiti ad attestare l'infermita' di per se' non invalidante (nella specie, "colica renale") e la prognosi, senza nulla affermare in ordine alla determinazione dell'impossibilita' fisica assoluta di comparire - abbia ritenuto l'insussistenza del dedotto impedimento e dichiarato la contumacia dell'imputato (Cass., Sez. 6, n. 24398 del 26/02/2008, De Macceis, Rv 240352). Nella fattispecie si discute di assai meno di una colica renale, e non e' seriamente sostenibile che al difensore fosse precluso di presenziare all'udienza.

1.2 Quanto alla valenza ingiuriosa delle espressioni utilizzate dall' (OMISSIS), va osservato che in effetti il nodo del contendere non riguardava un fascicolo di parte, bensi' un atto di appello: l'erroneo punto di partenza da cui muovono le analisi del Giudice di pace e del Tribunale non e' tuttavia sufficiente per inficiare la validita' delle rispettive argomentazioni.

Infatti, nella stessa missiva del 20/01/2003 che si assume corpo del reato, conseguente ad un pregresso epistolario con cui l'imputato aveva stigmatizzato altre condotte dell'Avv. (OMISSIS) (all'epoca, vi era gia' stata una prima querela di quest'ultimo), si legge l'espressa e rinnovata richiesta di "restituzione dell'atto di appello da Voi illecitamente trattenuto sin dal 28/01/2002", e questa doveva appunto intendersi la "inqualificabile condotta" sulla quale la parte civile avrebbe dovuto palesare pentimento.

I fatti presupposti a quella missiva appaiono pero' illuminanti, come si evince dall'esame degli atti: era stato proprio l'Avv. (OMISSIS), a ben guardare, ad informare il collega di aver ricevuto la notifica di un atto di appello relativamente alla causa (OMISSIS) - (OMISSIS) s.a.s., percio' era evidente che egli non intendesse affatto trattenerlo indebitamente presso di se'. Dalla lettera del 01/02/2002, recante appunto la comunicazione dell'avvenuta - tre giorni prima - notifica dell'impugnazione, risulta che la parte civile significava all' (OMISSIS) di volergli far avere l'atto di appello, ma chiedeva che cio' non avvenisse mediante consegna o spedizione di un plico chiuso, essendo gia' accaduto che l'odierno imputato lamentasse di avere ricevuto un piego raccomandato non contenente alcunche' (cosa che aveva provocato le rimostranze dell'Avv. (OMISSIS), tanto da determinarlo a segnalare all'Avv. (OMISSIS) di non intendere aver piu' rapporti di sorta con lui). Ergo, si diceva disponibile ad una consegna presso il proprio studio, previo appuntamento telefonico, allo stesso destinatario o direttamente al cliente.

A quel punto, invece di determinarsi - nell'interesse preminente dello stesso assistito, di cui doveva apprestare la difesa - a fare il possibile per ottenere copia dell'atto del quale era stato messo a conoscenza, l'imputato replicava con un fax in pari data, definendo "stravagante" l'iniziativa del collega e diffidandolo a consegnare invece l'atto di appello entro tre giorni, presso di se' od al piu' presso il Consiglio dell'Ordine e in plico chiuso, previo ammonimento su iniziative "in ogni competente sede, non escludendosi da tal novero quella penale".

L'Avv. (OMISSIS) replicava a sua volta con missiva del 12/02/2002, invitando il contraddittore a guardarsi dal formulare minacce ed insistendo nelle modalita' di consegna gia' segnalate: escludeva in particolare la praticabilita' di consegne in busta chiusa, visti i precedenti, e significava all'imputato (domiciliato nella provincia di Ascoli Piceno) che doveva intendersi indifferente, per lui, recarsi presso lo studio del mittente o presso il Consiglio dell'Ordine, trattandosi in ogni caso di effettuare una trasferta in quel di Teramo.

Seguiva due giorni dopo un telegramma dell'Avv. (OMISSIS), il quale si diceva certo che il comportamento della parte civile fosse dovuto a "banale ignoranza dei propri doveri professionali", e preannunciava azione penale e disciplinare, con riserva di chiedere il risarcimento dei danni.

Poi, almeno in base al carteggio in atti, null'altro fino alla missiva riportata nel capo d'imputazione. La consegna dell'atto di appello avveniva, finalmente, il 03/02/2003, come da attestazione su una copia a firma di un collaboratore dell'Avv. (OMISSIS).

In definitiva, l'Avv. (OMISSIS) non intese trattenere per forza e sine titulo un atto pertinente alla posizione di un ex assistito: comunico' tempestivamente al nuovo difensore del cliente che vi era stato un atto di appello, e si limito' a segnalare che - avendo l'Avv. (OMISSIS) gia' protestato che un plico inviatogli consisteva in una busta vuota - intendeva cautelarsi con modalita' di consegna che escludessero equivoci siffatti. Non e' dunque in alcun modo giustificata la condotta dell'imputato, nel reputare "inqualificabile" (aggettivo che esprime ex se una valenza denigratoria ed altamente negativa) la condotta della parte civile, vieppiu' se considerata potenzialmente idonea ad incidere - per le iniziative che secondo l'imputato sarebbe stato doveroso intraprendere - sulla futura attivita' professionale del legale.

1.3 In ordine alla prescrizione, si deve rilevare che i termini massimi di 7 anni e 6 mesi sarebbero venuti a scadere il 20/07/2010, tenendo conto della data del commesso reato; debbono pero' sommarsi alcuni periodi di sospensione. Uno e' dovuto a rinvii disposti nel corso del giudizio di merito, per complessivi 6 mesi e 29 giorni; l'altro, come opportunamente evidenziato nella sentenza impugnata, deriva dalla questione di legittimita' costituzionale a suo tempo sollevata (con ordinanza del 05/04/2006, fino alla restituzione degli atti da parte della Corte Costituzionale avvenuta il 19/12/2008, per un totale di 2 anni, 8 mesi e 14 giorni). Gia' la sola sospensione ricordata da ultimo risulta sufficiente per giungere alla conclusione che il reato non puo' ancora ritenersi estinto.

2. Si impone pertanto il rigetto del ricorso, con la conseguente condanna dell'imputato al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

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