E' lecita l’installazione di un ascensore a servizio di una sola unità immobiliare (o di alcune) decisa da un solo condomino (o da un gruppo)

In tema di condominio, l'installazione di un ascensore, al fine dell'eliminazione delle barriere architettoniche, realizzata da un condomino su parte di un cortile e di un muro comuni, deve considerarsi indispensabile ai fini dell'accessibilita' dell'edificio e della reale abitabilita' dell'appartamento, e rientra, pertanto, nei poteri spettanti ai singoli condomini ai sensi dell'articolo 1102 c.c., senza che, ove siano rispettati i limiti di uso delle cose comuni stabiliti da tale norma, rilevi, la disciplina dettata dall'articolo 907 c.c., sulla distanza delle costruzioni dalle vedute, neppure per effetto del richiamo ad essa operato nella Legge 9 gennaio 1989, n. 13, articolo 3, comma 2, non trovando detta disposizione applicazione in ambito condominiale" (Cass. n. 14096 del 2012).

Corte di Cassazione, Sezione 2 civile, Sentenza 16 maggio 2014, n. 10852



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REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PICCIALLI Luigi - Presidente

Dott. MIGLIUCCI Emilio - Consigliere

Dott. PETITTI Stefano - rel. Consigliere

Dott. CARRATO Aldo - Consigliere

Dott. FALASCHI Milena - Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso proposto da:

(OMISSIS) ((OMISSIS)), rappresentata e difesa, per procura speciale a margine del ricorso, dall'Avvocato (OMISSIS), elettivamente domiciliata in (OMISSIS), presso lo studio dell'Avvocato (OMISSIS);

- ricorrente -

e

(OMISSIS); (OMISSIS);

- intimati -

per la cassazione della sentenza della Corte d'appello di Messina n. 312 del 2007, depositata in data 1 giugno 2007;

Udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 12 dicembre 2013 dal Consigliere relatore Dott. Stefano Petitti;

udito l'Avvocato (OMISSIS);

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. CERONI Francesca, che ha chiesto la dichiarazione di inammissibilita' o, in subordine, il rigetto del ricorso.

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con citazione notificata il 13 maggio 1998, (OMISSIS), premesso che era proprietaria di una unita' immobiliare in un edificio sito in (OMISSIS); che (OMISSIS), proprietario di un'altra unita' immobiliare del medesimo edificio, aveva installato un ascensore esterno a servizio della propria unita' immobiliare; che il (OMISSIS) ed altra condomina, (OMISSIS), avevano mutato la destinazione d'uso delle proprie unita' immobiliari da, rispettivamente, albergo e abitazione, a comunita' terapeutica assistita; che le modifiche attuate avevano determinato immissioni nocive ed erano illegittime trattandosi di innovazioni non debitamente autorizzate dall'assemblea condominiale, che determinavano un uso illegittimo delle parti comuni dell'edificio, ne alteravano il decoro architettonico e pregiudicavano la proprieta' di essa attrice; tanto premesso, la (OMISSIS) conveniva in giudizio, dinnanzi al Tribunale di Barcellona Pozzo di Gotto, il (OMISSIS) e la (OMISSIS) chiedendo che fossero condannati ad eliminare le opere e le innovazioni illegittimamente realizzate e al risarcimento dei danni.

Si costituivano entrambi i convenuti, contestando le domande e chiedendone il rigetto.

L'adito Tribunale, istruita la causa a mezzo c.t.u., con sentenza depositata il 13 maggio 2004, rigettava le domande, ritenendo legittime le opere e le modifiche attuate dai convenuti.

Avverso questa sentenza (OMISSIS) proponeva gravame; nella resistenza degli appellati, la Corte d'appello di Messina, con sentenza depositata in data 1 giugno 2007, rigettava l'appello.

Quanto al primo e al secondo motivo di gravame (erronea valutazione delle risultanze obiettive della c.t.u., a prescindere dalla non condivisione di alcune valutazioni espresse dall'ausiliario; non corretta qualificazione giuridica della domanda, travisamento dei fatti ed erronea interpretazione delle norme di legge applicabili al caso), la Corte distrettuale rilevava che l'appellante si era limitata a richiamare il riconoscimento, da parte del c.t.u., della sussistenza oggettiva delle opere e delle modifiche denunziate con l'atto di citazione, senza tuttavia opporre conducenti argomentazioni contrarie a quelle contenute nella sentenza impugnata, tutte orientate nel senso della legittimita' delle opere e delle modificazioni attuate dagli appellati.

La Corte d'appello ricordava, quindi, che il Tribunale aveva rilevato, con approfondita motivazione: che la installazione dell'ascensore esterno all'edificio, in quanto eseguita a spese esclusive del condomino (OMISSIS), non richiedeva, ai sensi degli articoli 1120 e 1121 c.c., autorizzazione del Condominio, rientrando nella previsione di cui all'articolo 1102 c.c.; che la detta innovazione doveva essere considerata legittima in quanto insisteva su parte comune dell'edificio, non incideva sull'uso degli altri condomini su tale parte comune, non pregiudicava la stabilita' dell'edificio, comportava una modifica legittima del muro perimetrale, senza alterare negativamente il decoro architettonico dell'edificio; che nella specie era applicabile la Legge n. 13 del 1989, articolo 3, prevedente deroga all'obbligo del rispetto delle distanze dalle vedute; che il mutamento di destinazione delle unita' immobiliari dei convenuti non era vietato dal regolamento condominiale; che non sussistevano immissioni illegittime. E tali motivazioni, ad avviso della Corte d'appello, non avevano formato oggetto di specifiche censure ai sensi dell'articolo 342 c.p.c..

Quanto al terzo motivo, concernente la condanna dell'appellante alle spese, la Corte d'appello riteneva sussistenti giusti motivi per compensare per meta' tra le parti sia le spese del primo grado che quelle del grado di appello.

Per la cassazione di questa sentenza ha proposto ricorso (OMISSIS) sulla base di tre motivi.

Gli intimati non hanno svolto difese.

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo la ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione dell'articolo 132 c.p.c., n. 4, in relazione all'articolo 360 c.p.c., n. 5, evidenziando il difetto di motivazione della sentenza impugnata.

In particolare, la Corte d'appello, ad avviso della ricorrente, si sarebbe limitata a fare propria la motivazione della sentenza di primo grado, cosi omettendo di rispondere adeguatamente alle censure proposte. Con il primo motivo, infatti, si era fatto rilevare al giudice del gravame che l'installazione dell'ascensore e le opere relative costituivano innovazioni, in quanto non previste nei progetti originari dell'immobile; che i convenuti non avevano rispettato le distanze legali dalle vedute dei balconi sui prospetti nord ed est di essa ricorrente, con conseguente violazione della privacy; che il fabbricato aveva subito un radicale cambiamento nella sua struttura e nella sua destinazione d'uso; che le denunciate immissioni di esalazioni nocive ed inquinanti costituivano molestia e turbativa, come i rumori provenienti da quella parte dell'edificio, destinata dai convenuti a CTA prima, e a ricovero per anziani poi; che l'uso dell'ascensore da parte dei fruitori aveva determinato una perdita del valore commerciale della sua unita' immobiliare. Con il secondo motivo, poi, essa ricorrente aveva evidenziato il comportamento illegittimo e arbitrario degli appellati, risultando chiaramente dagli atti di causa che tutte le opere e le modificazioni erano state poste in essere esclusivamente a vantaggio delle unita' immobiliari degli appellati e in suo danno. Non risponde quindi al vero che le censure svolte nell'atto di appello non fossero specifiche; sicche' la sentenza impugnata, motivata sostanzialmente per relationem a quella di primo grado, risulta viziata, non rinvenendosi nella motivazione elementi tali da indurre a ritenere che il giudice del gravame abbia esaminato e valutato i motivi di impugnazione.

2. Con il secondo motivo la ricorrente denuncia "violazione e falsa applicazione dell'articolo 1102 c.c.; violazione degli articoli 1121, 1122 e 1120 c.c.; mancata applicazione della norma, motivazione omessa: articolo 360 c.p.c., nn. 3 e 5; erronea valutazione delle risultanze processuali: violazione dell'articolo 116 c.p.c., in relazione all'articolo 360 c.p.c., nn. 3 e 5; motivazione omessa, comunque non idonea e contraddittoria circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio".

La ricorrente ricorda che con l'atto di appello aveva censurato la sentenza di primo grado perche' non aveva apprezzato nella oggettivita' risultante dagli accertamenti del c.t.u. la illegittimita' della installazione dell'ascensore, vera e propria innovazione vietata e non giustificata neanche dalla legge sull'abbattimento delle barriere architettoniche.

Ad avviso della ricorrente, l'intervento in questione non poteva in alcun modo essere ricondotto nell'ambito di applicazione dell'articolo 1102 c.c., atteso che era risultata alterata la destinazione della cosa comune e ne era stato impedito agli altri condomini, e segnatamente ad essa ricorrente, di farne parimenti uso. Del resto, il c.t.u. aveva qualificato l'installazione dell'ascensore come innovazione, in quanto non prevista dai progetti originari; aveva accertato che erano state violate le norme in tema di distanze legali dalle vedute dei balconi ; che era risultato occupato uno spazio comune, sottratto alla utilizzazione degli altri condomini quale area di parcheggio; che la detta installazione aveva consentito il mutamento di destinazione delle unita' immobiliari dei convenuti, dalle quali provenivano immissioni dannose proprio in considerazione della utilizzazione dell'ascensore consentita ai fruitori della struttura a qualsiasi ora.

In tale contesto, sostiene la ricorrente, la Corte d'appello non avrebbe potuto condividere le motivazioni del Tribunale, essendo evidente che le modificazioni apportate dagli intimati avevano implicato alterazioni della consistenza e della destinazione della cosa comune, pregiudicando i diritti di uso e di godimento degli altri condomini, e che quindi le stesse integravano una innovazione vietata ai sensi dell'articolo 1120 c.c.. Ed ancora, erronea si rivelava la motivazione della sentenza impugnata quanto al mancato riconoscimento, nella descritta situazione di fatto, di ulteriori elementi di illegittimita': a) l'occupazione dello spazio comune del condominio ad opera dell'ascensore, che aveva altresi' impedito la utilizzabilita' dei detti spazi e di quelli circostanti come parcheggio; b) la installazione dell'ascensore aveva certamente alterato il profilo architettonico dell'edificio cosi come il mutamento di destinazione era avvenuto illegittimamente; in proposito, la ricorrente si duole del fatto che la Corte d'appello avrebbe omesso ogni motivazione sulle ragioni per cui gli interventi complessivamente posti in essere, ivi compreso il mutamento di destinazione, non sarebbero stati illegittimi; e cio' tanto piu' in quanto dalla installazione dell'ascensore e dalle altre innovazioni non era derivata alcuna utilita' per gli altri condomini; c) la installazione dell'ascensore aveva determinato la costituzione di servitu' a carico dell'appartamento di sua proprieta'.

A conclusione del motivo la ricorrente formula il seguente quesito di diritto: "Se l'ascensore, installato all'esterno di un edificio preesistente, sia pure a spese di un singolo partecipante alla comunione, che serva soltanto le unita' immobiliari di questi e non consente il "pari uso" agli altri condomini; che muti o radicalmente trasformi la destinazione originaria dell'edificio; che ne alteri il decoro architettonico; che occupi suolo comune destinato a parcheggio, a tal fine rendendolo inservibile; che non rispetti le distanze legali dalle vedute come progettate originariamente e come esistenti, e che crei abusive servitu', ed immissioni moleste, in danno di unita' immobiliari di altri condomini; costituisca fattispecie inquadrabile nella previsione dell'articolo 1102 c.c. o non costituisca, piuttosto, innovazione vietata ai sensi dell'articolo 1120 c.c., comma 2".

3. Con il terzo motivo la ricorrente lamenta "erronea interpretazione della Legge 9 gennaio 1989, n. 13; falsa applicazione dell'articolo 3, e delle altre norme riferentisi alle opere per il superamento delle barriere architettoniche nei complessi condominiali privati; mancata applicazione dell'articolo 907 c.c., in relazione all'articolo 360 c.p.c., nn. 3 e 5; insufficiente e contraddittoria, quando non omessa, motivazione circa fatti controversi e decisivi per il giudizio".

Ad avviso della ricorrente, la Corte d'appello avrebbe errato nel ritenere applicabile, nel caso di specie, la Legge n. 13 del 1989, articolo 3, trattandosi di convincimento contrastante con quanto affermato dal c.t.u., il quale aveva rilevato che la installazione della piattaforma era stata realizzata a distanza inferiore a quella minima consentita dalle norme del codice civile nel caso di esercizio di vedute. Inoltre, non poteva esservi dubbio sul fatto che non esisteva alcuna deliberazione assembleare sul punto della installazione dell'ascensore; circostanza, questa, erroneamente non apprezzata dalla Corte d'appello che, come il Tribunale, la ha ritenuta del tutto irrilevante. Ed ancora, la Legge n. 13 del 1989, articolo 3, opera con riferimento alla costruzione o ristrutturazione di interi edifici, mentre nel caso di specie si era in presenza di una innovazione apportata nell'interesse esclusivo di un condomino, rispetto alla quale non poteva contestarsi l'applicabilita' dell'articolo 907 c.c..

A conclusione del motivo la ricorrente formula il seguente quesito di diritto: "a) Se l'installazione, ai fini dell'abbattimento delle barriere architettoniche, di un ascensore esterno ad un edificio preesistente, possa essere inquadrata nella previsione della Legge 9 gennaio 1989, n. 13, articolo 3, o non piuttosto nella ipotesi di cui all'articolo 2, della predetta legge; b) Se la Legge 9 gennaio 1989, n. 13, articolo 2, comma 3, prevede che, pur quando l'assemblea condominiale abbia autorizzato le innovazioni da attuare negli edifici privati dirette ad eliminare le barriere architettoniche, debba restare fermo quanto disposto dall'articolo 1120, comma 2".

4. Il ricorso, i cui motivi possono essere esaminati congiuntamente, e' infondato.

Escluso che sussista la denunciata carenza assoluta di motivazione, posto che dalla sentenza impugnata si evincono le ragioni poste a fondamento della decisione, deve rilevarsi che in tema di installazione di un ascensore nell'ambito di edificio condominiale, questa Corte ha avuto di recente occasione di affermare che "in tema di condominio, l'installazione di un ascensore, al fine dell'eliminazione delle barriere architettoniche, realizzata da un condomino su parte di un cortile e di un muro comuni, deve considerarsi indispensabile ai fini dell'accessibilita' dell'edificio e della reale abitabilita' dell'appartamento, e rientra, pertanto, nei poteri spettanti ai singoli condomini ai sensi dell'articolo 1102 c.c., senza che, ove siano rispettati i limiti di uso delle cose comuni stabiliti da tale norma, rilevi, la disciplina dettata dall'articolo 907 c.c., sulla distanza delle costruzioni dalle vedute, neppure per effetto del richiamo ad essa operato nella Legge 9 gennaio 1989, n. 13, articolo 3, comma 2, non trovando detta disposizione applicazione in ambito condominiale" (Cass. n. 14096 del 2012).

In applicazione di tale principio, nella citata occasione questa Corte ebbe a cassare la sentenza impugnata che aveva ritenuto comunque operanti le norme sulle distanze. In motivazione si e' chiarito che nella valutazione del legislatore, quale si desume dall'articolo 1 della legge n. 13 del 1989 (operante a prescindere dalla effettiva utilizzazione degli edifici considerati da parte di persone portatrici di handicap: Corte cost. n. 167 del 1999), l'installazione dell'ascensore o di altri congegni, con le caratteristiche richieste dalla normativa tecnica, idonei ad assicurare l'accessibilita', l'adattabilita' e la visitabilita' degli edifici, costituisce elemento che deve essere necessariamente previsto dai progetti relativi alla costruzione di nuovi edifici, ovvero alla ristrutturazione di interi edifici, ivi compresi quelli di edilizia residenziale pubblica, sovvenzionata ed agevolata, presentati dopo sei mesi dall'entrata in vigore della legge. Da tale indicazione si desume agevolmente che, nella valutazione del legislatore, l'ascensore o i congegni similari (ma negli edifici con piu' di tre livelli fuori terra, solo l'ascensore) costituiscono dotazione imprescindibile per l'approvazione dei relativi progetti edilizi; in altri termini, l'esistenza dell'ascensore puo' senz'altro definirsi funzionale ad assicurare la vivibilita' dell'appartamento, sia cioe' assimilabile, quanto ai principi volti a garantirne la installazione, agli impianti di luce, acqua, riscaldamento e similari. Vero e' che tale qualificazione e' dal legislatore imposta per i nuovi edifici o per la ristrutturazione di interi edifici, mentre per gli edifici privati esistenti valgono le disposizioni di cui alla Legge n. 13 del 1989, articolo 2; tuttavia, la assolutezza della previsione di cui all'articolo 1 non puo' non costituire un criterio di interpretazione anche per la soluzione dei potenziali conflitti che dovessero verificarsi con riferimento alla necessita' di adattamento degli edifici esistenti alle prescrizioni dell'articolo 2.

In questo senso - si e' ulteriormente precisato - non vi e' ragione per escludere, in via di principio, l'operativita', anche riguardo all'ascensore, del principio secondo cui negli edifici condominiali l'utilizzazione delle parti comuni con impianto a servizio esclusivo di un appartamento esige non solo il rispetto delle regole dettate dall'articolo 1102 c.c., comportanti il divieto di alterare la destinazione della cosa comune e di impedire agli altri partecipanti di farne parimenti uso secondo il loro diritto, ma anche l'osservanza delle norme del codice in tema di distanze, onde evitare la violazione del diritto degli altri condomini sulle porzioni immobiliari di loro esclusiva proprieta'.

Tale disciplina, tuttavia, non opera nell'ipotesi dell'installazione di impianti che devono considerarsi indispensabili ai fini di una reale abitabilita' dell'appartamento, intesa nel senso di una condizione abitativa che rispetti l'evoluzione delle esigenze generali dei cittadini e lo sviluppo delle moderne concezioni in tema di igiene, salvo l'apprestamento di accorgimenti idonei ad evitare danni alle unita' immobiliari altrui (Cass. n. 7752 del 1995; Cass. n. 6885 del 1991; Cass. n. 11695 del 1990).

In questo contesto risulta del tutto priva di rilievo la deduzione della ricorrente, secondo cui la installazione dell'ascensore non poteva essere qualificata come uso piu' intenso della cosa comune, integrando anzi una innovazione, per non essere stata prevista nei progetti originari di costruzione dell'edificio e per non essere stata preceduta da apposita delibera assembleare.

Appare quindi evidente che la decisione impugnata, nella parte in cui ha ricondotto nell'ambito di applicazione dell'articolo 1102 c.c., la questione della installazione, da parte di un condomino e a proprie spese, di un ascensore esterno, si sia attenuta all'indicato principio di diritto e sia dunque immune dalle censure di violazione di legge formulate dalla ricorrente.

4.1. Ne' puo' ritenersi che la installazione dell'impianto trovasse ostacolo nella applicazione delle norme sulle distanze di cui all'articolo 907 c.c., pure invocata, segnatamente nel terzo motivo, dalla ricorrente.

Nella giurisprudenza di questa Corte (vedi, da ultimo, Cass. n. 14096 del 2012, cit. ; Cass. n. 6546 del 2010) si e' infatti affermato il principio per cui le norme sulle distanze sono applicabili anche tra i condomini di un edificio condominiale, purche' siano compatibili con la disciplina particolare relativa alle cose comuni, cioe' quando l'applicazione di quest'ultima non sia in contrasto con le prime; nell'ipotesi di contrasto, la prevalenza della norma speciale in materia di condominio determina l'inapplicabilita' della disciplina generale sulle distanze che, nel condominio degli edifici e nei rapporti tra singolo condomino e condominio, e' in rapporto di subordinazione rispetto alla prima. Pertanto, ove il giudice constati il rispetto dei limiti di cui all'articolo 1102 c.c., deve ritenersi legittima l'opera realizzata anche senza il rispetto delle norme dettate per regolare i rapporti tra proprieta' contigue, sempre che venga rispettata la struttura dell'edificio condominiale. (Nella specie, la S.C. ha cassato la sentenza di merito che aveva ritenuto applicabili alla costruzione di un balcone le norme in tema di vedute e non anche quella dell'articolo 1102 c.c.).

La Corte d'appello ha quindi correttamente escluso, nel caso di specie, la violazione dell'articolo 907 c.c., avendo ritenuto accertato che il manufatto realizzato dagli intimati su cose comuni avesse rispettato i limiti posti dall'articolo 1102 c.c., all'uso della cosa comune. Cio' tanto piu' in quanto dalla stessa sentenza impugnata emerge che il giudice di primo grado, recependo l'accertamento svolto dal consulente tecnico d'ufficio, aveva concluso nel senso della insussistenza del pregiudizio per l'utilizzazione della cosa comune (area esterna all'edificio sulla quale e' stato realizzato l'impianto).

Ne' puo' ritenersi che la disciplina di cui all'articolo 907 c.c., potesse operare per effetto del richiamo ad essa contenuto nell'articolo 3, comma 2, della legge n. 13 del 1989. In proposito, deve rilevarsi che l'articolo 3 citato dispone, al comma 1, che le opere di cui all'articolo 2 possono essere realizzate in deroga alle norme sulle distanze previste dai regolamenti edilizi, anche per i cortili e le chiostrine interni ai fabbricati o comuni o di uso comune a piu' fabbricati e, al comma 2, che e' fatto salvo l'obbligo di rispetto delle distanze di cui agli articoli 873 e 907 c.c., nell'ipotesi in cui tra le opere da realizzare e i fabbricati alieni non sia interposto alcuno spazio o alcuna area di proprieta' o di uso comune. Nel suo complesso, tale disposizione non puo' ritenersi applicabile all'ipotesi in cui venga in rilievo, non un fabbricato distinto da quello comune, ma una unita' immobiliare ubicata nell'edificio comune. In sostanza, il richiamo contenuto nell'articolo 3, comma 2, ai "fabbricati alieni" impone di escludere che la disposizione stessa possa trovare applicazione in ambito condominiale.

Difetta, dunque, nel caso di specie, il presupposto di fatto per l'operativita' della richiamata disposizione di cui all'articolo 907 cod. civ., e cioe' l'altruita' del fabbricato dal quale si esercita la veduta che si intende tutelare.

4.3. Ed ancora, deve rilevarsi che, secondo quanto riferito dalla sentenza impugnata, il consulente tecnico d'ufficio aveva positivamente escluso la lesione del decoro architettonico, svolgendo argomentate osservazioni in proposito.

4.4. Le deduzioni della ricorrente con le quali si mira a contrastare la valutazione, in fatto, della riconducibilita' dell'intervento operato dagli intimati nell'ambito di applicazione dell'articolo 1102 c.c., e non gia' in quello dell'articolo 1120 c.c., appaiono insuscettibili di accoglimento, risolvendosi le stesse in una sostanziale richiesta di nuovo apprezzamento di circostanze di fatto gia' adeguatamente considerate e valutate dal giudice di merito (nel caso di specie, da entrambi i giudici di merito).

In proposito, deve ricordarsi che l'obbligo di motivazione del giudice e' ottemperato mediante l'indicazione delle ragioni della sua decisione, ossia del ragionamento da lui svolto con riferimento a ciascuna delle domande o eccezioni (nel giudizio di primo grado) o a ciascuno dei motivi d'impugnazione (nei giudizi d'impugnazione), mentre non e' necessario che egli confuti espressamente - pur dovendoli prendere in considerazione - tutti gli argomenti portati dalla parte interessata a sostegno delle proprie domande, eccezioni o motivi disattesi e cioe' anche gli argomenti assorbiti o incompatibili con le ragioni espressamente indicate dal giudice stesso (Cass. n. 12123 del 2013).

D'altra parte, la stessa formulazione dei quesiti di diritto prospettati dalla ricorrente a conclusione del secondo e del terzo motivo, postula l'accertamento di circostanze di fatto che invece la Corte d'appello, e prima il Tribunale, hanno invece escluso (significativi sono sia il riferimento alla lesione del decoro architettonico, che la stessa ricorrente riferisce essere stata esclusa dal c.t.u., sia il riferimento alla perdurante possibilita' di utilizzo dell'area parzialmente occupata dall'impianto, che i giudici di merito hanno affermato essere rimasta parimenti garantita alla ricorrente), mentre l'eventuale mutamento di destinazione delle unita' immobiliari dei resistenti (peraltro nella sentenza d'appello si riferisce - senza che sul punto la ricorrente abbia svolto deduzioni in senso contrario - che la (OMISSIS) ha precisato di avere successivamente destinato nuovamente la propria unita' immobiliare a civile abitazione) e' stato ritenuto dalla Corte d'appello irrilevante in considerazione del fatto che non era vietato dal regolamento di condominio. Altrettanto e' a dirsi quanto alle distanze legali, che la ricorrente nella formulazione dei quesiti ritiene violate, laddove la Corte d'appello ha escluso l'applicazione della relativa normativa, in forza di quanto disposto dalla Legge n. 13 del 1989.

5. In conclusione, il ricorso e' infondato e va quindi rigettato.

Non vi e' luogo a provvedere sulle spese del presente giudizio, non avendo gli intimati svolto attivita' difensiva.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso.

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