Nel rito tributario, la validità del ricorso si perfeziona dalla data di ricezione dell'atto

In tema di contenzioso tributario, qualora la notificazione del ricorso introduttivo abbia avuto luogo mediante spedizione a mezzo posta, il termine entro il quale, ai sensi dell'art. 22 del d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, dev'essere effettuato il deposito presso la segreteria della commissione tributaria decorre non già dalla data della spedizione, bensì da quella della ricezione dell'atto da parte del destinatario: la regola, desumibile dall'art. 16, ultimo comma, secondo cui la notificazione a mezzo del servizio postale si considera effettuata al momento della spedizione, in quanto volta ad evitare che eventuali disservizi postali possano determinare decadenze incolpevoli a carico del notificante, si riferisce infatti ai soli termini entro i quali la notificazione stessa deve intervenire, ed avendo carattere eccezionale non può essere estesa in via analogica a quelli per i quali il perfezionamento della notificazione rappresenta il momento iniziale, trovando in tal caso applicazione il principio generale secondo cui la notificazione si perfeziona con la conoscenza legale dell'atto da parte del destinatario. (Corte di Cassazione Sezione Tributaria Civile,Sentenza del 15 maggio 2008, n. 12185)





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REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SACCUCCI Bruno - Presidente

Dott. SOTGIU Simonetta - Consigliere

Dott. DI IASI Camilla - rel. Consigliere

Dott. MELONCELLI Achille - Consigliere

Dott. MARINUCCI Giuseppe - Consigliere

ha pronunciato la seguente:



SENTENZA

sul ricorso proposto da:

A. CO. CA. S.R.L., in persona dell'Amministratore unico legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA VIA PAVIA 28, presso lo studio dell'avvocato PORPORA RAFFAELE, che lo rappresenta e difende, giusta delega a margine;

- ricorrente -

contro

MINISTERO DELL'ECONOMIA E DELLE FINANZE, in persona del Ministro pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA VIA DEI PORTOGHESI 12, presso L'AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende ope legis;

- controricorrente -

e contro

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l'AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende ope legis;

- controricorrente -

avverso la sentenza n. 98/02 della Commissione tributaria regionale di ROMA, depositata il 21/10/02;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 15/02/08 dal Consigliere Dott. DI IASI Camilla;

udito per il ricorrente l'Avvocato PORPORA, che si riporta al ricorso e insiste nell'accoglimento;

udito per il resistente l'Avvocato URBANI NERI, che si riporta al controricorso;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. SORRENTINO Federico, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

La C.T.P. di Roma accoglieva il ricorso proposto dalla s.r.l. A. CO. CA. avverso avviso di rettifica IVA per l'anno 1995.

La C.T.R. Lazio accoglieva l'appello proposto dall'Ufficio (OMESSO) dell'Agenzia delle Entrate avverso la sentenza di primo grado, innanzitutto rilevando che doveva ritenersi legittima la motivazione di un avviso di rettifica con rinvio per relationem al p.v.c. della Guardia di Finanza.

Nel merito, i Giudici d'appello affermavano: che dagli atti risultava che la societa' contribuente aveva omesso la fatturazione di operazioni di acquisto; che le fatture, emesse sia da fornitori nazionali che esteri, indicavano altre societa' nazionali, e non la contribuente, la quale percio' aveva detratto costi indetraibili;

che la contribuente risultava inoltre aver emesso fatture nei confronti di se stessa (per merce destinata ad un proprio punto vendita), cosi' dichiarando due volte i costi;

che da un controllo incrociato era emerso che la s.r.l. EU., possedendo tutte le caratteristiche della c.d. "cartiera", si era interposta fittiziamente tra i cedenti comunitari e la societa' contribuente, effettivo cessionario nazionale, al fine di porre in essere un meccanismo di evasione sugli scambi comunitari.

Rilevavano altresi' i Giudici d'appello che la contribuente in primo grado e in appello non aveva mai contraddetto le risultanze del p.v.c, del quale era a conoscenza per esserla stato consegnato dall'Ufficio e che legittimamente il suddetto p.v.c. era stato prodotto in appello ai sensi del Decreto Legislativo n. 546 del 1992 articolo 58 restando ininfluente che non fosse stato prodotto in primo grado, potendo la commissione acquisirlo cit. Decreto Legislativo, ex articolo 7. Aggiungevano infine i Giudici della C.T.R. che l'appello dell'Ufficio doveva ritenersi tempestivo con riguardo al termine lungo per impugnare, senza che potesse influire in senso contrario il provvedimento di sgravio emesso dal medesimo Ufficio.

Avverso questa sentenza la societa' propone ricorso per cassazione successivamente illustrato da memoria; resistono con controricorso il Ministero dell'Economia e delle Finanze e l'Agenzia delle Entrate.

MOTIVI DELLA DECISIONE

Col primo motivo, deducendo omessa pronunzia ex articolo 112 c.p.c., e Decreto Legislativo n. 546 del 1992 articolo 36 la ricorrente rileva che i Giudici di appello avrebbero omesso di pronunciarsi in ordine alla dedotta intempestivita' della proposizione dell'appello e della costituzione dell'appellante.

Col secondo motivo, deducendo omessa e insufficiente motivazione, la ricorrente rileva che i Giudici d'appello avrebbero omesso di motivare adeguatamente in ordine alle eccezioni concernenti all'intempestivita' della costituzione dell'appellante, nonche' l'intempestivita' e irritualita' della proposizione del gravame e della relativa notifica.

In particolare, i Giudici d'appello non avrebbero motivato (o lo avrebbero fatto in maniera insufficiente) : sulla circostanza che la costituzione dell'appellante era avvenuta oltre il termine previsto dal Decreto Legislativo n. 546 del 1992 articolo 22; sulla circostanza che nella specie non era applicabile il termine lungo bensi' il termine breve per impugnare, essendo stata la sentenza di primo grado notificata all'Ufficio il 23 maggio 2001; infine, sulla circostanza della dedotta acquiescenza prestata dall'Ufficio alla sentenza di primo grado, in relazione al disposto provvedimento di sgravio.

Col terzo motivo, deducendo violazione del Decreto Legislativo n. 546 del 1992 articoli 51 e 21 la ricorrente censura la sentenza impugnata per aver ritenuto la tempestivita' dell'impugnazione nonostante la notificazione della sentenza impugnata fosse intervenuta, unitamente all'istanza di sgravio, il 23 maggio 2001, e quindi decorresse da tale data il termine breve per impugnare.

Col quarto motivo, deducendo violazione del Decreto Legislativo n. 546 del 1992 articoli 53 e 21 la ricorrente rileva che, dovendosi la notifica dell'atto d'appello ritenere intervenuta il giorno della spedizione, nella specie non risultava rispettato il termine per il deposito del ricorso notificato presso la segreteria della commissione.

Col quinto motivo, deducendo violazione e falsa applicazione del Decreto Legislativo n. 546 del 1992 articoli 16, 17, 31, nonche' articoli 136 137 e 149 c.p.c., la ricorrente rileva che: l'atto d'appello non era stato notificato presso la sede della societa' contribuente, bensi' al difensore, presso il quale non era stata effettuata elezione di domicilio; che la copia dell'atto d'appello notificata al patrocinatore recava l'autorizzazione ma non la dichiarazione di conformita' ne' la sottoscrizione autografa dell'estensore dell'atto; che la segreteria della C.T.R. non aveva effettuato alla contribuente la comunicazione dell'avviso di trattazione per l'udienza del 29.9.92, udienza alla quale nessuno aveva partecipato in sua difesa. Col sesto motivo, deducendo violazione dell'articolo 329 c.p.c., la ricorrente rileva che i Giudici d'appello avrebbero dovuto dichiarare l'inammissibilita' dell'impugnazione dell'Ufficio per avere quest'ultimo disposto, in data 26 giugno 2001, lo sgravio, espressamente motivandolo con l'adempimento della decisione di primo grado e senza alcuna riserva di gravame.

Col settimo motivo, deducendo violazione e falsa applicazione del Decreto Legislativo n. 546 del 1992 articolo 58 la ricorrente rileva che la norma citata consente la produzione di documenti "nuovi", non di documenti che, come il p.v.c, potevano essere prodotti gia' in primo grado, perche' diversamente opinando si violerebbe il principio del doppio grado di giudizio, impedendo alla parte di spiegare le sue difese. Con l'ottavo motivo, deducendo violazione e falsa applicazione del Decreto del Presidente della Repubblica n. 633 del 1972 articoli 56, e Decreto del Presidente della Repubblica n. 917 del 1986 articoli 51 e 52 e Legge n. 212 del 2000 articolo 6 comma 1, nonche' Legge n. 241 del 1990 articolo 3 la ricorrente affermava che i Giudici d'appello avrebbero dovuto confermare la sentenza di primo grado, che aveva ritenuto il difetto di motivazione dell'atto impositivo, in quanto contenente un rinvio per relationem al p.v.c. della Guardia di Finanza. Inoltre, secondo la ricorrente, le segnalazioni della Guardia di Finanza non costituiscono prova dei fatti presunti in riferimento, avendo nella specie la G. di F. recepito quanto emerso da informazioni di fonte imprecisata, senza indicare il luogo di reperimento dell'incartamento consultato, senza formulare alcun rilievo critico e in definitiva senza fornire elementi probatori certi e inconfutabili della pretesa dell'Ufficio.

Aggiunge la contribuente che l'Ufficio non avrebbe dimostrato l'effettiva conoscenza del verbale da parte della contribuente, posto che la motivazione per relationem veniva riferita anche ad altri accertamenti nei confronti di terzi, percio' non conoscibili dalla contribuente.

Col nono motivo, deducendo violazione e falsa applicazione del Decreto del Presidente della Repubblica n. 633 del 1972 articoli 51 e 54 e articolo 2729 c.c., la ricorrente rileva che i Giudici d'appello avrebbero dovuto confermare la sentenza di primo grado, posto che le asserite presunzioni poste dall'Ufficio a fondamento della pretesa fiscale, a sua volta tratte dal p.v.c. mai prodotto, non rivestono le caratteristiche di gravita', precisione e concordanza richieste dal citato articolo 54, ne' risulta affermata dall'Officio o dai Giudici d'appello l'inattendibilita' della contabilita' della contribuente, la quale, come risultante dal p.v.c, aveva documentato ogni voce della propria dichiarazione IVA.

Secondo la ricorrente, i giudici d'appello avrebbero ammesso presunzioni derivanti da altre presunzioni, con particolare riferimento a quanto emerso dal c.d. controllo incrociato, senza contare che le c.d. "caratteristiche della cartiera" riferite alla societa' EU. non sarebbero opponibili alla contribuente, non essendo state estese ad essa le relative contestazioni.

Col decimo motivo, deducendo violazione e falsa applicazione dell'articolo 2967 c.c., la ricorrente rileva che i Giudici d'appello non avevano considerato che gravava sull'amministrazione l'onere di provare la propria pretesa e che nella specie essa non lo aveva assolto, non avendo neppure prodotto in giudizio il p.v.c. al quale si riferiva per relationem l'avviso opposto.

Aggiunge la ricorrente che in ogni caso il p.v.c. non costituisce prova dei presunti fatti in riferimento, che le presunzioni in esso contenute mancherebbero dei requisiti di gravita', precisione e concordanza e infine che non sarebbero stati forniti elementi probatori certi e inconfutabili idonei a suffragare la pretesa fiscale.

Con l'undicesimo motivo, deducendo "correttezza della sentenza impugnata", la ricorrente rileva che correttamente la sentenza di primo grado aveva motivato l'accoglimento del ricorso col mancato assolvimento dell'onere probatorio da parte dell'Ufficio, laddove la C.T.R., in maniera illogica ed irrituale, avrebbe fatto propri i valori accertati e rettificati dall'Ufficio senza espressamente motivare in ordine all'avvenuto assolvimento da parte del medesimo dell'onere probatorio relativo alla sussistenza degli elementi atti a giustificare il quantum accertato. Le esposte censure sono in parte infondate e in parte inammissibili.

In particolare, con riguardo ai motivi primo, secondo, terzo, quarto e sesto (coi quali la ricorrente censura sotto diversi profili - omessa pronuncia, omessa e/o insufficiente motivazione, violazione di legge - la sentenza impugnata per non aver dichiarato l'inammissibilita' dell'appello, nonostante l'intempestivita' dello stesso e della costituzione dell'appellante nonche' l'intervenuta acquiescenza alla sentenza di primo grado) giova rilevare, prescindendo da ogni altra considerazione, che la pronuncia nel merito dell'appello presuppone la ritenuta ammissibilita' dello stesso - quindi una implicita pronuncia in tal senso - e che quando, come nella specie, viene denunciato un difetto di motivazione comportante la soluzione di una questione di diritto, il Giudice di legittimita' - investito, a norma dell'articolo 384 c.p.c., del potere di integrare e correggere la motivazione (manchevole o inesatta) della sentenza impugnata e' chiamato a valutare se la soluzione adottata dal Giudice del merito sia oggettivamente conforme alla legge, piuttosto che a sindacarne la motivazione, con la conseguenza che l'eventuale mancanza o erroneita' di questa deve ritenersi del tutto irrilevante, quando il Giudice del merito sia, comunque, pervenuto ad una esatta soluzione del problema giuridico sottoposto al suo esame (v. tra le altre Cass. n. 15764 del 2004 e n. 12753 del 1999).

Tanto premesso, e' da rilevare che nella specie l'appello deve ritenersi tempestivo in quanto rispettoso del termine lungo per impugnare, non essendo applicabile il termine breve in assenza di valida notifica della sentenza impugnata.

Giova in proposito evidenziare che dalla lettura degli atti, consentita a questo Giudice in relazione alla deduzione di error in procedendo, risulta infatti soltanto che la contribuente allego' all'istanza di sgravio il dispositivo della sentenza di primo grado, ma non risulta affatto che tale sentenza fu notificata integralmente e a mezzo di ufficiale giudiziario, come invece richiesto dalla univoca giurisprudenza di questo Giudice di legittimita', secondo la quale "nell'attuale disciplina del processo tributario, ai fini della decorrenza del termine breve per impugnare la sentenza della commissione tributaria, di cui al Decreto Legislativo 31 dicembre 1992, n. 546, articolo 51, comma 1, occorre procedere secondo lo schema prefigurato dal medesimo decreto, articolo 38, comma 2, ossia e' necessaria la notificazione della sentenza ad istanza di parte (e cioe', della parte personalmente o del suo procuratore in giudizio) a norma dell'articolo 137 c.p.c., e ss., vale a dire eseguita dall'ufficiale giudiziario, dovendosi evidenziare che la formulazione dell'articolo 38 comma 2, consente di escludere immediatamente la possibilita' di ricorrere, per la notificazione della sentenza, alle forme previste nel precedente articolo 16, commi 3 e 4, proprio perche' esse costituiscono eccezioni alla regola generale di cui allo stesso articolo, comma 2, riprodotta tal quale nell'articolo 38" (v. tra le altre Cass. n. 6166 del 2001 e n. 7306 del 2005).

Deve ritenersi altresi' tempestiva la costituzione dell'appellato.

In proposito, il collegio non ignora che con sentenza n. 20262 del 2004 questo Giudice di legittimita' ha avuto modo di affermare che il deposito, nella segreteria della commissione tributaria adita, del ricorso notificato per posta deve essere effettuato entro trenta giorni dalla spedizione postale del documento incorporante il ricorso, e non dalla sua ricezione da parte del destinatario, tuttavia questo orientamento, peraltro non consolidato, non appare in armonia con la considerazione (presupposta, benche' raramente esplicitata, dalla gran parte della giurisprudenza in materia di notificazioni), secondo il quale la notificazione nel sistema processuale, comunque effettuata (e percio' sia a mezzo del servizio postale che a mezzo dell'ufficiale giudiziario), si perfeziona sempre nel momento in cui l'atto da notificare e' ricevuto, essendo indiscutibile che quando nel processo si richiede, per la produzione di determinati effetti, la conoscenza di un atto da parte di uno o piu' soggetti, occorre, perche' gli effetti si producano, che la prevista conoscenza intervenga, e sia una conoscenza "effettiva" (non convenzionale), sia pure nella sua espressione "legale", ossia quella che si produce all'esito del procedimento del "notum facere", appositamente preordinato per "costituire" in tempi brevi (e comunque prevedibili) la suddetta conoscenza e la prova certa di essa, nonche' del momento in cui e' intervenuta.

Tanto premesso, e' da rilevare che il termine previsto per la costituzione del ricorrente nel procedimento de quo decorre, a norma del Decreto Legislativo n. 546 del 1992 articolo 22 dalla proposizione del ricorso; che, ai sensi del cit. Decreto Legislativo, articolo 20, il ricorso e' proposto mediante notifica; che, in caso di notifica a mezzo posta, "s'intende" proposto al momento della spedizione; infine che, a norma del cit. Decreto Legislativo articolo 16, u.c., le notificazioni a mezzo del servizio postale "si considerano" effettuate nella data di spedizione, ma i termini che (come quello previsto per la costituzione dell'appellante) hanno inizio dalla notificazione decorrono (pur sempre) dalla data in cui l'atto e' ricevuto (e non, come ritiene il ricorrente, dalla data in cui l'atto e' stato spedito).

Dalla lettura sistematica delle disposizioni sopra riportate, emerge che (evidentemente per evitare che eventuali disservizi postali ridondino a danno del notificante) si e' disposto, in virtu' di un'astrazione convenzionale, che la notificazione a mezzo del servizio postale "si considera effettuata" al momento della spedizione e non a quello del ricevimento.

Il tenore delle espressioni utilizzate dal legislatore non lascia infatti dubbi sul fatto che si tratti di una "fictio" avente una specifica funzione, come tale di carattere eccezionale, percio' non estensibile in via analogica e non invocabile laddove non si riscontri la funzione che ne ha determinato la genesi, posto che nell'articolo 16 citato non si afferma che la notificazione si perfeziona al momento della spedizione, bensi' che essa "si considera effettuata" in tale momento e nell'articolo 20 citato non si afferma che il ricorso e' proposto al momento della spedizione, bensi' che esso "s'intende proposto" in tale momento.

Pertanto, a meno di non voler determinare, senza una effettiva ragione, l'aggravamento del carico di astrazione gravante sul sistema, occorre interpretare le norme in esame nel senso che la "fictio" si estenda nell'ambito strettamente necessario all'assolvimento della funzione per cui e' sorta, e percio' nel senso che la notificazione a mezzo del servizio postale "si considera effettuata" al momento della spedizione con riguardo ai termini entro i quali il perfezionamento della notificazione stessa deve intervenire - nel qual caso un eventuale disservizio postale potrebbe comportare per il notificante una decadenza incolpevole, mentre i termini per i quali (come nella specie) il perfezionamento della notificazione (ivi compresa quella a mezzo del servizio postale) rappresenta il momento iniziale (e rispetto ai quali una notificazione che, in virtu' di una "fictio" convenzionale, si consideri effettuata in un momento anteriore a quello dell'effettivo ricevimento dell'atto rappresenterebbe invece una ingiustificata riduzione del termine previsto) decorrono dalla data in cui l'atto e' ricevuto, come peraltro espressamente disposto dal citato articolo 16, comma 5, con una previsione di portata generale, che nessuna espressa disposizione derogatoria autorizza a ritenere inapplicabile alle ipotesi di notificazione a mezzo del servizio postale.

Ne' in contrario rileva che il Decreto Legislativo n. 546 del 1992 articolo 22 comma 1, prevede modalita' di deposito (copia del ricorso e fotocopia della ricevuta di spedizione della raccomandata postale) apparentemente presupponenti solo la spedizione del ricorso, essendo evidentemente tali modalita' intese a favorire (salvo un eventuale, successivo riscontro della tempestivita' della costituzione) il deposito del ricorso subito dopo la spedizione del medesimo senza attendere il perfezionamento del procedimento di notificazione, atteso peraltro che, per un verso, la costituzione potrebbe ritenersi tempestiva anche senza attendere il suddetto perfezionamento tutte le volte in cui, gia' con riguardo alla spedizione, si riscontrasse il rispetto del termine previsto dal citato articolo 22, e che, per altro verso, in ogni caso il ricorrente dovrebbe sempre fornire la prova dell'effettivo perfezionamento della notificazione ai fini della verifica della corretta instaurazione del contraddittorio.

E' inoltre da escludersi che nella specie sia intervenuta acquiescenza, posto che, secondo la giurisprudenza di questo giudice di legittimita', l'acquiescenza alla sentenza, preclusiva dell'impugnazione a norma dell'articolo 329 c.p.c., sussiste qualora l'interessato abbia posto in essere atti dai quali sia possibile desumere, in maniera precisa e univoca, il proposito di non contrastare gli effetti giuridici della pronuncia, cioe' quando gli atti stessi siano assolutamente incompatibili con la volonta' di avvalersi dell'impugnazione, ipotesi che non puo' ritenersi sussistente quando la parte abbia, come nella specie, agito in ottemperanza ad una disposizione di legge - Decreto Legislativo n. 546 del 1992 articolo 68 comma 2, (v. in tal senso, tra le altre, Cass. n. 23379 del 2007 e n. 18187 del 2007).

Con riguardo al quinto motivo di ricorso, e' da rilevare che dalla lettura degli atti (consentita in relazione alla deduzione di error in procedendo) risulta che alla contribuente fu effettuata dalla segreteria della C.T.R. la comunicazione dell'avviso di trattazione in udienza.

Per quanto concerne la notificazione dell'appello, asseritamente effettuata non presso la sede della contribuente ma presso il difensore - senza che ivi fosse stato eletto domicilio, giova rilevare che, secondo la pacifica giurisprudenza di questo Giudice di legittimita', non comporta inesistenza, ma solo nullita' della notifica, la consegna dell'atto in luogo diverso e/ a persona diversa da quella stabilita dalla legge, ma che (come nella specie) abbia tuttavia qualche nesso o riferimento con il destinatario della notificazione; in simili ipotesi, quindi, la notificazione e' suscettibile di sanatoria mediante rinnovazione ai sensi dell'articolo 291 c.p.c., (v. tra le altre Cass. n. 11963 del 1995 e n. 6974 del 1995), adempimento nella specie non necessario, dal momento che l'appellata risulta essersi regolarmente costituita in appello esplicando le proprie difese e cosi' consentendo all'atto di raggiungere il proprio scopo (v. Cass. n. 5662 del 1997; n. 13094 del 1997; n. 13557 del 2001; n. 9892 del 2005).

Per quanto concerne la mancanza, nella copia dell'appello notificata al difensore, della dichiarazione di conformita' e della sottoscrizione autografa dell'estensore, giova innanzitutto rilevare che l'eventuale mancanza della attestazione di conformita' non comporta alcuna sanzione processuale, atteso che l'inammissibilita' prevista dal Decreto Legislativo n. 546 del 1992 articolo 22 comma 3, ultima parte, non discende dalla mancata attestazione di conformita' bensi' dalla sussistenza di una effettiva difformita' tra l'atto depositato e quello notificato (v. Cass. n. 17180 del 2004).

E' inoltre da aggiungere che, secondo la giurisprudenza di questo giudice di legittimita', il ricorso introduttivo del giudizio (tanto di primo grado quanto d'appello) dinanzi alle commissioni tributarie, nella disciplina del Decreto Legislativo n. 546 del 1992 ove direttamente proposto per mezzo del servizio postale o con consegna all'ufficio finanziario, e' inammissibile tutte le volte in cui manchi, nella copia depositata con la costituzione in giudizio, la sottoscrizione dell'autore dell'atto (e cioe' della parte ovvero del suo difensore), mentre non e' configurabile l'inammissibilita' dell'impugnazione nel caso di mancanza, nella copia notificata dell'atto, della sottoscrizione dell'autore, dovendo essa essere ritenuta presente "per relationem", attraverso il rinvio implicito all'originale depositato presso la segreteria della commissione, e ben potendo eventuali contestazioni essere risolte dal Giudice tributario mediante l'ordine di esibizione dell'originale del ricorso, ai sensi dell'articolo 22, comma 5, (v. cass. n. 4051 del 2001 e n. 6391 del 2006).

Con riguardo al settimo motivo, e' sufficiente rilevare che, secondo la giurisprudenza di questo Giudice di legittimita', il Decreto Legislativo n. 546 del 1992 articolo 58 comma 2, fa salva la facolta' delle parti di produrre in appello nuovi documenti indipendentemente dalla impossibilita' dell'interessato di produrli in prima istanza per causa a lui non imputabile, requisito, quest'ultimo, previsto dall'articolo 345 c.p.c., u.c., (come sostituito dalla Legge n. 535 del 1990, articolo 52), ma non dal citato articolo 58, con la conseguenza che costituisce erronea applicazione della norma in parola l'affermazione secondo cui la produzione documentale nel giudizio d'appello risulta illegittima ove non sia stata provata l'impossibilita' incolpevole di versarla agli atti del giudizio di primo grado (v. tra le altre Cass. n. 2027 del 2003, n. 16016 del 2005, n. 1545 del 2007).

La censura espressa nell'ottavo motivo, concernente il difetto di motivazione dell'avviso impugnato, e' inammissibile per difetto di autosufficienza, posto che, secondo la giurisprudenza di questo Giudice di legittimita', in base al principio di autosufficienza del ricorso per cassazione, sancito dall'articolo 366 c.p.c., qualora il ricorrente censuri la sentenza di una commissione tributaria regionale sotto il profilo della congruita' del giudizio espresso in ordine alla motivazione di un avviso di accertamento - il quale non e' atto processuale, bensi' amministrativo, la cui motivazione, comprensiva dei presupposti di fatto e delle ragioni giuridiche che lo giustificano, costituisce imprescindibile requisito di legittimita' dell'atto stesso, e' necessario, a pena di inammissibilita', che il ricorso riporti testualmente i passi della motivazione di detto atto che si assumono erroneamente interpretati (o pretermessi) dal Giudice di merito, al fine di consentire alla Corte di cassazione di esprimere il suo giudizio sulla suddetta congruita' esclusivamente in base al ricorso medesimo (v. tra le altre Cass. n. 15867 del 2004).

Con riguardo al nono motivo, e' da rilevare che, pur denunciando violazione di legge per aver i Giudici d'appello ritenuto la sussistenza dei presupposti presuntivi di cui al Decreto del Presidente della Repubblica n. 633 del 1972 articoli 51 e 54 nonche' articolo 2729 c.c., in realta' la ricorrente propone innanzitutto un vizio di motivazione e, formulando una censura generica e sfornita del requisito dell'autosufficienza, tende inammissibilmente ad ottenere da questo giudice di legittimita' una rinnovazione del giudizio in fatto operato dai Giudici di merito.

In particolare, la ricorrente afferma: che le presunzioni desunte dal verbale di accertamento non rivestono le caratteristiche di gravita', precisione e concordanza imposte dall'articolo 54 cit.; che dal verbale della G. di F. risulterebbe che la contribuente aveva documentato ogni voce della propria dichiarazione IVA; che con riguardo al riferimento della sentenza ad un controllo incrociato, l'atto impositivo risultava motivato con riguardo ad una doppia presunzione e ad una doppia relazione; infine che le "caratteristiche della cartiera" riferiti alla societa' Eu., non erano state contestate alla contribuente. Le predette affermazioni sono tuttavia sfornite di riscontro, non essendo stati riportati in ricorso, nel rispetto del principio di autosufficienza, i passi del verbale della G. di F. dai quali esse emergerebbero.

Con riguardo al decimo e all'undicesimo motivo (coi quali la ricorrente denunzi'a violazione dell'articolo 2697 c.c., deducendo che l'Amministrazione non avrebbe assolto all'onere probatorio su di essa gravante sia perche' non aveva prodotto il p.v.c. della G. di F., sia perche' dalle segnalazioni della G. di F. non sarebbero emersi elementi probatori certi e inconfutabili idonei a supportare la pretesa fiscale) e' innanzitutto da rilevare che nella specie, alla stregua di quanto sopra esposto, il p.v.c. risulta legittimamente prodotto in appello Decreto Legislativo n. 546 del 1992 ex articolo 58, e che pertanto di esso hanno correttamente tenuto conto i Giudici d'appello. E' inoltre da rilevare che, a differenza di quanto sembra suggerire la ricorrente, i suddetti Giudici non hanno sostenuto che nella specie l'onere probatorio in ordine alla pretesa fiscale non gravava sull'amministrazione, ma hanno affermato, valutando il materiale probatorio in atti, che l'amministrazione aveva assolto al proprio onere probatorio. Non esiste, pertanto, la denunciata violazione del principio dell'onere della prova, e con la censura in esame in realta' la ricorrente persegue ancora inammissibilmente l'intento di ottenere da questo giudice di legittimita' una rivalutazione del materiale probatorio, senza peraltro neppure formulare la censura sotto il profilo motivazionale e senza corredarla della specificita' e dell'autosufficienza indispensabili a farne ritenere l'ammissibilita'.

Il ricorso deve essere pertanto rigettato.

Le spese seguono la soccombenza.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimita' che liquida in euro 12.100,00, di cui euro 12.000,00 per onorari, oltre spese generali e accessori di legge.

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