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L'esenzione ICI non può essere riconosciuta se la destinazione sociale dell'immobile di proprietà di un ente soggettivamente esente si associa ad attività diversa
Pubblicata il 08/05/2008
(Corte di Cassazione, Sezione Tributaria Civile, Sentenza del 13 maggio 2005, n. 10092)
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IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TRIBUTARIA
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. Francesco Cristarella Orestano - Presidente
Dott. Enrico Papa - Consigliere
Dott. Giuseppe Falcone - Consigliere
Dott. Maria Rosaria Cultrera - Consigliere Relatore
Dott. Antonino Di Blasi - Consigliere
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
Ba. c. Club S.r.l., in persona dell'Amministratore unico dottor Pa. Br., elettivamente domiciliato in Ro. Via A. Pa. 21, presso lo studio dell'Avvocato Va. Be. Be., difeso dall'Avvocato Ma. Sa., giusto mandato a margine;
ricorrente
contro
Comune di Le. sul Se., in persona del Sindaco pro tempore, elettivamente domiciliato in Ro. Via Cr. 25, difeso dall'avvocato Et. Pa., giusta delega in atti;
controricorrente
avverso la sentenza n. 70/03 della Commissione Tributaria Regionale di Milano, depositata il 26/01/04;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 08/03/05 dal Consigliere Dott. Maria Rosaria Cultrera;
udito per il ricorrente l'Avvocato Ma. Sa. che ha chiesto l'accoglimento del ricorso;
udito per il resistente l'Avvocato Fa. Fo. per delega dell'Avvocato Et. Pa., depositata in udienza, che ha chiesto il rigetto del ricorso;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. Marcello Matera che ha concluso per il rigetto del ricorso.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Il Comune di Le. sul Se. recuperava a tassazione l'ICI relativa agli anni d'imposta dal 1993 al 1996, emettendo in data 25.10.00 avvisi d'accertamento nei confronti della società Ba. c. S.r.l., con cui negava in sostanza l'esenzione prevista dall'art. 7 comma 1 lett. I) del D.Lgs. n. 504/92 invocata dalla suddetta società, proprietaria di un complesso immobiliare ubicato in territorio comunale e concesso in locazione all'associazione sportiva Ba. c. Club S.r.l., ed accertava l'imposta da corrispondere, erogando le conseguenti sanzioni.
La Commissione Tributaria Provinciale di Milano, innanzi alla quale la contribuente aveva impugnato gli avvisi, con pronuncia n. 227/43/2001, respingeva il ricorso della predetta società, che aveva dedotto l'omessa motivazione dei provvedimenti opposti, e nel merito, la spettanza dell'agevolazione contestata, siccome l'immobile era utilizzato da ente non commerciale, e per uno degli scopi previsti dalla norma citata.
La Commissione Tributaria Regionale della Lombardia, innanzi alla quale la contribuente aveva proposto appello, con la sentenza in epigrafe, respingeva l'impugnazione, sostenendo, sia che gli avvisi risultavano sufficientemente motivati, in quanto contenevano l'indicazione del criterio seguito dal Comune ai fini della tassazione, come testimoniava l'opposizione proposta dalla contribuente, che aveva potuto adeguatamente difendere la sue ragioni, sia che l'esenzione invocata non era applicabile dal momento che dalla documentazione versata in atti era emerso il difetto del requisito oggettivo normativamente prescritto, dato che nell'immobile veniva svolta attività non solo sportiva, ma anche commerciale - vale dire servizio bar-ristorante, e golf-shop, esercitata da terzi, nonché foresteria, sublocazione di camere ed altro.
Contro questa decisione la società Ba. c. Club S.r.l. propone il presente ricorso per cassazione, che ha affidato a quattro mezzi.
Il Comune di Le. sul Se. ha resistito con controricorso.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Col primo motivo la ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione dell'art. 11 comma 2 bis del D.Lgs. n. 504/92, dell'art. 3 della l. n. 241/90, e dell'art. 7 della l. n. 212/2000, e deduce, a sostegno della sua critica alla decisione impugnata, che gli avvisi impugnati, erroneamente reputati idoneamente motivati dai giudici d'appello, sono invece carenti del requisito motivazionale. Si articolano infatti in cinque paragrafi in cui apoditticamente si asserisce, sia che l'attività svolta nel centro sportivo ha natura commerciale, desumendosi tale connotazione dalla circostanza, assolutamente neutra, che risulta provata l'attribuzione di partiva IVA all'associazione sportiva conduttrice dell'immobile, sia che l'attività sportiva ivi esercitata non ha natura esclusiva. Per la restante parte gli avvisi indicano la partita catastale dell'associazione sportiva e la presenza indimostrata di servizio bar-ristorante esercitata previa licenza in locali aperti indiscriminatamente al pubblico. Trattasi però di elementi inidonei a fondare la pretesa tributaria, che non concretano né i presupposti di fatto né le ragioni giuridiche dell'imposizione.
Col secondo motivo la ricorrente lamenta violazione e falsa applicazione dell'art. 7 lett. i) del D.Lgs. n. 504/92 e deduce che, senza adeguatamente motivare le ragioni della sua decisione e travisando il dettato normativo citato, la Commissione regionale ha escluso la sussistenza del requisito oggettivo postulato per l'applicazione dell'agevolazione richiesta. Le attività esercitate nei locali, quali deposito cars - fornitura di bevande e cibo ai soci e fornitura di armadietti e camere da letto per i medesimi soci e delle attrezzature per praticare il golf, che ad avviso dei giudici tributari denotano la non esclusività dell'attività sportiva, hanno natura squisitamente accessoria rispetto a quest'ultima, e sono marginali. Come documentato in atti, ed è testimoniato anche dall'esame dello statuto dell'associazione art. 2 comma 3, trattasi di attività strumentali all'esercizio dello sport. Citando a conforto il precedente di questa Corte n. 18549/2003, rileva altresì di aver provato in sede di merito di non aver svolto attività d'impresa, come si evince sia dal suo scopo sociale, emergente dall'esame dello statuto, sia dalla sua volontaria adesione alla FIGC, che prevede tassativamente che gli iscritti non perseguano fine di lucro. In questo contesto di fatto, emerge la palese violazione dell'art. 87 del TUIR, che fa riferimento, al fine di accertare l'oggetto sociale, al suo atto costitutivo. La titolarità della partita IVA, ritenuta rilevante dal giudice d'appello, non depone per lo svolgimento d'attività commerciale, siccome rappresenta mero adempimento fiscale.
Col terzo motivo la ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione dell'art. 2697 c.c., e carenza di motivazione su di un punto decisivo della controversia; critica la pronuncia impugnata che, senza adeguatamente illustrare le ragioni di sostegno della decisione, ha riformato la sentenza del primo giudice che, accogliendo la sua tesi, aveva posto l'onere di provare la pretesa impositiva sull'ente che l'aveva esercitata.
Con l'ultima doglianza, infine, la ricorrente censura la sentenza impugnata, e, lamentando omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione in ordine alla ritenuta mancanza dei requisiti posti dall'art. 7 lett. i) del D.Lgs. n. 504/92 denuncia che la C.T.R. ha riformato la prima decisione senza neppure esaminarne la motivazione, né valutare gli argomenti che ne sostenevano la ratio.
Il ricorso appare infondato.
In ordine al primo motivo devesi rilevare che la sentenza impugnata ha ravvisato adeguata motivazione degli avvisi, e, con motivazione a sua volta esauriente e dettagliata, ha indicato gli elementi che si ricavano dagli atti opposti che giustificano la pretesa tributaria. La censura in esame, nella sua articolazione, appare in sostanza tesa a smentire la ricostruzione dei dati vagliati dalla Commissione regionale, e ne sollecita diversa rilettura, in chiave in tesi più corretta e comunque più favorevole. La ricorrente, infatti, prospettando vizio di motivazione, in realtà rivisita le circostanze enunciate nell'avviso, ed esponendone l'articolazione dettagliata nei cinque paragrafi in cui si compone, lo riesamina e lo reinterpreta per dimostrare l'infondatezza nel merito, sia della pretesa esercitata dal Comune, sia della pronuncia che ne ha accolto le ragioni. In conclusione dà conto della completezza del provvedimento opposto, proprio laddove enuncia i dati alla cui stregua l'amministrazione comunale ha ritenuto che il beneficio richiesto non potesse essere applicato, e ne sottopone il testo all'esame di questa Corte, per sollecitarne il riesame alla luce delle spiegazioni e delle confutazioni proposte, che l'organo d'appello ha già valutato, con ragionamento, come si è detto, immune da vizi logici, ed esposto con motivazione adeguata. Chiede, in conclusione, un controllo sull'adeguatezza della motivazione del provvedimento del Comune, e di riflesso sulla motivazione del giudice del gravame, che dovrebbe essere condotto attraverso la valutazione dei dati di fatto indicati, che è però precluso in questa sede (cfr. per tutte Cass. n. 15355/04).
Resta invece accertato che l'obbligo motivazionale è stato assolto non solo dal giudice del gravame, ma dalla stessa amministrazione comunale, che ha posto la contribuente in grado di conoscere la sua pretesa nei suoi elementi essenziali e di confutarle adeguatamente sia nell'"an" che nel "quantum". E' jus receptum nella giurisprudenza di questa Corte e proprio con riferimento ad ICI, che il "requisito motivazionale esige oltre alla puntualizzazione degli estremi oggettivo e soggettivi della posizione creditoria dedotta, soltanto l'indicazione dei fatti astrattamente giustificativi di essa, che consentano di delimitare l'ambito delle ragioni adducibili dall'ente impositore nell'eventuale successiva fase contenziosa, restando poi affidate al giudizio d'impugnazione le questioni riguardanti l'effettivo verificarsi dei fatti stessi e la loro idoneità a dare sostegno alla pretesa impositiva" (cfr. Cass. 21571/2004).
I restanti motivi, i quali sono logicamente connessi e possono perciò essere esaminati congiuntamente, sono infondati.
Con adeguata motivazione la Commissione regionale ha dato conto della valutazione dei dati alla cui stregua ha ritenuto che l'attività esente, vale a dire quella sportiva, non fosse a suo avviso esclusiva. Sulla premessa di principio che l'elencazione delle attività per le quali è prevista l'agevolazione, contenuta nell'art. 7 lett. i) del D.Lgs. n. 504/92 è tassativa, e che occorre far riferimento a quelle effettivamente svolte nell'immobile, e non già all'attività istituzionale dell'ente, ha asserito che l'immobile non può considerarsi destinato "esclusivamente" all'uso indicato dalla contribuente, date le molteplici attività in esso svolte, tutte analiticamente indicate, e rivolte all'esterno e non solo ai soci. L'organo di gravame è pervenuto a tale conclusione sulla base della valutazione degli atti acquisiti al processo, nonché del processo verbale di constatazione della Guardia di Finanza, che l'hanno convinto del fatto che l'uso a fine sportivo è solo parziale.
Le censure articolate nei motivi in esame criticano la ratio decidendi sulla quale si fonda suddetto approdo, il cui nucleo essenziale poggia sull'affermazione della parzialità della pretesa destinazione, non sufficiente, secondo l'espresso dettato normativo, a legittimare l'applicazione della norma agevolativa, opponendo ad essa la tesi secondo cui l'esclusività dell'esercizio dell'attività esente, il cui riscontro è stato eseguito dal giudice di merito con riferimento all'attività di fatto esercitata nell'immobile, deve invece valutarsi in relazione al suo assetto statutario ed alla destinazione istituzionale dell'attività considerata, richiamando a conforto la norma contenuta nell'art. 87 del TUIR citata.
Questa costruzione è però infondata.
Premesso, innanzi tutto, che l'apprezzamento critico dei dati probatori allegati dalle parti, cui fa riferimento la sentenza, che deve essere riferito evidentemente a tutte le circostanze dedotte in causa, senza necessità d'indicazione specifica delle fonti probatorie ritenute idonee e convincenti (cfr. Cass. n. 13747/2004), non è suscettibile di riesame in questa sede, per le ragioni già esposte con riguardo al precedente motivo, devesi rilevare che appare sicuramente corretta la premessa di principio, da cui muove tale verifica, che è stata condotta in relazione alla sola attività espletata di fatto nei locali dell'ente, e non anche a quella prevista nello statuto dell'associazione. La lettera della norma di riferimento contenuta nell'art. 7 comma 1 lett. i) del D.Lgs. n. 504/92 il quale sancisce che l'agevolazione spetta al contribuente che, trovandosi nella condizione soggettiva indicata, abbia "utilizzato" l'immobile, destinandolo ad una delle attività esenti, non consente la diversa esegesi proposta dalla contribuente, che valorizza la destinazione statutaria, riferendola in tal guisa ad un requisito astratto. Le parole usate dal legislatore rendono palese la mens legis, che giustifica l'esenzione solo se correlata all'esercizio, effettivo e concreto, nell'immobile di una delle attività indicate, sia esso immobile destinato o non, in astratto, anche ad altro e diverso scopo (v. Cass. n. 4645/2004).
Trattasi di previsione normativa, peraltro, che, come ha correttamente asserito la C.T.R., ha natura speciale e derogatoria della norma generale, ed è perciò di stretta interpretazione, sicché non può essere applicata al di fuori delle ipotesi tipiche e tassative indicate.
Ne discende per ovvio corollario che, laddove, come nel caso di specie, sia risultato accertato in fatto che, benché la destinazione sociale dell'ente soggettivamente esente, rientri nel paradigma della norma agevolativa, ma in concreto si associ ad essa attività diversa, non contemplata, l'esenzione non può essere riconosciuta, stante il divieto non solo di applicazione analogica, ma anche d'interpretazione estensiva, posto in riferimento alla legge speciale dell'art. 14 delle disposizioni preliminari al codice civile. In questa chiave, appare indubbiamente privo di rilievo il richiamo alla norma contenuta nell'art. 87 del TUIR, che fa riferimento all'atto costitutivo dell'ente per stabilirne l'oggetto esclusivo o principale, con riferimento però ad altro e diverso tributo, avente natura e connotazione del tutto autonoma e diversa da quello in discussione.
Resta in conclusione acclarato che, secondo il giudizio insindacabile nel merito dell'organo di gravame, l'uso dell'immobile per attività sportiva è solo parziale, e difetta del requisito dell'esclusività posto per l'applicazione dell'agevolazione contestata, che, come si è detto, non opera al di fuori delle ipotesi specificamente enumerate, né per analogia né mediante interpretazione estensiva.
Tutto ciò premesso, il ricorso devesi rigettare.
Ricorrono giusti motivi per disporre la compensazione integrale delle spese del presente giudizio di legittimità.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso, compensa le spese.