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Sul committente non grava un obbligo generalizzato di controllo del rispetto della normativa antinfortunistica da parte dell'appaltatore

Con riferimento ai lavori svolti in esecuzione di un contratto di appalto, se il dovere di sicurezza è riferibile, oltre che al datore di lavoro (di regola l'appaltatore, destinatario delle disposizioni antinfortunistiche), anche al committente, con conseguente possibilità, in caso di infortunio, di intrecci di responsabilità, coinvolgenti anche il committente medesimo, tale principio non può essere applicato automaticamente, non potendo esigersi dal committente un controllo pressante, continuo e capillare sull'organizzazione e sull'andamento dei lavori. In questa prospettiva, per fondare la responsabilità del committente, non si può prescindere da un attento esame della situazione fattuale, al fine di verificare quale sia stata, in concreto, l'effettiva incidenza della condotta del committente nell'eziologia dell'evento, a fronte delle capacità organizzative della ditta scelta per l'esecuzione dei lavori. A tal fine, vanno considerati: la specificità dei lavori da eseguire (diverso, in particolare, è il caso in cui il committente dia in appalto lavori relativi a un complesso aziendale di cui sia titolare, da quello dei lavori di ristrutturazione edilizia di un proprio immobile); i criteri seguiti dal committente per la scelta dell'appaltatore (quale soggetto munito dei titoli di idoneità prescritti dalla legge e della capacità tecnica e professionale proporzionata al tipo di attività commissionata e alle concrete modalità di espletamento della stessa); l'ingerenza del committente stesso nell'esecuzione dei lavori oggetto dell'appalto; nonché, la percepibilità agevole e immediata da parte del committente di eventuali situazioni di pericolo.

Corte di Cassazione Sezione 4 Penale, Sentenza del 19 aprile 2010, n. 15081



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REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE QUARTA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ZECCA Gaetanino - Presidente

Dott. IACOPINO Silvana Giovanna - Consigliere

Dott. ROMIS Vincenzo - rel. Consigliere

Dott. BIANCHI Luisa - Consigliere

Dott. MASSAFRA Umberto - Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sui ricorsi proposti da:

1) CU. CA. N. IL (OMESSO);

2) C. N. N. IL (OMESSO);

3) CU. IG. N. IL (OMESSO);

avverso la sentenza n. 776/2007 CORTE APPELLO di CALTANISSETTA, del 07/10/2008;

visti gli atti, la sentenza e i ricorsi;

udita in PUBBLICA UDIENZA del 08/04/2010 la relazione fatta dal Consigliere Dott. VINCENZO ROMIS;

Udito il Procuratore Generale in persona del Dott. Francesco Salzano, che ha concluso per il rigetto dei ricorsi;

Uditi i difensori Avv.ti: 1) Lavia Piergiacomo per Cu. Ca. ; 2) Amelia Maria Gabriella Venuta, per C. N. , ed anche in sostituzione dell'Avvocato Felici Vito difensore di Cu. Ig. i quali hanno concluso per l'accoglimento dei ricorsi.

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

La Corte d'Appello di Caltanissetta confermava la sentenza con la quale il Tribunale di Nicosia aveva condannato Cu. Ca. , C. N. e Cu. Ig. alla pena ritenuta di giustizia per il reato di lesioni colpose in danno del minore C. V. , commesso, secondo la contestazione, per colpa generica nonche' per violazione della normativa antinfortunistica; i tre imputati erano stati altresi' condannati al risarcimento dei danni in favore di C. P. , costituitosi parte civile nella veste di genitore esercente la patria potesta' sulla parte offesa. Gli imputati erano stati tratti a giudizio perche' Cu. Ig. , nella qualita' di datore di lavoro, Cu. Ca. , nella qualita' di dirigente o preposto, ed il C. , quale committente dei lavori eseguiti presso la sua abitazione, avevano omesso di porre in essere idonee misure di sicurezza finalizzate a custodire in appositi recipienti, con chiusura sicura, calce o comunque analoghe sostanze caustiche, con la conseguenza che la mancanza di idonea custodia aveva fatto si che il minore Na. Sa. potesse utilizzare la sostanza scagliandone una piccola quantita' negli occhi del C. V. cagionando a quest'ultimo lesioni gravissime consistite nella perdita dell'occhio destro: fatto avvenuto in (OMESSO).

Il primo giudice aveva cosi ricostruito il fatto: il giorno (OMESSO) alcuni bambini erano intenti a giocare a pallone nei pressi del cantiere, sito in via (OMESSO), in cui erano in corso lavori edili di rifacimento del tetto dell'immobile del C. , allorquando il pallone era finito in un fusto d'acqua; successivamente il minore Na. Sa. , dopo aver finito di giocare a pallone, aveva chiamato il piccolo C. V. e, nel momento in cui questi si era girato per rispondere, gli aveva lanciato negli occhi della polvere raccolta in strada; il Tribunale aveva sottolineato che era stato acclarato in termini di certezza - sulla base delle testimonianze acquisite - che i sacchi contenenti la calce appartenevano al cantiere gestito dagli imputati.

In risposta alle deduzioni degli appellanti, la Corte territoriale dava conto del proprio convincimento con argomentazioni che possono cosi' sintetizzarsi: a) non rilevava la esatta natura della sostanza gettata negli occhi della parte offesa - grassello di calce, secondo gli appellanti - poiche' si trattava comunque di una sostanza, con proprieta' potenzialmente tossiche, tale da poter provocare gravi danni se in contatto con sostanze liquide: la sostanza era venuta a contatto con l'occhio umido del bambino provocando una reazione chimica che aveva danneggiato ulteriormente l'organo; b) nessun dubbio sussisteva quindi circa la inidoneita' della custodia della sostanza "de qua", avendo la parte offesa ed il padre precisato che i sacchi nei quali era contenuta la sostanza stessa erano addossati ad un muretto di fronte all'abitazione del C. sulla pubblica via, mentre avrebbero dovuto essere custoditi nel garage della abitazione; il minore C. V. aveva altresi' precisato che uno dei sacchi di calce, di colore verde, era aperto; ne' sussistevano dubbi circa l'attendibilita' della parte offesa, posto che la stessa aveva descritto i luoghi prima ancora di vedere le foto, ed aveva reso dichiarazioni riscontrate da quanto riferito anche dagli operai del Cu. ; c) il suddetto muretto si trovava proprio di fronte all'abitazione del C. , e tale circostanza confermava che il cantiere riguardava effettivamente i lavori presso l'abitazione del C. stesso; d) non vi erano dubbi circa la colpevolezza anche di Cu. Ca. - fratello del titolare dell'impresa - trattandosi di una sorta di "alter ego" dell'imprenditore, che rivestiva il ruolo di preposto, anch'egli destinatario quindi, in quanto tale e "iure proprio", dell'osservanza dei precetti antinfortunistici, indipendentemente dal conferimento di una delega "ad hoc", perche' titolare di un'autonoma posizione di garanzia: come confermato dai testi, Cu. Ca. dava le direttive sui lavori da eseguire; e) l'unico cantiere aperto in via (OMESSO) era quello relativo ai lavori presso l'immobile del C. ed i sacchi contenenti la calce erano riferibili a detti lavori: tali circostanze risultavano acclarate sulla scorta delle risultanze probatorie acquisite (testimoniali e fotografiche), ed apparivano ulteriormente suffragate da considerazioni di carattere logico: ne' dette risultanze potevano ritenersi scalfite dalle deposizioni di taluni testi i quali avevano rilasciato dichiarazioni generiche e vaghe, rimaste prive di qualsiasi concreto riscontro, circa l'eventuale presenza di altri cantieri nella stessa strada in cui vi era l'abitazione del C. ; f) a nulla rilevava che le lesioni fossero state riportate da persona estranea all'ambiente lavorativo, essendo le norme antinfortunistiche finalizzate a tutelare non solo l'incolumita' dei lavoratori, ma anche quella di quanti per legittima ragione accedano all'ambiente di lavoro; g) poteva affermarsi con "matematica certezza" (cosi testualmente a pag. 18 della sentenza della Corte d'Appello) che se il materiale fosse stato custodito correttamente, in adempimento di un preciso obbligo antinfortunistico, il materiale stesso non sarebbe stato prelevato dal minore Na. Sa. e non avrebbe procurato le gravi lesioni al C. V. ; h) quanto alla responsabilita' del Cu. Ig. - titolare della ditta incaricata dei lavori - non sussistevano dubbi di sorta trattandosi di soggetto sul quale gravava un autonomo obbligo di garanzia che avrebbe potuto essere trasferito a terzi solo in virtu' di specifica delega, nella specie mancante; i) analogamente per C. N. , la responsabilita' dello stesso era riconducibile alla sua autonoma posizione di garanzia in quanto committente dei lavori, posto che "nelle ipotesi di appalto di lavori edilizi, il committente, anche quando non si ingerisce nella loro esecuzione, rimane comunque obbligato a verificare l'idoneita' tecnico - professionale dell'impresa e dei lavoratori autonomi prescelti in relazione ai lavori affidati" (cosi' testualmente alle pagg. 20 - 21 della sentenza della Corte d'Appello): ne' la mera designazione del titolare dell'impresa, quale responsabile dei lavori, poteva costituire atto idoneo a trasferire le funzioni e gli obblighi del committente, ed a sollevare quindi quest'ultimo dalle proprie responsabilita'.

Hanno proposto ricorso per cassazione gli imputati predetti deducendo censure che possono riassumersi come segue.

Ricorso C. N. -) violazione di legge e nullita' dell'impugnata sentenza sull'asserito rilievo che il C. non avrebbe ricevuto la citazione per il giudizio di secondo grado, non avendo mai avuto la notifica dell'atto di citazione presso il domicilio eletto con dichiarazione resa ai Carabinieri di Regalbuto in data (OMESSO); 2) inutilizzabilita' delle dichiarazioni del C. P. , relativamente alla individuazione del cantiere dove era stato prelevato il materiale con il quale C. V. era stato ferito, avendo il teste dichiarato di aver appreso tale circostanza da terzi di cui non aveva pero' indicato le generalita': in ordine a detta eccezione la Corte territoriale non avrebbe espresso alcuna valutazione; 3) vizio di motivazione in ordine all'individuazione del cantiere dove sarebbe stata prelevata la sostanza gettata dal minore Na. sul viso della parte lesa: si sostiene con il ricorso che la Corte distrettuale avrebbe omesso di valutare adeguatamente talune deposizioni testimoniali dalle quali sarebbe emerso che il cantiere del C. era in zona diversa e distante da quella in cui era avvenuto il fatto lesivo in danno di C. V. ; 4) violazione di legge e vizio di motivazione in ordine alla ritenuta colpevolezza: secondo la difesa del C. questi avrebbe dovuto essere assolto per non aver commesso il fatto, avendo stipulato un contratto di appalto con la ditta Cu. - iscritta presso la C.C.I.I.A.A. di Enna - che possedeva tutti i requisiti di affidabilita' e competenza per l'esecuzione dei lavori affidati in appalto; inoltre la ditta appaltatrice aveva eseguito i lavori in piena autonomia senza alcuna ingerenza da parte del committente, come precisato anche dai testi esaminati. Il ricorrente ha avanzato infine, con formulazione peraltro priva di qualsiasi connotazione di specificita', richiesta di sospensione dell'esecuzione della condanna civile sull'asserito rilievo che dalla stessa potrebbe derivare grave ed irreparabile danno stante l'elevata somma liquidata quale provvisionale.

Ricorso Cu. Ig. - 1) e' stato dedotto anche dal Cu. Ig. vizio di motivazione circa la valutazione delle risultanze probatorie in ordine all'individuazione del luogo in cui sarebbe avvenuto il lancio della sostanza tossica sul viso del C. V. : secondo l'assunto del ricorrente, il quale ha anche evocato le deposizioni di alcuni testi (in particolare Sp. , Ri. e Di. Va. ), il fatto non si verifico' in via (OMESSO) ma in via (OMESSO), e vi erano in zona altri cantieri, oltre a quello del C. , caratterizzati dalla presenza di sacchi contenenti calce: la Corte territoriale non avrebbe chiarito perche' le dichiarazioni testimoniali ricordate con il ricorso non sarebbero state meritevoli di credibilita', cosi incorrendo nel vizio di travisamento della prova anche in relazione alla riformulazione dell'articolo 606 c.p.p., con la Legge n. 46 del 2006; 2) non sarebbe ravvisabile il nesso di causalita' tra la condotta del Cu. Ig. e l'evento, dovendo questo ritenersi riconducibile a comportamento doloso di in terzo, da solo sufficiente a determinare l'evento stesso, ed inoltre non sarebbe addebitatale al ricorrente l'evento lesivo "de quo" in quanto il soggetto infortunato era estraneo all'attivita' lavorativa; 3) in ogni caso non sarebbe stata acquisita la prova della colpevolezza del Cu. Ig. "al di la' di ogni ragionevole dubbio".

Ricorso Cu. Ca. - 1) e' stata dedotta censura analoga a quella formulata da Cu. Ig. circa l'asserita mancanza del nesso causale, muovendo dal rilievo che l'evento si sarebbe verificato per fatto illecito altrui, e non potendo in alcun modo considerarsi prevedibile ne' l'atto doloso del terzo ne' l'evento stesso tenuto conto delle modalita' del fatto.

MOTIVI DELLA DECISIONE

I ricorsi di Cu. Ig. e Cu. Ca. vanno rigettati per le ragioni di seguito indicate.

Va preliminarmente esaminata la censura - comune ad entrambi i ricorsi dei Cu. (per Cu. Ca. si tratta dell'unico motivo di ricorso) - circa l'asserita mancanza del nesso causale, formulata dai ricorrenti muovendo dal rilievo che l'evento si sarebbe verificato per fatto illecito altrui, da considerarsi quale causa eccezionale, non prevista ne' prevedibile, idonea, da sola, a produrre l'evento stesso tenuto conto delle modalita' del fatto. Trattasi di argomentazioni infondate. Al riguardo, e' sufficiente ricordare il consolidato indirizzo interpretativo delineatosi nella giurisprudenza di legittimita' - che anche in questa circostanza deve essere ribadito perche' del tutto condivisibile - per il quale "in tema di rapporto di causalita', ai sensi dell'articolo 41 c.p., u.c., secondo cui "le disposizioni precedenti si applicano anche quando la causa preesistente, simultanea o sopravvenuta consiste nel fatto illecito altrui", il nesso di causalita' non resta escluso dal fatto volontario altrui, cioe' quando l'evento e' dovuto anche all'imprudenza di un terzo o dello stesso offeso, poiche' il fatto umano, involontario o volontario, realizza anch'esso un fattore causale, al pari degli altri fattori accidentali o naturali" (in termini, Sez. 4, 6 maggio 1986, Ori, RV 172820). Ancora, mette conto sottolineare che questa Corte ha avuto modo di precisare ulteriormente che "in tema di reati colposi, per escludere il nesso causale (rispetto alla condotta dell'agente) non e' sufficiente che nella produzione dell'evento sia intervenuto un fatto illecito altrui, ma e' necessario che tale fatto configuri, per i suoi caratteri, una vera e propria causa eccezionale, atipica, non prevista ne' prevedibile, che sia stata da sola sufficiente a produrre l'evento" (in termini, Sez. 4, 15 dicembre 1988, Scognamiglio, RV 180738). Sulla base dei principi appena ricordati, appare di tutta evidenza che la condotta del Na. , nella valutazione unitaria del complessivo determinismo eziologico dell'evento che ne occupa, non puo' in alcun modo ritenersi "fatto imprevedibile ed eccezionale".

Le ulteriori doglianze del Cu. Ig. concernono il dedotto vizio motivazionale in ordine alle valutazioni probatorie circa la dinamica del fatto, con particolare riferimento all'ubicazione del cantiere dei lavori relativi all'abitazione del C. , ed alla conseguente riconducibilita' a detto cantiere (secondo i giudici di merito) - e non ad altri, esistenti in zona secondo l'assunto difensivo - della sostanza tossica lanciata dal Na. sul viso del C. V. : ad avviso del ricorrente, l'acquisito compendio probatorio non sarebbe idoneo a legittimare l'affermazione di colpevolezza, "al di la' di ogni ragionevole dubbio".

Le argomentazioni del ricorrente sono infondate. Esse sono invero dirette a contestare i presupposti di fatto dai quali muove la sentenza impugnata per pervenire all'affermazione di responsabilita'. Il ricorso si risolve, pertanto, sul punto, in censure di fatto integranti questioni insuscettibili di considerazione nel giudizio di cassazione. In ogni caso, la sentenza impugnata non presenta vuoti motivazionali ne' e' caratterizzata dalle asserite illogicita'. La Corte distrettuale ha tenuto conto degli elementi acquisiti e ha affermato che la vicenda all'origine dell'infortunio dovesse essere ricostruita nei termini indicati dal giudice di primo grado.

Neppure possono assumere rilievo, nella concreta fattispecie, le modifiche apportate dalla Legge n. 46 del 2006 (c.d. Legge Pecorella) all'articolo 606 c.p.p..

A fronte dei motivi di ricorso formulati dal ricorrente, compito di questa Corte non e' quello di ripetere l'esperienza conoscitiva del Giudice di merito, bensi' quello di verificare se il ricorrente sia riuscito a dimostrare, in questa sede di legittimita', l'incompiutezza strutturale della motivazione della Corte di merito; incompiutezza che derivi dal non aver tenuto presente, la Corte distrettuale, fatti decisivi, di rilievo dirompente dell'equilibrio della decisione impugnata. In realta', le deduzioni del ricorrente non risultano in sintonia con il senso dell'indirizzo interpretativo di questa Corte secondo cui (Sez. 6, Sentenza n. 38698 del 26/09/2006, Rv. 234989, imp. Moschetti ed altri) la Corte di Cassazione deve circoscrivere il suo sindacato di legittimita', sul discorso giustificativo della decisione impugnata, alla verifica dell'assenza, in quest'ultima, di argomenti viziati da evidenti errori di applicazione delle regole della logica, o fondati su dati contrastanti con il senso della realta' degli appartenenti alla collettivita', o connotati da vistose e insormontabili incongruenze tra loro, oppure inconciliabili, infine, con "atti del processo", specificamente indicati dal ricorrente e che siano dotati autonomamente di forza esplicativa o dimostrativa tale che la loro rappresentazione disarticoli l'intero ragionamento svolto, determinando al suo interno radicali incompatibilita' cosi da vanificare o da rendere manifestamente incongrua la motivazione. Cio' posto, se la denuncia del ricorrente va letta alla stregua dei contenuti concettuali dell'articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera e), come modificato dalla Legge n. 46 del 2006, occorre allora tener conto che: 1) la legge citata non ha normativamente riconosciuto il travisamento del fatto, anzi lo ha escluso: semmai, puo' parlarsi di "travisamento della prova", che, nel rinnovato indirizzo interpretativo di questa Corte, ha un duplice contenuto, con riguardo a motivazione del Giudice di merito o difettosa per commissione o difettosa per omissione, a seconda che il Giudice di merito, cioe', incorra in una utilizzazione di un'informazione inesistente, ovvero in una omissione decisiva della valutazione di una prova (Sez. 2, n. 13994 del 23/03/2006, Rv. 233460, P.M. in proc. Napoli).

In sostanza, la riforma della Legge n. 46 del 2006, ha introdotto un onere rafforzato di specificita' per il ricorrente in punto di denuncia del vizio di motivazione. Infatti, il nuovo testo dell'articolo Legge 20 febbraio 2006, n. 46, articolo 8, nella parte in cui consente la deduzione, in sede di legittimita', del vizio di motivazione sulla base, oltre che del "testo del provvedimento impugnato", anche di "altri atti del processo specificamente indicati nei motivi di gravame", non ha mutato la natura del giudizio di cassazione, che rimane pur sempre un giudizio di legittimita', per cui gli atti in questione non possono che essere quelli concernenti fatti decisivi che, se convenientemente valutati (non solo singolarmente, ma in relazione all'intero contesto probatorio), avrebbero potuto determinare una soluzione diversa da quella adottata, rimanendo comunque esclusa la possibilita' che la verifica sulla correttezza e completezza della motivazione (cui deve limitarsi la corte di cassazione) possa essere confusa con una nuova valutazione delle risultanze acquisite, da contrapporre a quella effettuata dal giudice di merito (Sez. 2, n. 19584 del 05/05/2006, Rv. 233775, imp. Capri ed altri).

Tenendo conto di tutti i principi teste' ricordati, deve dunque concludersi che, nel caso di specie, le argomentazioni poste a base delle censure appena esaminate non valgono a scalfire la congruenza logica della struttura motivazionale impugnata, alla quale il ricorrente ha inteso piuttosto sostituire una sua perplessa visione alternativa del fatto facendo riferimento all'articolo 606 c.p.p., lettera e): pur asserendo di volere contestare l'omessa o errata ricostruzione di risultanze della prova dimostrativa, il ricorrente, in realta', ha piuttosto richiesto a questa Corte un intervento in sovrapposizione argomentativa rispetto alla decisione impugnata, e cio' ai fini di una lettura della prova alternativa rispetto a quella, congrua e logica, fornita dalla Corte di merito. Le allegazioni difensive non valgono dunque a disarticolare l'apparato argomentativo delle integrative pronunce di primo e secondo grado (trattasi di doppia conforme): e' principio pacifico in giurisprudenza quello secondo cui, nel caso di doppia conforme, le motivazioni della sentenza di primo grado e di appello, fondendosi, si integrano a vicenda, confluendo in un risultato organico ed inscindibile al quale occorre in ogni caso fare riferimento per giudicare della congruita' della motivazione (in termini, "ex plurimis", Sez. 3, n. 4700 del 14/02/1994 Ud. - dep. 23/04/1994 - Rv. 197497; conf. Sez. 2, n. 11220 del 13/11/1997 Ud. - dep. 05/12/1997 - Rv. 209145).

Passando all'esame del ricorso del C. , il Collegio rileva l'infondatezza dei primi tre motivi di censura.

Quanto al primo motivo, nel decreto di citazione per il giudizio di appello l'indirizzo indicato per la notifica risulta annotato come domicilio eletto dall'imputato; questi invece assume con il ricorso di avere eletto domicilio in altro luogo - e cioe' vico (OMESSO) - con dichiarazione resa ai Carabinieri di Regalbuto il (OMESSO).

La doglianza e' infondata nei termini di seguito precisati. Va preliminarmente sottolineato che il ricorrente ha accennato alla elezione di un domicilio diverso da quello presso il quale e' stata tentata, senza esito, la notifica del decreto di citazione per il giudizio di appello, ma non ha offerto alcun elemento utile per l'individuazione in atti della elezione di domicilio evocata con il ricorso, ne' ha allegato all'atto di gravame copia del documento stesso, cosi' venendo meno all'onere di autosufficienza dei ricorso (cfr., "ex plurimis", Sez. 1, n. 6112 del 22/01/2009 Ud. - dep. 12/02/2009 - Rv. 243225). La censura in esame risulta peraltro infondata anche sotto un ulteriore profilo. Pur a voler seguire la tesi del ricorrente, secondo cui sarebbe ipotizzabile una nullita' della notificazione del decreto di citazione al C. per il giudizio di appello, si verterebbe, senza alcun dubbio, in caso di nullita' di ordine generale ma sanabile secondo l'indirizzo affermatosi nella giurisprudenza di questa Corte (anche con l'avallo autorevole delle Sezioni Unite): e' stato infatti precisato che in tema di notificazione della citazione dell'imputato, la nullita' assoluta e insanabile prevista dall'articolo 182 c.p.p., comma 2, infatti, "quando la parte vi assiste, la nullita' di un atto deve essere eccepita prima del suo compimento ovvero, se cio' non e' possibile, immediatamente dopo": sicche', essendo stato presente nel giudizio d'appello il difensore (di fiducia) del ricorrente, la (asserita) nullita' doveva essere eccepita appunto dal difensore medesimo e non poteva dunque essere piu' dedotta in questa fase del giudizio (cfr. in termini: Sez. 5, n. 8826/05, imp. Bozzetti ed altro, RV. 231588, prima gia' citata).

Patimenti infondati sono il secondo ed il terzo motivo di censura, relativi ad asseriti vizi di motivazione in ordine alle valutazioni probatorie ed al nesso di causalita': devono qui intendersi integralmente richiamate le considerazioni gia' in precedenza svolte nell'esaminare le analoghe doglianze dedotte dai ricorrenti Cu. Ig. e Cu. Ca. . Deve solo aggiungersi, con riferimento alla eccepita inutilizzabilita' delle dichiarazioni di C. P. (padre della parte offesa) che - a prescindere dalla c.d. "prova di resistenza" relativamente a dette dichiarazioni, i cui presupposti risultano sussistenti nella concreta fattispecie avuto riguardo alle acquisite risultanze probatorie esaminate dai giudici di merito - la doglianza e' priva di fondamento avendo la Corte territoriale evidenziato che C. P. ispeziono' personalmente il luogo in cui il figlio era stato precedentemente ferito (cfr. pagg. 10 e 16 della sentenza impugnata). Merita invece accoglimento il quarto motivo del ricorso del C. . Nessun dubbio sussiste circa il ruolo del C. quale committente dei lavori eseguiti dalla ditta di Cu. Ig. , posto che, per come precisato dalla Corte stessa, l'esecuzione di detti lavori fu affidata, dal primo al secondo, con contratto di appalto. Ed e' stato altresi' acclarato che Cu. Ca. ricopriva il ruolo di "preposto" sul cantiere.

Orbene, con riferimento a lavori svolti in esecuzione di un contratto di appalto, gia' prima dell'entrata in vigore della Legge n. 626 del 1996, era stata piu' volte affermata, nella giurisprudenza di legittimita', la riferibilita' del dovere di sicurezza, oltre che al datore di lavoro - di regola l'appaltatore, destinatario delle disposizioni antinfortunistiche - anche al committente, con conseguente possibilita', in caso di infortunio, di intrecci di responsabilita' coinvolgenti anche il committente stesso (cfr. ad esempio, Sez. 4, 17 gennaio 1986, Marafelli, RV 171888 - 91, appunto antecedente alla Legge n. 626 del 1996). E, quasi dimostrando di aver voluto recepire le indicazioni della giurisprudenza di legittimita', il legislatore ha poi specificamente introdotto l'obbligo di cooperazione tra committente ed appaltatore con la Legge n. 626 del 1994 (articolo 7). Ed a tali principi e disposizioni di legge la Corte distrettuale, nella concreta fattispecie, si e' evidentemente ispirata per dar conto del convincimento espresso circa la ritenuta colpevolezza del C. .

Cio' posto in via di principio generale, mette conto sottolineare, tuttavia, che in presenza di un contratto di appalto - ed a maggior ragione allorquando il committente dia in appalto non lavori relativi ad un complesso aziendale di cui sia il titolare, bensi' lavori di ristrutturazione edilizia di un proprio immobile, e l'appaltatore si avvalga anche dell'attivita' di un preposto, presente sul cantiere, come nel caso in esame - non puo' esigersi dal committente un controllo pressante, continuo e capillare sull'organizzazione e sull'andamento dei lavori, e non puo' quindi assolutamente prescindersi, ai fini dell'individuazione delle responsabilita' penali in caso di infortunio, da un attento esame della situazione fattuale: e cio' al fine di verificare quale sia stata, in concreto, l'effettiva incidenza della condotta del committente nell'eziologia dell'evento, a fronte delle capacita' organizzative della ditta scelta per l'esecuzione dei lavori. Muovendo da tali presupposti, questa Corte e' piu' volte intervenuta enunciando principi finalizzati proprio ad evitare un indiscriminato e generalizzato coinvolgimento della figura del committente (una sorta di responsabilita' oggettiva) in relazione ad infortuni riferibili a lavori oggetto di un contratto di appalto. Detto indirizzo interpretativo trova efficace espressione in plurime decisioni con le quali e' stata in particolare sottolineata la necessita' di una attenta disamina delle circostanze fattuali concernenti i criteri seguiti dal committente per la scelta dell'appaltatore, l'ingerenza del committente stesso nell'esecuzione dei lavori oggetto dell'appalto, la percepibilita' agevole ed immediata da parte del committente di eventuali situazioni di pericolo: 1) "In materia di responsabilita' colposa, il committente di lavori dati in appalto deve adeguare la sua condotta a due fondamentali regole di diligenza e prudenza: a) scegliere l'appaltatore e piu' in genere il soggetto al quale affidare l'incarico, accertando che la persona, alla quale si rivolge, sia non soltanto munita dei titoli di idoneita' prescritti dalla legge, ma anche della capacita' tecnica e professionale, proporzionata al tipo astratto di attivita' commissionata ed alle concrete modalita' di espletamento della stessa; b) non ingerirsi nella esecuzione dei lavori" (Sez. 3, 20.1.1992 n. 2329 riv. 189173: principio enunciato prima dell'entrata in vigore della Legge n. 626 del 1996, ma poi richiamato anche nel contesto motivazionale di Sez. 4, n. 8589 del 14/01/2008 Ud. - dep. 27/02/2008 - Speckenhauser e altro): dunque, anche quando non si ingerisce nella esecuzione dei lavori dati in appalto, il committente rimane comunque obbligato a verificare l'idoneita' tecnico - professionale dell'impresa e dei lavoratori autonomi prescelti in relazione ai lavori affidati; 2) "In tema di prevenzione degli infortuni sul lavoro, il contratto d'appalto determina il trasferimento dal committente all'appaltatore della responsabilita' nell'esecuzione dei lavori, salvo che lo stesso committente assuma una partecipazione attiva nella conduzione e realizzazione dell'opera, nel qual caso anch'egli rimane destinatario degli obblighi assunti dall'appaltatore" (Sez. 4, n. 38824 del 17/09/2008 Ud.- dep. 14/10/2008 - Raso ed altri, Rv. 241063); 3) nel caso di omissione da parte dell'appaltatore delle misure di sicurezza prescritte, quando tale omissione sia immediatamente percepibile (consistendo essa nella palese violazione delle norme antinfortunistiche), "il committente, che e' in grado di accorgersi senza particolari indagini dell'inadeguatezza delle misure di sicurezza, risponde anch'egli delle conseguenze dell'infortunio eventualmente determinatosi" (Sez. 4, n. 30857 del 14/07/2006 Ud. - dep. 19/09/2006 - Rv. 234828).

Nella concreta fattispecie, dal testo della sentenza impugnata e' dato rilevare che e' mancato, da parte della Corte territoriale, un approfondito e specifico esame proprio su circostanze fattuali rilevanti ai fini della individuazione di profili di colpa nella condotta del C. , in relazione ai principi di diritto appena ricordati: 1) nulla e' stato detto in ordine alle capacita' tecniche ed organizzative della ditta del Cu. , che, secondo il ricorso del C. , era iscritta presso la C.C.I.I.A.A. di Enna: circostanza questa che, se accertata, rileverebbe in relazione al profilo di colpa concernente la "culpa in eligendo"; 2) neppure risulta se, ed eventualmente in quali termini, vi sia stata concreta ingerenza da parte del C. nell'esecuzione dei lavori; 3) infine non sono state indicate circostanze da cui poter inferire che il C. fosse consapevole non solo della presenza dei sacchi appoggiati al muretto di fronte alla sua abitazione, ma anche di cio' che quei sacchi contenevano (vale a dire una sostanza pericolosa). Conclusivamente, in accoglimento del quarto motivo del ricorso del C. , l'impugnata sentenza deve essere annullata nei confronti del C. stesso, con rinvio, per nuovo esame della relativa posizione, alla Corte d'Appello di Caltanissetta, in diversa composizione, che si atterra' ai principi di diritto sopra ricordati. Ovviamente, la Corte stessa, ai fini della ritualita' della notifica dell'atto di citazione al C. per il giudizio di rinvio, verifichera' l'elezione di domicilio dell'imputato, cui quest'ultimo ha fatto riferimento nel ricorso.

Quanto alla istanza di sospensione della condanna civile, appare opportuno lasciare qualsiasi valutazione al riguardo al giudice del rinvio, il quale potra' esaminare la questione anche sulla scorta dei peculiari apprezzamenti in fatto che caratterizzano la fase di merito, tenuto altresi' conto della assoluta genericita' dell'istanza cosi come formulata con il ricorso.

P.Q.M.

Rigetta i ricorsi proposti da Cu. Ca. e Cu. Ig. e li condanna, ciascuno, al pagamento delle spese del procedimento.

Annulla la sentenza impugnata cosi' come resa nei confronti di C. N. e rinvia per nuovo esame alla Corte di Appello di Caltanissetta, altra Sezione.

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