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Sono lecite le critiche rivolte dal cliente al proprio avvocato purchè abbiano un fomdamento di verità

Sono lecite le critiche rivolte dal cliente al proprio avvocato purchè abbiano un fomdamento di verità. E' qaunto stabilito dalla Core di Cassazion, sezione 5 penale, con sentenza del 27 marzo 2008, n. 13089. La Corte ha precisato che non commette reato chi espone le proprie lamentele nei confronti di un professionista quando le espressioni utilizzate non sono di per sé munite di inequivocabile potenzialità offensiva e quindi non rivestano carattere lesivo dell'onore, del decoro e della reputazione del soggetto cui sono destinati.



- Leggi la sentenza integrale -

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE QUINTA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. FAZZIOLI Edoardo - Presidente

Dott. COLONNESE Andrea - Consigliere

Dott. OLDI Paolo - Consigliere

Dott. FUMO Maurizio - Consigliere

Dott. DIDONE Antonio - Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso proposto da:

MA. RO. (P.C.) N. IL (OMESSO);

nei confronti di:

M. C. N. IL (OMESSO);

avverso la SENTENZA del 23/01/2006 TRIBUNALE di ROMA;

Visti gli atti, la sentenza denunziata e il ricorso;

Udita in pubblica udienza la relazione fatta dal Consigliere Dott. PAOLO OLDI;

Udito il Procuratore Generale in persona del Dott. Vito Moretti che ha concluso per il rigetto del ricorso;

Udito, per la parte civile, l'Avv. Ongaro Alessandro;

Udito il difensore Avv. Campanelli Giuseppe.

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con sentenza in data 23 gennaio 2006 il Tribunale di Roma in composizione monocratica, riformando la contraria decisione assunta dal locale giudice di pace, ha assolto M.C. dalle imputazioni di ingiuria e diffamazione aggravate in danno di Ma. Ro. , con la formula "perche' il fatto non costituisce reato".

In fatto era accaduto che la M. avesse indirizzato all'Avv. Ma.Ro. , e per conoscenza a Pa.Ma. e Co. Sa. , una lettera contenente le seguenti espressioni: "...mi sembra di aver subito una serie di pressioni mascherate da molta Sua disponibilita'... mi sono dovuta accontentare di una Sua lontana consulenza telefonica alla controparte, risultata inefficace, con conseguente ed evidente mio danno economico... con insistenza Lei mi ha convinto a desistere dal mio deciso atteggiamento, invitandomi a definire e chiudere la vicenda il 14.09.2002... sia Lei che l'Avv. M. facendomi credere... mi sono sentita in dovere di accettare una clausola vessatoria, che assolutamente non ha ragione di esistere". Ha ritenuto il Tribunale che le espressioni adottate non avessero carattere lesivo e che l'autrice dello scritto, non animata da intenti offensivi, si fosse mantenuta entro i limiti del diritto di critica, in riferimento all'operato del proprio avvocato in una vicenda di carattere stragiudiziale.

Ha proposto ricorso per cassazione l'Avv. Ma. , costituitosi parte civile, affidandolo a quattro motivi.

Col primo motivo il ricorrente deduce il superamento dei limiti posti al diritto di critica, rilevando che le frasi contenute nella lettera fanno riferimento non a un'eventuale negligenza o imperizia del professionista, ma ad una sua volonta' di favorire la controparte contrattuale.

Col secondo motivo denuncia illogicita' della motivazione, nel passo in cui il Tribunale ha valorizzato la conclusiva disponibilita' della M. a ricredersi su quanto da essa affermato.

Col terzo motivo sottolinea che l'imputata ha accusato il professionista di essersi astenuto dallo svolgimento di un'attivita' processuale della quale, invece, egli non era stato officiato.

Col quarto - e ultimo - motivo, infine, il ricorrente deduce contraddittorieta' fra la motivazione, nella quale il Tribunale par applicare la scriminante del diritto di critica, e la formula assolutoria "perche' il fatto non costituisce reato".

Il primo motivo e' fondato, con efficacia assorbente nei confronti degli altri tre.

Fermo l'accertamento, ad opera del giudice di merito, del fatto materiale consistito nell'inoltro - all'Avv. M. e a terzi per conoscenza - di una lettera contenente le espressioni riprodotte nel capo d'imputazione e ricordate nella suestesa narrativa, si osserva che la motivazione della sentenza impugnata oscilla tra la negazione della valenza offensiva dello scritto ("...senza pero' che tali rilievi negativi rivestano effettivo carattere lesivo dell'onore, del decoro e della reputazione del soggetto cui erano destinati"... "le espressioni usate non sono di per se' munite di inequivocabile ed intrinseca potenzialita' offensiva") e la ritenuta applicabilita' della scriminante del diritto di critica ("non puo' ritenersi precluso l'esercizio del diritto di critica"... "le censure... sono strettamente ed esclusivamente collegate all'oggetto del mandato conferito"), concludendosi poi con un accenno alla ritenuta mancanza di dolo ("deve escludersi che la M. fosse animata dalla volonta' di arrecare pregiudizio al patrimonio morale ed alla reputazione professionale dell'Avv. Ma. "): cosi' incorrendo in perplessita' e contraddittorieta' che non hanno mancato di riverberarsi sull'incerta lettura della formula assolutoria adottata nel dispositivo, compatibile tanto con l'esclusione del dolo, quanto con l'applicazione dell'esimente.

La sentenza impugnata, considerato, peraltro, che non ha svolto alcuna indagine in ordine alla sussistenza del requisito della verita', deve, pertanto, essere annullata, demandando al giudice di rinvio di stabilire:

a) se le espressioni adottate dalla cliente con le quali criticava l'assetto giuridico scaturito dal contratto suggerito dal legale contengano apprezzamenti negativi (con particolare riferimento alle parti concernenti la professionalita' dell'avv. Ma. , alla lealta' verso la cliente, alle "pressioni mascherate", alla consulenza telefonica alla controparte, alla circostanza di aver "fatto credere" alla ricorrente qualcosa che non rispondeva alla realta', all'aver accomunato il comportamento dell'avv. Ma. a quello del legale di controparte) si siano mantenute nei limiti del diritto di critica, tenendo presente che quando questo consiste nella attribuzione di un fatto determinato e' necessario che sussista il requisito della verita' del fatto riferito e criticato (vedi al riguardo per tutte Cass. 31 gennaio 2007, Iannuzzi ed altri in materia di diffamazione a mezzo stampa, applicabile anche al di fuori di tale contesto ed altresi' in riferimento al delitto di ingiuria - Cass. 13 gennaio 2004, Boldrini - concorrente nel caso in esame con la diffamazione - Cass. 4 febbraio 2002, Gaspari e Cass. 7 luglio 1983, Loy);

b) se sussiste l'elemento soggettivo che per entrambi i reati contestati consiste nel dolo generico, vale a dire nella coscienza e volonta' di ricorrere all'uso di parole od espressioni socialmente interpretabili come offensive, non rilevando le intenzioni dell'agente.

L'annullamento opera anche agli effetti penali, attesa la perdurante applicabilita' alla fattispecie dell'articolo 577 c.p.p., la cui abrogazione e' di data posteriore alla pronuncia della sentenza di secondo grado (v. Cass. Sez. Un. 29 marzo 2007, p.c. in proc. Lista, in motivazione).

Il giudice di rinvio, che si designa nello stesso Tribunale di Roma in persona di altro magistrato, sottoporra' la vicenda a rinnovato esame attenendosi ai suindicati principi.

P.Q.M.

la Corte annulla la sentenza impugnata - anche agli effetti penali - e rinvia per nuovo giudizio al Tribunale di Roma in composizione monocratica.

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