Non sono consentite detrazioni dell’Iva per l’acquisto del carburante se la scheda non riporta la firma del gestore dell’impianto di distribuzione

Atteso che l'apposizione della firma sulla
scheda carburante da parte dell'esercente l'impianto di distribuzione, avendo una funzione di "convalida" del rifornimento, costituisce elemento essenziale senza del
quale la scheda non può assolvere alla finalità prevista dalla legge, non è possibile detrarre l’Iva in assenza della stessa. E' qaunto stabilito dalla Corte di Cassazione, sezione tributaria, con sentenza 19 ottobre 2007, n. 21941.



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Svolgimento del processo
La Cooperativa Euroservice impugnava dinanzi alla CTP di Torino l'avviso di rettifica emesso dal
competente Ufficio Iva in relazione alla dichiarazione Iva presentata nel 1996 per omessa
fatturazione di operazioni imponibili, indebita detrazione d'imposta, omessa registrazione di
operazioni imponibili ed irregolare tenuta della contabilità nonché per presentazione di
dichiarazione annuale Iva infedele.
L'adita CTP rigettava il ricorso e la sentenza veniva confermata dalla CTR del Piemonte la quale
riteneva legittima la rettifica parziale.
Avverso tale sentenza parte contribuente proponeva ricorso per cassazione sostenuto da sette
motivi di censura ancorché indicati nella numerazione del ricorso come otto, illustrati da
memoria.
Parte intimata si costituiva e resisteva al gravame.
Motivi della decisione
Premesso che nell'esame dei motivi di censura si segue la numerazione indicata nel ricorso
dove dopo il quarto motivo viene illustrato immediatamente il sesto e non vi è alcun motivo
contrassegnato sotto il numero cinque, osserva la Corte che con il primo motivo di censura
parte ricorrente deducendo "illegittimo utilizzo dello strumento della rettifica parziale cioè di
uno strumento non applicabile al caso qui in giudizio e illegittima della sentenza di secondo
grado per difetto di motivazione e per violazione e falsa applicazione dell'art. 54, comma 5,
DPR 633/73" afferma che è stato adottato illegittimamente lo strumento dell'accertamento
parziale avendo l'Ufficio sostanzialmente posto a base del suo accertamento un pvc redatto
dalla Guardia di Finanza al termine di un a verifica fiscale di carattere generale durata più di
cinque mesi e quindi sulla base di una compiuta indagine con conseguente "illegittimità della
sentenza impugnata che va cassata per difetto di motivazione nel punto in cui ha affermato
che l'Ufficio non ha effettuato alcuna attività istruttoria e per violazione falsa applicazione
dell'art. 84 DPR 633/72".
Il motivo è infondato.
Invero, come questa Suprema Corte ha già affermato, sia pure con riferimento all'art. 41-bis
del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600 (Cass. 11057/06), deve ritenersi, per la sovrapponibilità
della relativa previsione, che anche in tema di accertamento dell'imposta sul valore aggiunto,
l'utilizzazione dello strumento dell'accertamento parziale, ai sensi dell'art. 54, comma 5, del
DPR 633/72 è nella disponibilità degli uffici quando ad essi pervenga una segnalazione della
Guardia di finanza che fornisca elementi per ritenere la sussistenza di un reddito non
dichiarato, senza che tale strumento debba (neppure prima delle modificazioni apportate dalla
legge 30 dicembre 2004, n. 311) essere subordinato ad una particolare semplicità della
segnalazione pervenuta.
Peraltro la rilevanza nel presente giudizio del tipo di accertamento adottato, non incide sulla
validità dello stesso potendo semmai rilevare solo ed in quanto possa pregiudicare l'eventuale
ulteriore esercizio dell'attività accertatrice.
Con il secondo mezzo di gravame la società contribuente, denunciando nullità dell'atto
impositivo impugnato per difetto di motivazione, violazione e falsa applicazione dell'art. 56 DPR
633/72 e difetto di motivazione su un punto decisivo della controversia, rileva che il giudice del
merito ritenendo esaustiva la motivazione dell'atto impositivo non ha considerato che detto
atto pur fondandosi sul raffronto tra la documentazione contabile e le risposte ai questionari
inviate alle ditte clienti e fornitrici non conteneva dette risposte che non erano note ad essa
contribuente.
La censura è infondata.
Invero parte ricorrente muove dal presupposto pacifico che l'atto impositivo non contiene alcun
riferimento alle risposte ai questionari (di cui al n. 4 dell'art. 51 DPR 633/72), tuttavia tale
presupposto non può affatto considerarsi acquisito incontestabilmente agli atti del processo.
Anzi i giudici regionali rilevano che "esaminato l'atto così come formulato, l'Ufficio ha posto in
notifica i rilievi a fronte dei quali risultano emerse e contestate differenze derivanti da notizie
fornite a seguito di questionari legittimamente prodotti con le trascrizioni rilevate dai libri
obbligatori contabili". Inoltre dallo svolgimento del processo della sentenza impugnata si evince
che l'Ufficio "ha prodotto avvisi di rettifica con preciso riferimento non solo al verbale della GdF
ma anche agli allegati del pvc da cui si evince la violazione contestata". Tanto rende evidente
che non può affatto considerarsi pacifico rectius non contestato quanto assunto da parte
ricorrente. Il che porta a rilevare che esaurendosi sostanzialmente la censura nella insufficiente
valutazione dell'atto impositivo, avrebbe dovuto parte ricorrente, nel rispetto del principio di
autosufficienza del ricorso, riportare il testo di tale atto.
È infatti ius receptum nella giurisprudenza di questa Corte nel caso in cui, con il ricorso per
Cassazione, venga dedotta l'incongruità o l'illogicità della sentenza impugnata per l'asserita
mancata valutazione di risultanze processuali, è necessario, al fine di consentire al giudice di
legittimità il controllo della decisività della risultanza non valutata (o insufficientemente
valutata), che il ricorrente precisi, mediante integrale trascrizione della medesima nel ricorso,
la risultanza che egli asserisce decisiva e non valutata o insufficientemente valutata, dato che
solo tale specificazione consente alla Corte di Cassazione, alla quale è precluso l'esame diretto
degli atti, di delibare la decisività della medesima, dovendosi escludere che la precisazione
possa consistere in meri commenti, deduzioni o interpretazioni delle parti ( per tutte Cass.
14262/04).
Ed è, altresì, acquisito nella giurisprudenza di questa Corte che in base al principio di
autosufficienza del ricorso per cassazione, sancito dall'art. 366 cod. proc. civ., qualora il
ricorrente censuri la sentenza di una commissione tributaria regionale sotto il profilo della
congruità del giudizio espresso in ordine alla motivazione di un avviso di accertamento - il
quale non è atto processuale, bensì amministrativo, la cui motivazione, comprensiva dei
presupposti di fatto e delle ragioni giuridiche che lo giustificano, costituisce imprescindibile
requisito di legittimità dell'atto stesso -, è necessario, a pena di inammissibilità, che il ricorso
riporti testualmente i passi della motivazione di detto atto che si assumono erroneamente
interpretati o pretermessi dal giudice di merito, al fine di consentire alla Corte di cassazione di
esprimere il suo giudizio sulla suddetta congruità esclusivamente in base al ricorso medesimo
(Cass. 15867/04).
Con il terzo mezzo di gravame parte ricorrente deducendo "illegittimità della pretesa fiscale
perché sfornita di un supporto probatorio sufficiente, nella parte in cui si articola nella ripresa a
tassazione di elementi asseritamene non fatturati e/o non registrati, illegittimità della sentenza
impugnata per violazione e falsa applicazione degli artt. 54 DPR 633/72 e 2729 c.c.", assume
che le risposte ai questionari sono state fornite senza contraddittorio e quindi costituiscono
meri indizi e pertanto è sfornita di prova l'affermazione dell'Ufficio che essa ricorrente ha
emesso nel corso dell'anno in esame n. 7 fatture nei confronti di clienti diversi senza
provvedere alla loro registrazione sul prescritto registri Iva delle fatture emesse e nulla motiva
la sentenza impugnata circa le doglianze espresse in tema di mancato rispetto delle regole
dell'onere probatorio. Il mezzo è fondato.
Questa Suprema Corte, infatti, ha di recente ribadito che in tema di Iva, l'Ufficio, quando
ritiene che l'imposta dovuta sia superiore a quella dichiarata, procede a rettifica ai sensi
dell'art. 54, primo comma, del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, ed accerta tale presumibile
infedeltà sulla scorta dei dati indicati dal secondo comma della medesima disposizione,
acquisendoli nei modi previsti dagli artt. 51 e 52; in base alla somma delle risultanze, dei dati
e delle notizie acquisiti, è poi legittimo quantificare, ai fini della rettifica, le omissioni e le false
o inesatte indicazioni, tanto mediante presunzioni legali, previste dall'art. 53, quanto mediante
presunzioni semplici, ricavate da indizi dotati dei caratteri di gravità, precisione e concordanza;
queste ultime costituiscono esse stesse, senza necessità di altre prove, una fonte di
convincimento del giudice, il quale è pertanto tenuto ad accertare se gli elementi indiziari a
disposizione presentino i predetti caratteri, mediante un prudente apprezzamento,
insindacabile in sede di legittimità se adeguatamente motivato (Cass. 1575/07).
Ora nella specie il giudice del merito ritiene la fondatezza, in parte qua, della rettifica senza
accertare che gli elementi indiziari a disposizione, per accreditare la tesi della emissione di
"sette fatture attive" non annotate nel prescritto registro, abbiano carattere di gravità,
precisione e concordanza (art. 2729 c.c.).
Invero i fatti noti, costituiti dai risultati delle indagini e dai calcoli compiuti dalla polizia
tributaria e dalle risposte ai questionari di cui al n. 3 dell'art. 51 DPR 633/72, sono sì elementi
idonei a fondare una valida presunzione di maggiore imponibile, ma solo nei limiti in cui il
Giudice di merito li riconosca come indizi gravi, precisi e concordanti.
Con il quarto motivo di censura la società, denunciando "illegittimità della sentenza impugnata
per violazione e falsa applicazione dell'art. 26 DPR 633/72 in merito all'asserita indebita
detrazione di note di credito, prospetta l'illegittimità della sentenza impugnata laddove afferma
che l'insussistenza in contabilità della controparte delle note di credito emesse dalla ricorrente
non avrebbe consentito la loro detrazione, operando così una indebita equiparazione della
mancata registrazione delle note di credito da parte del cessionario con la mancanza di
emissione da parte del cedente, in aperta violazione e falsa applicazione dell'art. 26
denunciato.
La censura è infondata.
Difatti nella motivazione della sentenza impugnata l'asserita indebita detrazione delle note di
credito poggia non già sulla denunciata indebita equiparazione della mancata registrazione
delle note di credito da parte del cessionario con la mancanza di emissione da parte del
cedente, quanto piuttosto sul rilievo che "la risposta ai questionari concretizza la non ricezione
e quindi l'insussistenza in contabilità di controparte delle note di credito in questione". Si tratta
quindi non di una conseguenza derivata dai giudici regionali dal mancato rispetto di una
prescrizione di legge, bensì di un accertamento di fatto che come tale può essere censurato in
sede di legittimità sotto il profilo del difetto di motivazione che nella specie non è dedotto.
Con il sesto motivo parte ricorrente denunciando violazione e falsa applicazione dell'art. 3 DPR
444/97 in merito all'asserita indebita detrazione dell'imposta assolta sull'acquisto di carburante
per autotrazione, rileva che la mancanza di firma del gestore sulla schede di carburante, che
costituisce violazione di carattere meramente formale, non incidendo sulla verità dei costi in
questione non impedisce la detrazione dell'Iva relativa all'acquisto.
Il motivo è infondato.
Dispongono rispettivamente l'art. 2 e l'art. 3 del dpr 444/97, che disciplina gli acquisti di
carburante per autotrazione effettuati presso gli impianti stradali di distribuzione da parte di
soggetti all'imposta sul valore aggiunto, che:
Art. 2. caratteristiche della scheda carburante 1. Per ciascun veicolo a motore utilizzato
nell'esercizio dell'attività d'impresa, dell'arte e della professione, è istituita una scheda mensile
o trimestrale contenente, oltre agli estremi di individuazione del veicolo, la ditta, la
denominazione o ragione sociale, ovvero il cognome e il nome, il domicilio fiscale ed il numero
di partita Iva del soggetto d'imposta che acquista il carburante, nonché, per i soggetti
domiciliati all'estero, l'ubicazione della stabile organizzazione in Italia, nell'ipotesi di cui
all'articolo 17, secondo comma, del citato decreto del presidente della repubblica 26 ottobre
1972, n. 633, e successive modificazioni, la scheda contiene gli estremi di individuazione del
veicolo ed i dati identificativi del soggetto residente all'estero e del rappresentante residente
nel territorio dello stato 2.
I dati di cui al comma 1 possono essere indicati anche a mezzo di apposito timbro.
Art. 3. Adempimenti inerenti la scheda 1. L'addetto alla distribuzione di carburante indica nella
scheda di cui all'articolo 2 all'atto di ogni rifornimento, con firma di convalida, la data e
l'ammontare del corrispettivo al lordo dell'imposta sul valore aggiunto, nonché, anche a mezzo
di apposito timbro, la denominazione o la ragione sociale dell'esercente l'impianto di
distribuzione, ovvero il cognome e il nome se persona fisica, e l'ubicazione dell'impianto
stesso.
Alla stregua di tale formulazione è chiaro che la previsione dell'apposizione della firma sulla
scheda da parte l'esercente l'impianto di distribuzione avendo una funzione, definita dallo
stesso legislatore, di "convalida" del rifornimento costituisce elemento essenziale senza del
quale la scheda non può assolvere alla finalità prevista dalla legge. Devesi del resto
considerare che ai sensi del comma 2 dell'art. 1 del DPR in parola “le annotazioni di cui al
comma 1 sono sostitutive della fattura di cui al terzo comma dell'articolo 22 del decreto del
presidente della repubblica 26 ottobre 1972, n. 633”.
È corretta quindi in diritto la sentenza impugnata che ha ritenuto integrare la firma del gestore
dell'impianto di distribuzione elemento essenziale per la legittima detrazione dell'imposta di cui
alle schede di carburante.
Con il settimo motivo di ricorso la Cooperativa denunciando violazione e falsa applicazione
dell'art. 19 bis DPR 633/72 in merito all'asserita indetraibilità dell'imposta assolta sui servizi
relativi agli autoveicoli d'impresa, premesso che l'Ufficio afferma che la ricorrente ha
indebitamente detratto un'imposta paria lire 2.781.165 relativa a pedaggi autostradali,
riparazione e manutenzione autoveicoli ai sensi dell'art. 19 bis 1, comma 1, lettera e) DPR
633/72, argomenta che le spese contestate si riferiscono ad autoveicoli che costituiscono beni
oggetto dell'attività propria dell'impresa. In considerazione di ciò appare decisamente errata in
diritto la sentenza impugnata in quanto all'epoca dei fatti non era tata ancora emanata la
norma che ha introdotto l'art. 19 bis al DPR 633/72.
Il motivo è fondato.
Invero la CTR nel considerare esclusa dalla detrazione l'imposta relativa a pedaggi
autostradali, manutenzione e riparazione autoveicoli ha applicato il testo del D.P.R. n. 633 del
1972, art. 19 non nella versione vigente "ratione temporis", ma in quella poi modificata (di cui
all'art. 19 bis l) con D.Lgs. n. 337 del 1997, entrato in vigore il 1 gennaio 1998.
Con l'ottavo mezzo di gravame la società deducendo, "illegittimità dell'atto impugnato nella
parte in cui contesta l'omessa fatturazione di operazioni imponibili pari a lire 65.400.000 in
quanto sfornito di apparato probatorio e comunque infondato nel merito; omessa motivazione
su punto determinante della controversa; violazione e falsa applicazione dell'art. 7, comma 4,
DLgs 546/92" assume che l'atto impositivo in parte qua viene redatto assumendo come prova
dichiarazioni di natura testimoniale o confessoria e come tale è viziato in radice perché emesso
utilizzando nel processo fiscale prove non ammissibili ed è errata l'osservazione dei
verbalizzanti che considerano le prestazioni de quibus alla stregua di prestazioni effettuate in
nome e per conto e nonostante le anzidette considerazioni e argomentazioni, i giudici a quo
hanno omesso ogni motivazione affermando, tout court “si riconosce legittima la risposta ai
questionari”.
Il mezzo è infondato per motivo inammissibile.
La questione non è tratta in alcun modo nella sentenza impugnata, del resto lo riconosce lo
stesso ricorrente il quale tuttavia, in violazione del richiamato principio di autosufficienza del
ricorso,non indica in quale atto del giudizio di merito e con quali modalità ha dedotto la
questione.
Infatti secondo giurisprudenza consolidata di questa Suprema Corte qualora una determinata
questione giuridica - che implichi un accertamento di fatto - non risulti trattata in alcun modo
nella sentenza impugnata, il ricorrente che proponga la suddetta questione in sede di
legittimità, al fine di evitare una statuizione di inammissibilità, per novità della censura, ha
l'onere non solo di allegare l'avvenuta deduzione della questione dinanzi al giudice di merito,
ma anche, per il principio di autosufficienza del ricorso per Cassazione, di indicare in quale atto
del giudizio precedente lo abbia fatto, onde dar modo alla Corte di controllare "ex actis" la
veridicità di tale asserzione, prima di esaminare nel merito la questione stessa (Cass.
6542/04).
In conclusione il terzo e settimo motivo del ricorso vanno accolti, mentre gli altri vanno
rigettati ed in relazione ai motivi accolti la sentenza impugnata va cassata con rinvio, anche
per le spese del giudizio di legittimità, ad altra sezione della CTR del Piemonte.
PQM
La Corte accoglie il terzo e settimo motivo del ricorso, rigetta gli altri motivi, cassa, in relazione
ai motivi accolti, la sentenza impugnata e rinvia, anche per le spese del giudizio di legittimità,
ad altra sezione della CTR del Piemonte.

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