I lavori edilizi su parti comuni che riguardino opere non connesse all'uso normale della cosa comune, possono essere eseguiti soltanto con il previo assenso di tutti i condomini

In un condominio, i lavori edilizi da eseguirsi su parti comuni del fabbricato, qualora riguardino opere non connesse all'uso normale della cosa comune, possono essere eseguiti soltanto con il previo assenso di tutti i condomini. È pertanto illegittima per difetto di istruttoria e motivazione una concessione edilizia di simili opere rilasciata su richiesta soltanto di alcuni comproprietari, poiché l'amministrazione non ha verificato l'effettiva corrispondenza tra la richiesta di concessione e la titolarità del prescritto diritto di godimento. (Consiglio di Stato Sezione 4, Sentenza 11.04.2007, n. 1654)



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REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale

(Sezione Quarta)

ha pronunciato la seguente

DECISIONE

sul ricorso in appello n. 5750 del 2006, proposto da

Nu.Ma., rappresentato e difeso dall'avv.to Ma.P.Ch. ed elettivamente domiciliato presso lo studio dell'avv. Gu.Al., in Ro., piazza Be.Ca., (...);

contro

Ce.Fr. e Pe.Im., costituitisi in giudizio, rappresentati e difesi dagli avv.ti Se.Do. e Ro.Zu. ed elettivamente domiciliati presso lo studio della prima, in Ro., via Pa., (...);

e nei confronti di

Comune di Mo.Te., in persona del Sindaco p.t., costituitosi in giudizio, rappresentato e difeso dall'avv.to Ma.Gi. ed elettivamente domiciliato presso lo studio Gr. s.r.l., in Ro., lungotevere Fl., (...), Palazzo (...), Scala B;

per l'annullamento

della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Toscana 24 gennaio 2006, n. 172.

Visto il ricorso, con i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio della parte privata appellata e del Comune di Mo.Te.;

Viste le memorie prodotte dalle parti a sostegno delle rispettive domande e difese;

Vista l'Ordinanza n. 4784/2006, pronunciata nella Camera di Consiglio del giorno 26 settembre 2006, di accoglimento della domanda di sospensione dell'esecuzione della sentenza appellata;

Visti gli atti tutti della causa;

Relatore, alla pubblica udienza del 20 febbraio 2007, il Consigliere Salvatore Cacace;

Uditi, alla stessa udienza, l'avv. Gi.Co., in sostituzione dell'avv. Ma.P.Ch., per l'appellante, l'avv. An.Cl., in sostituzione dell'avv. Se.Do., per gli appellati e l'avv. Ma.Vi., in sostituzione dell'avv. Ma.Gi., per il Comune;

Ritenuto in fatto e considerato in diritto quanto segue:

FATTO

1. - E' oggetto di impugnazione la sentenza indicata in epigrafe, con la quale è stata annullata la concessione edilizia n. 2003/0388 del 26 marzo 2004, rilasciata dal Comune di Mo.Te. all'odierno appellante per l'esecuzione di "lavori di ristrutturazione unità immobiliare, costruzione locale tecnico, costruzione autorimessa e costruzione piscina scoperta in Mo.Te. via Pi.Ca. n. (...) Mapp. N. (...) - (...) del Foglio n. (...) ".

2. - La pronunzia appellata, disattesa l'eccezione pregiudiziale di tardività dell'impugnazione sollevata dal controinteressato odierno appellante, ha condiviso due delle censure con la stessa dedotte: la prima, con la quale si sostiene l'illegittimità del titolo abilitativo de quo, che, in quanto almeno parzialmente riguardante opere da eseguirsi su parti comuni ex art. 1117 c.c. non connesse all'uso normale della cosa comune, abbisognava del previo assenso dei comproprietarii ricorrenti; la seconda, con la quale si contesta che il nuovo vano tecnico previsto dall'intervento edilizio in questione possa essere ricondotto alla categoria dei "volumi tecnici", in una zona nella quale sarebbero consentite ristrutturazioni solo nel rispetto delle preesistenti volumetrie.

3. - L'appello è affidato a tre censure, con le quali, rispettivamente, si ripropone l'eccezione di irricevibilità del ricorso originario disattesa dal Giudice di primo grado e si confutano poi i rilievi di illegittimità del provvedimento oggetto del giudizio condivisi dal T.A.R.

4. - La parte privata appellata si è costituita con memoria depositata in data 11 luglio 2006, contestando, anche con successive memorie, tutte le argomentazioni del ricorso in appello e riproponendo il motivo di censura, riguardante la violazione e/o falsa applicazione degli artt. 21 e 19 delle N.T.A. del P.R.G., rimasto assorbito dalla pronuncia impugnata.

5. - Il Comune di Mo.Te. si è costituito in data 7 agosto 2006, per aderire all'appello.

Con successivi scritti difensivi lo stesso Comune ha esplicitato le ragioni della palese fondatezza, a suo dire, dell'appello proposto.

Anche l'appellante, con ulteriori memorie, ha fornito ulteriori precisazioni e deduzioni a sostegno delle sue tesi.

6. - Con Ordinanza n. 4784/2006, pronunciata nella Camera di Consiglio del giorno 26 settembre 2006, è stata accolta la domanda di sospensione dell'esecuzione della sentenza appellata.

7. - La causa è stata chiamata e trattenuta in decisione alla udienza pubblica del 20 febbraio 2007.

DIRITTO

1. - Oggetto del giudizio è la concessione edilizia n. 2003/0388 del 26 marzo 2004, rilasciata dal Comune di Mo.Te. all'odierno appellante per l'esecuzione di "lavori di ristrutturazione unità immobiliare, costruzione locale tecnico, costruzione autorimessa e costruzione piscina scoperta in Mo.Te. via Pi.Ca. n. (...) Mapp. N. (...) - (...) del Foglio n. (...) ".

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Toscana, III Sezione, ha, con la sentenza indicata in epigrafe, accolto il ricorso avverso la stessa proposto dai privati odierni appellati, proprietarii di una porzione di fabbricato sito in Mo.Te., località Mo.Al., articolato su due livelli e precisamente di quella posta al piano parzialmente interrato con accesso dalla parete posta a sud dell'abitazione, mentre l'unità immobiliare sita al piano rialzato con accesso dalla corte antistante (attigua ai terreni appartenenti ai menzionati ricorrenti) risulta di proprietà del controinteressato odierno appellante, beneficiario dell'anzidetto titolo abilitativo.

2. - La sentenza appellata, rigettata l'eccezione di tardività del ricorso, ha accolto due delle censure con lo stesso dedotte: la prima, con la quale si sostiene l'illegittimità del titolo abilitativo de quo, che, in quanto almeno parzialmente riguardante opere da eseguirsi su parti comuni ex art. 1117 c.c. non connesse all'uso normale della cosa comune, abbisognava del previo assenso dei comproprietarii ricorrenti; la seconda, con la quale si contesta che il nuovo vano tecnico previsto dall'intervento edilizio in questione possa essere ricondotto alla categoria dei "volumi tecnici", in una zona nella quale sarebbero consentite ristrutturazioni solo nel rispetto delle preesistenti volumetrie.

Il T.A.R. ha altresì condannato il privato odierno appellante ed il Comune di Mo.Te. alla rifusione delle spese di causa in favore dei ricorrenti odierni appellati.

3. - Va, preliminarmente, dichiarata l'inammissibilità dell'atto di costituzione in giudizio del Comune di Mo.Te., con conseguente estromissione dello stesso dal giudizio.

E' noto, infatti, che, nelle ipotesi di presenza di più soccombenti in primo grado e di proposizione di impugnazione (principale) da parte di uno di essi (nella fattispecie il privato controinteressato al ricorso originario), le altre parti soccombenti, che intendano gravarsi contro la sentenza, devono farlo nella forma dell'appello incidentale, entro i termini di decadenza propri dell'impugnazione incidentale (Cons. St., IV, 1 agosto 1985, n. 327).

E' pertanto inammissibile la costituzione nell'appello in esame del Comune di Mo.Te., che, soccombente in prime cure, era legittimato ed aveva l'onere di appellare la relativa sentenza (in via autonoma, od in via incidentale dopo l'altrui impugnazione proposta per prima), nella sua qualità di autorità emanante l'atto oggetto del giudizio, annullato dalla sentenza stessa; onere, che la parte non può certo eludere mediante la mera costituzione nel giudizio promosso da altro soccombente, di cui pertanto pretende inammissibilmente di sostenere le ragioni (v. Cons. St.: IV, 22 giugno 2004, n. 4458; V, 20 dicembre 1995, n. 1768; da ultimo, Cons. St., IV, 31 gennaio 2005, n. 231 e 16 maggio 2006, n. 2773).

4. - Può ora passarsi all'esame di detto appello, affidato sostanzialmente a tre distinti motivi, corrispondenti ai due autonomi profili di doglianza accolti dal Giudice di prime cure, oltre che, preliminarmente, alla eccezione di tardività del ricorso di primo grado, già dal T.A.R. rigettata.

4.1 - Quanto a quest'ultima, la stessa deve considerarsi infondata, essendo pacifico in giurisprudenza che la piena conoscenza della concessione edilizia, dalla quale decorre il tèrmine di impugnazione, si realizza, per i proprietarii dei fondi vicini, soltanto con la ultimazione dei lavori o almeno con il completamento dell'involucro esterno della costruzione e non, come pretende l'odierno appellante, dalla data di inizio della attività edilizia o dalla data di apposizione del c.d. cartello di cantiere, che costituisce, per giurisprudenza costante, una forma di pubblicità di fatto, la quale non può essere presa in considerazione ai fini della conoscenza dell'iniziativa edilizia in corso, anche nell'eventualità, peraltro non ricorrente nel caso di specie, in cui venga dedotta la violazione di un vincolo di inedificabilità (Cons. St., IV, 19 giugno 2006, n. 3615).

Ad avviso del Collegio, invero, né all'una né all'altra delle anzidette date indicate dall'appellante è dato, in assenza di rigorosi elementi contrarii, situare la conoscenza, da parte degli originarii ricorrenti, delle essenziali caratteristiche dell'opera di cui si discute e dunque di quella non conformità della stessa alla disciplina urbanistica, di cui essi si sono poi doluti nella presente sede giurisdizionale.

In realtà le censure da essi sollevate avverso la concessione edilizia di cui si tratta (quelle, in particolare, concernenti l'effettuazione dell'intervento su parti comuni dell'edificio e la effettiva connotazione del "nuovo volume" realizzato come "volume tecnico"), riguardano aspetti rilevabili solo mediante la consapevolezza del contenuto specifico della concessione o del progetto edilizio, non acquisibile certo per effetto dell'inizio dei lavori o dell'installazione del cartello recante estremi ed oggetto della concessione e nella fattispecie intervenuta soltanto a séguito del soddisfacimento dell'istanza di accesso agli atti inerenti la concessione stessa, presentata in data 27 aprile 2004, solo il cui èsito, come appunto ritenuto dal T.A.R., ha consentito ai ricorrenti di raggiungere quella consapevolezza dei contenuti dell'atto, necessaria per produrre impugnazione e dunque utile a farne decorrere i termini.

Correttamente, quindi, il T.A.R. ha escluso che fosse tardiva l'impugnazione introduttiva del giudizio, le circostanze di fatto descritte e dedotte dall'appellante (risolventisi nella affermata presenza degli appellati all'inizio dei lavori) non costituendo idonei elementi di prova di quella conoscenza effettiva e completa della concessione edilizia - che dev'essere, com'è noto, provata da chi eccepisce la tardività dell'impugnazione medesima - nel caso all'esame riconducibile, come s'è visto, esclusivamente alla presa visione del provvedimento e degli annessi allegati grafici.

4.2 - Altrettanto correttamente, poi, il T.A.R. ha ritenuto che, dovendo i lavori edilizii de quibus eseguirsi (anche) su parti comuni del fabbricato e trattandosi di opere non connesse all'uso normale della cosa comune, essi abbisognassero del previo assenso dei comproprietarii anche in relazione agli aspetti pubblicistici dell'attività edificatoria, con particolare riguardo alle norme (art. 4 della legge n. 10 del 1977 e art. 11, comma 1, del d.P.R. n. 380 del 2000), che prevedono la verifica dell'esistenza, in capo al richiedente, di titolo un attributivo dello jus aedificandi sull'immobile oggetto di trasformazione edilizia.

E' pacifico, invero, che le parti private qui presenti in giudizio hanno in comune la proprietà di tutte le parti dell'edificio, interessato al contestato intervento edilizio, necessarie all'uso comune e, in particolare, del tetto e dei muri maestri, entrambi oggetto dell'intervento stesso:

- il primo laddove, come si ricava dalla relazione generale allegata al progetto presentato dall'odierno appellante al Comune per l'approvazione, viene anch'esso interessato alla ristrutturazione "mediante la messa in opera di un cordolo perimetrale in cemento armato (non visibile), per il collegamento dei muri esistenti in pietra oltre a rendere possibile l'uniformazione delle altezze a m. 2,70; la sostituzione dei solai di sottotetto con nuovi in latero-cemento-armato. Eventuali spinte del tetto verranno neutralizzate inserendo idonee catene in acciaio, la quota d'imposta del nuovo tetto sarà pari a quella esistente. La canna fumaria del camino verrà affiancata a quella proveniente dall'appartamento del piano inferiore, sul tetto risulterà allargato il comignolo esistente";

- il secondo laddove, come si ricava dalla stessa relazione e dagli elaborati ad essa allegati, si prevedono la riparazione di "diversi muri portanti", "modifiche alle aperture nei muri verticali" e la realizzazione di un vano tecnico seminterrato in aderenza (la cui distinzione dall'"appoggio", sulla quale l'appellante tanto insiste, non rileva nel caso di specie, non essendo lo strato di polistirolo di 3,5 cm. di spessore interposto tra i due fabbricati comunque idoneo ad escludere lo sfruttamento del muro comune) alla parete nord del comune fabbricato.

Così stando le cose, il Comune avrebbe dovuto chiedere il consenso di tutti i proprietarii ai fini del rilascio della concessione per la realizzazione delle opere interessanti la cosa comune e la lamentata mancata richiesta configura grave difetto istruttorio e motivazionale, perché, secondo la giurisprudenza di questo Consesso, "non dà conto della effettiva corrispondenza tra la richiesta di concessione e la titolarità del prescritto diritto di godimento" (così Consiglio di Stato, Sez. V, 21 ottobre 2003, n. 6529, ma cfr. anche Sez. V, 15 marzo 2001, n. 1507 e Sez. V, 20 settembre 2001, n. 4972).

Pertanto, nell'ambito dell'accertamento della legittimazione di colui che richiede la concessione (richiesto, oltre che dalle norme nazionali sopra indicate, dall'art. 7, comma 1, della legge regionale 14 ottobre 1999, n. 52), l'Amministrazione aveva, nel caso specifico, il potere - dovere di verificare l'esistenza, in capo al richiedente, di un titolo idoneo di godimento dell'intero bene interessato dal progetto e di subordinare il rilascio della concessione al consenso di tutti i proprietarii per la parte di intervento che interessa le parti comuni, avendo questi, nei confronti dell'atto concessorio, non la posizione di terzo, ma quella di contitolare di un diritto, che, per la parte idealmente spettante, non può, invito domino, essere modificata o compressa dall'Amministrazione.

Né può sostenersi che le opere nel caso all'esame progettate sulle parti comuni siano riconducibili a quell'utilizzo della cosa comune ed a quelle modifiche della cosa stessa a detto utilizzo funzionali, che l'art. 1102 del codice civile consente comunque al partecipante alla comunione, sì che il relativo titolo abilitativo edilizio non abbisognerebbe della prestazione di quel consenso, nel caso specifico mancata.

Invero, se tanto può affermarsi in relazione alle opere concernenti la ristrutturazione del tetto comune e la modifica delle aperture (tali modificazioni del bene comune non parendo comportare ostacoli al godimento dello stesso da parte dei compartecipi, né pregiudizii agli immobili di proprietà esclusiva, nella specie comunque non dedotti), lo stesso non può dirsi relativamente al locale tecnico addossato al muro comune, sulla base del rilievo dirimente che l'art. 1102 c.c. consente al condomino l'utilizzazione più intensa della cosa comune al servizio della sua proprietà esclusiva purché ne sia consentito il pari uso agli altri partecipi e non ne sia alterata la destinazione, entrambi invece nel caso di specie pregiudicati dalla imposizione dell'appoggio di una nuova costruzione sul muro in comunione, ai fini della legittimità del cui uso occorre avere riguardo all'uso anche solo potenziale della cosa comune da parte degli altri condomini (Cass. civ., sez. II, 1 gennaio 2006, n. 972), le cui facoltà di paritaria utilizzazione della cosa stessa risultano senz'altro escluse da una attività, quale quella che viene qui in considerazione, di sostanziale attrazione di una parte del bene comune nella sfera di disponibilità esclusiva di un singolo (v., per tutte, Cass., 14 ottobre 1998, n. 10175; da ultimo, Cass. civ., sez. II, 9 marzo 2006, n. 5085), come appunto avviene quando ad una porzione originaria di un muro maestro in comunione si addossi una porzione immobiliare di proprietà individuale: di quello spazio, in tal modo, viene sia alterata la destinazione, sia impedito un paritario uso da parte degli altri condomini, i quali non vi hanno accesso.

Una tale costruzione impedisce così agli altri partecipanti alla comunione di farne uso secondo il loro diritto e costituisce pertanto innovazione vietata dalla legge, anche sotto il profilo pubblicistico dell'attività edificatoria, se non con il consenso negoziale di tutti i partecipanti alla comunione, espresso in forma scritta trattandosi di beni immobili, cosa che, nella specie, è mancata e che non può certo rinvenirsi nella corrispondenza intercorsa tra le parti e versata in atti dall'appellante, la quale non riguarda certo la specifica realizzazione delle opere per cui è causa e non vale comunque a conferire legittimazione soggettiva all'interessato per la richiesta del relativo titolo edilizio.

4.3 - Con il terzo motivo dell'appello si sostiene la contraddittorietà ed illogicità della sentenza impugnata nella parte in cui ha ritenuto "fondato il secondo motivo di impugnazione con il quale. controparte aveva dedotto la presunta violazione delle N.T.A. del P.R.G. e del Regolamento Edilizio del Comune di Mo.Te., nella parte in cui, per gli edifici di scarso valore storico o architettonico, impediscono di effettuare interventi che comportino aumento di volumetrie" (pag. 19 app.).

La censura, che mira a sostenere la qualità di "volume tecnico" del nuovo locale assentito con la concessione edilizia de qua, non mérita adesione.

Il punto essenziale è quello della legittimità della operata esclusione della volumetria di detto nuovo locale dal computo di quella complessiva, a fronte della normativa della zona urbanistica in considerazione, che non consente l'effettuazione di interventi che superino la volumetria complessiva esistente; esclusione basata proprio sulla affermata riconducibilità di detta nuova volumetria alla categoria dei "volumi tecnici".

Il Collegio ritiene che il locale di cui si tratta (descritto nella relazione a firma dell'ing. Ba. depositata a corredo dell'istanza di concessione edilizia come "vano tecnico seminterrato a cui si accede da scala interna, munito di scannafosso sui lati controterra, le pareti dello stesso che fuoriescono dal terreno sono rivestite in pietra serena") non sia definibile come "volume tecnico".

Ciò sia per la consistenza del locale stesso, che, con i suoi circa 12 mq., non si differenzia più di tanto da un comune vano di casa di abitazione adibito alle comuni necessità della vita quotidiana nella stessa condotta; sia per l'oggettiva inesistenza di qualsiasi previsione o anche mera descrizione, nella sede progettuale assentita con la concessione edilizia, della destinazione del locale stesso alla collocazione di quegli "impianti a servizio dell'abitabilità degli ambienti", cui l'art. 52 dello stesso Regolamento Edilizio del Comune di Mo.Te. strettamente ricollega la nozione di "volumi tecnici", peraltro necessarie, ai sensi del medesimo art. 52, anche ai fini del corretto dimensionamento di detti vani, che "deve essere effettuato in ragione del minimo spazio necessario all'inserimento delle apparecchiature ed il movimento all'interno del locale per compiere le dovute manutenzioni e riparazioni, o quello per aderire a disposti normativi".

Soffermarsi, poi, oggi, in sede giudiziaria, sulle possibili concrete modalità di utilizzo del locale in questione conformi a detta nozione, porterebbe ad argomentare su elementi proprii della istruttoria affidata sul punto dalla norma all'Amministrazione in sede di controllo pubblicistico sulla conformità dei progetti edilizii alle norme urbanistiche ed agli strumenti di pianificazione di derivazione pubblicistica, nella fattispecie all'esame omessa; e dunque ad una sostanziale alterazione della régola, che impedisce al Giudice di sostituirsi alla mancata attività istruttoria dell'Amministrazione.

5. - In conclusione, l'appello deve essere respinto, con integrale conferma della sentenza impugnata e con conseguente carenza di interesse degli appellati all'esame dei profili di doglianza dalla stessa assorbiti.

6. - Le spese del grado, liquidate nella misura indicata in dispositivo, séguono, come di regola, la soccombenza.

P.Q.M.

il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta), definitivamente pronunciando sul ricorso indicato in epigrafe:

- dichiara inammissibile la costituzione in giudizio del Comune di Mo.Te. nell'appello proposto;

- respinge l'appello stesso;

- per l'effetto, conferma, nei sensi di cui in motivazione, la sentenza impugnata;

- dichiara la cessazione degli effetti dell'Ordinanza cautelare n. 4784/2006, di sospensione della esecuzione della sentenza impugnata.

Condanna l'appellante alla rifusione di onorarii e spese di causa in favore della parte privata appellata, liquidandoli in complessivi Euro 3.000,00=, oltre I.V.A. e C.P.A.

Ordina che la presente decisione sia eseguita dall'Autorità amministrativa.

Così deciso in Roma, addì 20 febbraio 2007, dal Consiglio di Stato in sede giurisdizionale - Sezione Quarta - riunito in Camera di consiglio con l'intervento dei seguenti Magistrati:

Carlo Saltelli - Presidente f.f.

Salvatore Cacace - Consigliere, rel. est.

Sergio De Felice - Consigliere

Eugenio Mele - Consigliere

Sandro Aureli - Consigliere

DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 11/04/2007

(Art. 55 L. 27.4.1982, n. 186)

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