Gli emendamenti alle dichiarazioni fiscali possono essere proprosti soltanto entro i termini previsti per una valida dichiarazione

Le dichiarazioni fiscali del contribuente, costituendo il momento di avvio di un procedimento di diritto pubblico, come tale caratterizzato da esigenze di razionale svolgimento e dalla aspirazione al conseguimento di risultati di stabilità, comportano l'automatismo degli effetti propri degli atti giuridici in senso stretto. Ne consegue che esse sono assoggettate a vincoli di forma e di tempo che inducono ad affermare la loro irretrattabilità. Ciò significa che, al di fuori delle ipotesi di errori materiali o di calcolo possono essere "sostituite" soltanto entro i termini previsti per una valida dichiarazione. In caso di mancata rettifica nei termini suddetti, la possibilità, perciò, di addurre errori di "fatto" o di "diritto" intervenuti nella dichiarazione ed incidenti sulla obbligazione tributaria, finisce per potersi esprimere nei soli limiti in cui la legge stessa preveda il diritto al rimborso, o in sede di opposizione alla maggiore pretesa tributaria fatta eventualmente valere dall'Amministrazione. E' quanto stabilito dalla Corte di Cassazione, sezione tributaria civile, con sentenza n. del 19 ottobre 2007, n. 21944 sul ricorso promosso dal contribuente contro la sentenza della CTR che aveva confermato la condanna dello stesso sull'assunto che non aveva provveduto nei a rettificare gli assunti errori in sede di dischiarazione IVA.



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SENTENZA

sul ricorso proposto da:

Ma.Ba. Socio Accomodatario della Omonima & C. S.A.S., rapp.ta e difesa, giusta delega in calce dagli avv.ti Do.Pa. ed El.Vi. presso lo studio di quest'ultimo elett.te domiciliata in Ro. al viale Ma. (...).

- ricorrente -

Contro

MINISTERO DELL'ECONOMIA E DELLE FINANZE in persona del Ministro p.t. rapp.to e difeso dall'Avvocatura Generale dello Stato presso la quale elett.te domicilia in Ro. alla via De.Po. (...).

- intimato costituito -

per la cassazione della sentenza della Commissione Tributaria Regionale del Lazio n. 97/23/00 pubblicata il 20/7/00.

Udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 4/7/07 dal Consigliere dott. Giuseppe Napoletano;

Viste le conclusioni scritte del P.M. che ha chiesto rigettarsi il ricorso per manifesta infondatezza;

Considerato in fatto che parte contribuente indicata in epigrafe ha impugnato dinanzi alla CTP di Rieti l'avviso di rettifica IVA relativo all'anno 1991;

Che l'adita CTP ha rigettato il ricorso;

Che la CTR del Lazio ha confermato la sentenza impugnata sul rilievo che la parte contribuente non aveva provveduto a rettificare gli assunti errori;

Che avverso tale sentenza la contribuente ha proposto ricorso per cassazione sostenuto da due motivi, illustrati da memoria, con i quali rispettivamente deducendo: 1. difetto di motivazione circa un punto decisivo della controversia ha assunto che i giudici del merito hanno omesso di valutare quanto effettivamente riportato nel registro dei corrispettivi ritenendo inidonea l'allegazione in considerazione del comportamento dilatorio di essa ricorrente che avrebbe potuto rettificare i propri errori; 2. violazione e falsa applicazione dell'art. 54 DPR 633/72 ha sostenuto che l'infedeltà della dichiarazione è stata considerata solo ed unicamente sul presupposto che la parte non si era ravveduta del mero errore di trascrizione dell'importo della base imponibile entro e non oltre un tempo determinato a nulla rilevando che l'imposta dichiarata era quella effettivamente dovuta;

Che parte intimata ha presentato atto di costituzione non svolgendo attività difensiva;

Ritenuto in diritto che l'emendabilità, da parte del contribuente, degli errori, anche non meramente materiali o di calcolo, contenuti in dichiarazioni o, comunque, in atti dello stesso contribuente costituenti il presupposto dell'imposizione fiscale, deve essere riconosciuta, quale espressione di un principio generale del sistema tributario (che trova conferma anche in pronunce della Corte di giustizia delle Comunità Europee in materia di IVA), atteso che la dichiarazione non ha valore confessorio, non costituisce fonte dell'obbligazione tributaria - ma s'inserisce nell'ambito di un più complesso procedimento di accertamento e di riscossione -, e che i principi della capacita contributiva e di buona amministrazione rendono intollerabile un sistema legale che impedisca al contribuente di dimostrare, entro un ragionevole lasso di tempo, l'inesistenza di fatti giustificativi del prelievo (CASS. 8362/02);

Che anche in materia di IVA è valido il principio, già affermato con riferimento alle imposte sui redditi, secondo il quale la dichiarazione del contribuente, affetta da errore, sia esso di fatto che di diritto, commesso dal dichiarante nella sua redazione, è - in linea di principio - emendabile e ritrattabile, quando dalla medesima possa derivare l'assoggettamento del dichiarante ad oneri contributivi diversi e più gravosi di quelli che, sulla base della legge, devono restare a suo carico, atteso che la dichiarazione dei redditi non ha natura di atto negoziale e dispositivo, ma reca una mera esternazione di scienza e di giudizio, modificabile in ragione dell'acquisizione di nuovi elementi di conoscenza e di valutazione sui dati riferiti; che essa costituisce un momento dell'"iter" procedimentale volto all'accertamento dell'obbligazione tributaria; e che i principi della capacità contributiva e di buona amministrazione rendono intollerabile un sistema legislativo che impedisca al contribuente di dimostrare, entro un ragionevole lasso di tempo, l'inesistenza di fatti giustificativi. Ne consegue che detta emendabilità non può ritenersi sottoposta al limite temporale di cui all'art. 37 commi quinto e sesto, del d.P.R. n. 633 del 1972, il quale riguarda la rimozione di omissioni o la eliminazione di errori suscettibili di comportare un pregiudizio per l'erario, ma non la rettifica di dichiarazioni oggettivamente errate e quindi idonee a pregiudicare il dichiarante, anche in ragione del fatto che la negazione del diritto al rimborso determinerebbe un indebito incameramento del credito da parte dell'erario (Cass. 3 004/04);

Che in tema di IVA, la dichiarazione del contribuente non costituisce la fonte dell'obbligo tributario, né produce effetti assimilabili a quelli di una confessione, ma rappresenta unicamente un momento essenziale del procedimento di accertamento e riscossione dell'imposta, con la conseguenza che essa è emendabile e ritrattabile, non potendosi precludere al contribuente - anche in conformità al principio di capacità contributiva - di dimostrare l'inesistenza, anche parziale, dei presupposti d'imposta erroneamente dichiarati. Ad un tal riguardo, il termine ragionevole per l'emendabilità della dichiarazione (che deve necessariamente essere fissato, altrimenti resterebbe gravemente violato il principio della certezza dei rapporti giuridici) va individuato, nel silenzio del legislatore sul punto, in quello quadriennale stabilito, per la rettifica della dichiarazione da parte dell'ufficio, dall'art. 57 del DPR 26 ottobre 1972, n. 633, termine da considerare, nel contesto del principio di parità e di bilanciamento delle posizioni, validamente operante anche per il contribuente (Cass. 4236/04);

Che le dichiarazioni fiscali del contribuente, costituendo il momento di avvio di un procedimento di diritto pubblico, come tale caratterizzato da esigenze di razionale svolgimento e dalla aspirazione al conseguimento di risultati di stabilità, comportano l'automatismo degli effetti propri degli atti giuridici in senso stretto. Come tali, esse sono assoggettate a vincoli di forma e di tempo che inducono ad affermare la loro irretrattabilità. Esse, pertanto, al di fuori delle ipotesi di errori materiali o di calcolo - le quali non richiedono un'espressa rettifica, in quanto desumibili "ab intrinseco" dalla stessa dichiarazione -possono essere emendate ed, in buona sostanza, "sostituite" soltanto entro i termini previsti per una valida dichiarazione. In caso di mancata rettifica nei termini suddetti, la possibilità, perciò, di addurre (ad assumere in prestito categorie meramente privatistiche) errori di "fatto" o di "diritto" intervenuti nella dichiarazione ed incidenti sulla obbligazione tributaria, finisce per potersi esprimere nei soli limiti in cui la legge stessa preveda il diritto al rimborso, o in sede di opposizione alla maggiore pretesa tributaria fatta eventualmente valere dall'Amministrazione. Non derogano a questo quadro di esigenze di un rigoroso rispetto delle modalità e dei termini di presentazione, le dichiarazioni in tema di I.V.A., rispetto alle quali tali esigenze si fanno -anzi - tanto più nette, ove si considerino - ad esempio i meccanismi di detrazioni d'imposta operanti a favore del cessionario del bene o della prestazione di servizio (Cass. 10055/00);

Che pertanto in base alla giurisprudenza sopra richiamata di questa Suprema Corte il ricorso è manifestamente infondato;

Che nulla deve di sporsi in ordine alle spese del giudizio di legittimità non avendo parte intimata svolto attività difensiva;

Che quindi il ricorso va con sentenza pronunciata in camera di consiglio ex art. 375, secondo comma, c.p.c., rigettato.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso.

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