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Sono ammesse le intercettazioni in sacrestia contro il sacrestano che molesta il chierichetto

L'espressione «privata dimora» indica un'abitazione temporanea. Conseguentemente in una canonica non può verificarsi il reato di violazione di domicilio e possono essere effettuate registrazioni tra presenti.
(Corte di Cassazione Sezione 3 Penale, Sentenza del 16 dicembre 2008, n. 46191)



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REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DE MAIO Guido - Presidente

Dott. CORDOVA Agostino - Consigliere

Dott. GENTILE Mario - Consigliere

Dott. AMOROSO Giovanni - Consigliere

Dott. SARNO Giuseppe - Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso proposto da:

1) PA. CO., N. IL (OMESSO);

avverso ORDINANZA del 04/06/2008 TRIB. LIBERTA' di TARANTO;

sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. CORDOVA AGOSTINO;

sentite le conclusioni del P.G. Dr. PASSACANTANDO G., che ha chiesto il rigetto del ricorso.

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con ordinanza del 19.5.2008 il G.i.p. di Taranto applicava nei confronti di Pa. Co. la misura cautelare carceraria in ordine ai reati di cui all'articolo 609 bis, ter e septies c.p. (capo A), articoli 81, 609 bis, ter, septies e 605 c.p. (capo B), per avere in due occasioni compiuto atti sessuali nei confronti di Fi. Lo., di anni tredici, privandolo nella seconda della liberta' personale.

Proponeva istanza di riesame il difensore dell'inquisito, che veniva rigettata dal Tribunale di Taranto con la seguente motivazione:

1) il Fi., chierichetto presso la chiesa S. (OMESSO), denunziava il 12.2.2008 ai Carabinieri che due giorni prima, finita la messa, il Pa., diacono e sacrestano presso detta chiesa, dopo aver chiuso la porta della sacrestia gli aveva toccato i genitali infilandogli la mano dentro i pantaloni, e che successivamente, dopo aver chiuso a chiave detta porta, si sbottonava i propri pantaloni mostrandogli i propri genitali, cercando di appoggiarli sul suo sedere, baciandolo, ed invitandolo ad un rapporto orale: ma il minore riusciva a svincolarsi ed a fuggire;

2) mentre lo lasciava andare, il Pa. gli intimava di non parlare con alcuno dell'accaduto;

3) non vi erano ragioni per dubitare dell'attendibilita' di tale versione, ne' erano emersi motivi di risentimento; diciotto giorni dopo il fatto era avvenuta una conversazione tra i due, registrata dal minore mediante una microspia occultata tra i suoi abiti, per la quale, non trattandosi di intercettazione tra presenti ex articolo 266 c.p.p. e ss., ma operata da un soggetto partecipe alla conversazione, ex articolo 234 c.p.p., non occorreva l'autorizzazione preventiva;

4) il 14.2.3008, sentito a sommarie informazioni, il minore aveva dichiarato di aver incontrato poco prima detto Pa., ed, avendogli chiesto perche' gli avesse toccato i genitali, l'altro aveva risposto che aveva voluto metterlo alla prova: tale conversazione era stata intercettata, ma non registrata, donde la relazione di chi l'aveva ascoltata;

5) in una seconda conversazione, anch'essa intercettata, il minore diceva al Pa. di non aver parlato con alcuno di quanto avvenuto;

6) l'estrema gravita' dei fatti, particolarmente insidiosi perche' avvenuti ai danni di un tredicenne ed approfittando della frequentazione della chiesa, lasciava desumere un elevato pericolo di recidiva, visto il costante e continuo contatto con dei minori per il ruolo svolto dall'inquisito in quella chiesa.

Avverso tale provvedimento proponeva ricorso il difensore del Pa., deducendo quanto appresso:

a) le modalita' dell'intercettazione erano illegittime ex articolo 266 c.p.p. e ss., sia perche' contrastanti con quanto stabilito dalla C.E.D.U., reso esecutivo in Italia con la Legge n. 948 del 1955, sia perche' costituivano un'ingerenza nella vita privata dell'intercettato, non avendo valore la rinunzia alla riservatezza da parte di uno solo dei colloquianti;

b) ex articolo 268 c.p.p. le intercettazioni potevano avvenire esclusivamente tramite gli impianti della Procura, a meno che essi non fossero insufficienti o inidonei e che sussistessero ragioni d'urgenza, il che non ricorreva nella specie;

c) esse erano inammissibili in quanto avvenute in un luogo di privata dimora, da interpretarsi estensivamente anche con riferimento ai luoghi di lavoro, in violazione della privacy;

d) comunque, mancava la motivazione sull'attendibilita' del minore, che denunzio' i fatti accompagnato ed in presenza dei genitori e, per di piu', senza l'assistenza di personale competente in psicologia;

e) la sua versione era contraddittoria e comunque enfatizzata: infatti, interrogato il 14.3.2008, il minore disse di essere stato rimproverato dal Pa. perche' aveva riferito il fatto al parroco don Ag.Gi., laddove la conversazione non recava alcun accenno alla circostanza indicata dal Fi., che dunque costituiva frutto della sua fantasia, cosi' come dalla intercettazione effettuata il 14.3.2008 dal m.llo Ma., a parte la non valenza di tale intercettazione;

f) non solo, ma il parroco era rimasto inerte, lasciando che il Pa. proseguisse la sua attivita' di volontariato;

g) mancava un'analisi psicologica che verificasse l'attitudine del minore, in termini intellettivi ed affettivi, a testimoniare e ad essere credibile;

h) nulla di tutto cio' sussisteva;

i) erano incostituzionali gli articoli 351 e 362 c.p.p., laddove non prevedevano l'uso delle nuove tecniche della scienza psicologica nell'assunzione dei minori nei procedimenti per reati sessuali;

1) non sussistevano le esigenze cautelari, mancando qualsiasi riferimento alla personalita' dell'indagato ed essendosi il Tribunale limitato alle peculiari modalita' e circostanze del fatto, senza far riferimento a comportamenti concreti, che non potevano coincidere con quelli per cui si procede: ed il Pa. era incensurato, ne' sussistevano altri episodi del genere o uno stile di vita da comportare una prognosi sfavorevole;

m) erano stati sentiti numerosissimi bambini frequentanti la chiesa di cui sopra, e nessuno aveva riferito di fatti consimili.

Chiedeva pertanto l'annullamento dell'impugnato provvedimento.

MOTIVI DELLA DECISIONE

Osserva questa Corte quanto alle intercettazioni, che la fattispecie in esame e' intermedia tra quella prevista dall'articolo 266 c.p.p. e quella di cui all'articolo 234 c.p.p..

Infatti, nel primo caso esse avvengono su iniziativa degli organi inquirenti e con l'autorizzazione del G.i.p., mentre nel secondo su autonoma iniziativa della parte privata, nella specie in colloqui tra presenti; ed anche l'articolo 266 c.p.p. prevede l'intercettazione tra presenti, richiedendo che sussista il fondato motivo di ritenere che si stia svolgendo l'attivita' criminosa solo ove avvenga nei luoghi di cui all'articolo 614 c.p. (abitazioni o altri luoghi di privata dimora).

Nella specie, esse avvennero ad opera del minore tramite una microspia che recava nascosta addosso durante i colloqui con l'inquisito: ma detta microspia era collegata con le apparecchiature di ricezione dei Carabinieri che gliel'avevano fornita, e di cui avevano richiesto al P.M. l'utilizzazione, autorizzata in via d'urgenza e poi convalidata dal G.i.p..

Orbene, mentre nessuna questione sarebbe sorta se il minore, di propria iniziativa, avesse recato con se', ad esempio, un miniregistratore occultato, essendo in tal caso palese l'applicazione dell'articolo 234 c.p.p.: ma, nella specie, l'iniziativa fu presa dai Carabinieri che si servirono di detto minore per effettuare le intercettazioni.

Tuttavia, anche in tal caso sussisterebbe la volonta' di uno degli interlocutori di documentare il contenuto del colloquio, sia pure avvalendosi dei mezzi fornitigli da detti Carabinieri, per cui tale aspetto accosterebbe la fattispecie all'articolo 234 c.p.p., trattandosi dell'utilizzazione di un mezzo tecnico fornito dagli inquirenti per documentare direttamente quello che avrebbe potuto provare mediante un miniregistratore portatile.

Comunque, trattasi di questione del tutto teorica, atteso che, ove ricorresse il caso di cui all'articolo 266 c.p.p., comma 2, le intercettazioni furono regolarmente autorizzate dal G.i.p.; contrariamente a quanto dedotto, il P.M. aveva motivato che sussisteva l'urgenza e che non potevano avvenire nei locali della Procura per inutilizzabilita' degli apparati; il luogo in cui avvennero non poteva considerarsi di privata dimora, trattandosi di una canonica, altrimenti qualsiasi posto adibito non ad abitazione ma ad una qualsiasi attivita' dovrebbe essere considerato una "dimora", travisando il significato letterale di tale termine, che indica un'abitazione temporanea; ed, ove cosi' non fosse, essendo il minore un chierichetto che frequentava la parrocchia, dette intercettazioni erano comunque consentite ex articolo 266 c.p.p., comma 2 dal fondato motivo che l'inquisito reiterasse gli atti addebitatigli, come del resto motivato dal G.i.p..

Tanto premesso, dalle due intercettazioni in atti, legittimamente utilizzabili, risulta palese la commissione dei fatti attribuiti all'inquisito, che li aveva inverosimilmente giustificati con l'aver voluto - ignorasi per quale ragione - mettere alla prova il minore; e risulta altresi' la sua preoccupazione perche' il fatto rimanesse occulto.

Cio' avvalora le dichiarazioni di detto minore, che comunque, allo stato degli atti, sarebbero state di per se' sole sufficienti per giustificare la misura adottata, non essendo emerso alcun motivo per ritenerle fantasiose o calunniose.

Anche gli altri motivi appaiono infondati, atteso che:

- dalla relazione del m.llo Ma. risulta che nel colloquio del 14.3.2008 il Pa. rimprovero' al minore per avere riferito i fatti al parroco in sede di confessione, in quanto si doveva dire solo il peccato e non anche il peccatore;

- dall'intercettazione del 28.3.2008 risulta che l'inquisito gli chiedeva se avesse riferito i fatti in confidenza a qualcuno;

- prescindendo dalle intercettazioni, il contenuto dei due colloqui era stato riferito dal minore agli inquirenti;

- l'asserita illegittimita' degli articoli 351 e 362 c.p.p., in relazione agli articoli 3, 13, 24 e 111 Cost., laddove non prevedono l'uso delle nuove tecniche della scienza psicologica nell'assunzione dei minori nei procedimenti per reati sessuali, appare priva di fondamento, sia per l'assenza di specifici collegamenti con le norme invocate, sia perche' il c.p.p. non preclude l'uso di tali tecniche, essendo il ricorso ad esse rimesso alla valutazione del giudice ove non sia certa l'attendibilita' del minore in relazione al suo sviluppo mentale e ad eventuali travisamenti, fantasiosita' o invenzioni;

- l'assenza di interventi del parroco don Ag.Gi. appare, alla luce degli elementi di cui sopra, del tutto inconferente, a parte che l'eventuale mancanza di iniziative potrebbe essere attribuita all'avere appreso dei fatti nel segreto della confessione;

- quanto ai numerosissimi bambini frequentanti la chiesa di cui sopra che sarebbero stati sentiti e non avrebbero riferito di fatti del genere, manca qualsiasi specifico riferimento e, comunque, i fatti sarebbero comprovati da quanto in precedenza riportato;

- Il Tribunale aveva motivato sia sull'attendibilita' del Fi., sia sulla sussistenza delle esigenze cautelari per il pericolo di reiterazione, avendo l'inquisito agito nei modi attribuitigli approfittando della minore eta' della vittima e della sua frequentazione in parrocchia.

Ne consegue il rigetto del ricorso, come da dispositivo.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

La Corte dispone inoltre che copia del presente provvedimento sia trasmesso al Direttore dell'Istituto Penitenziario competente perche' provveda a quanto stabilito dall'articolo 94 disp. att. c.p.p., comma 1 bis.

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