I muri perimetrali dell'edificio in condominio, pur non avendo funzione di muri portanti, vanno intesi come muri maestri

I muri perimetrali dell'edificio in condominio, pur non avendo funzione di muri portanti, vanno intesi come muri maestri al fine della presunzione di comunione di cui all'art. 1117 cod. civ., in quanto determinano la consistenza volumetrica dell'edificio unitariamente considerato, proteggendolo dagli agenti atmosferici e termici, delimitano la superficie coperta e delineano la sagoma architettonica dell'edificio stesso. Pertanto, nell'ambito dei muri comuni dell'edificio rientrano anche i muri collocati in posizione avanzata o arretrata rispetto alle principali linee verticali dello immobile.
E' quanto stabilito dalla Corte di Cassazione Sezione 2 Civile, con sentenza del 2 marzo 2007, n. 4978.




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SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Lu.Im. impugnava davanti al tribunale di Genova la delibera assembleare del condominio sito in Re., frazione Me., via privata Ma., Vi. e Gi. - case (...), assunta il 26 giugno 1994, nella parte in cui detta delibera decideva di effettuare interventi di manutenzione straordinaria ai muri di sostegno dei giardini pensili antistanti la casa e alle relative solette, qualificandoli condominiali e ripartendo le spese tra tutti i condomini in base ai rispettivi millesimi di proprietà. La delibera era nulla o quanto meno annullabile poiché i suddetti manufatti dovevano essere considerati di proprietà esclusiva dei singoli condomini proprietari degli appartamenti cui erano annessi i giardini pensili. In ogni caso, anche a considerare i manufatti come condominiali, le relative spese dovevano ripartirsi in base all'articolo 1123, terzo comma, codice civile trattandosi di opere destinate a servire esclusivamente i singoli condomini proprietari di giardini e box sottostanti, aventi accesso tramite passaggio sotto i giardini medesimi.

Il convenuto condominio contestava la domanda e deduceva la non applicabilità dell'articolo 1123 codice civile per essere manufatti in questione muri perimetrali della facciata dell'edificio condominiale e avendo comunque i condomini proprietari di appartamenti con annesso giardino solo l'uso perpetuo e non la proprietà del giardino pertinenziale.

Il tribunale di Genova, con sentenza del 12 maggio 1999, dichiarava la nullità della delibera impugnata, ritenendo i muri in questione non di proprietà condominiale stante la loro "particolare destinazione" all'uso e godimento di una parte dell'immobile oggetto di un autonomo diritto di proprietà.

Proposto appello dal condominio, la corte territoriale con sentenza n. 398 del 19 aprile 2002 lo accoglieva respingendo la domanda proposta dalla condomina Im.

La corte ha osservato in fatto che l'assemblea condominiale del 26 giugno 1994 aveva deliberato di ripartire "in base ai millesimi della tabelle di proprietà" le spese di interventi urgenti sui "muri perimetrali di comparto, e quindi di sostegno di giardini e porticati". Inoltre, l'assemblea aveva stabilito che la spesa fosse posta per un terzo a carico degli aventi diritto al calpestio e per due terzi a carico di tutti i condomini per la parte relativa al "risanamento della soletta che costituisce sostegno di giardini pensili e copertura del porticato".

Esaminati poi gli atti di acquisto disponibili e il regolamento di condominio, rilevava ancora che; "dalle relazioni, redatte dai geometri, prodotte hinc et inde, risulta che i muri in pietra "a faccia vista" esistenti a valle del fabbricato hanno funzione di contenere il terreno dei giardini annessi agli appartamenti del piano rialzato, nonché quella di sostenere i solettoni, sagomati a forma di vasca, per contenere terra (giardini pensili), esistenti in corrispondenza dei tre varchi di accesso al piano interrato (o seminterrato) dei garages. I muri vennero costruiti successivamente alla realizzazione del fabbricato e l'unico collegamento tra le due strutture è costituito da ferri agganciati ogni 50/60 centimetri all'armatura principale del solaio che copre la sottostante intercapedine". Sulla base degli elementi disponibili, la corte territoriale concludeva che la funzione preminente del muro in pietrame a vista era quella di delimitare il comparto edilizio su tre lati; che il muro in pietrame assumeva la funzione analoga a quella del muro di facciata dell'edificio, stante l'esistenza di un piano seminterrato, il cui muro perimetrale era celato dal muro in questione; che tali muri assumevano particolare rilevanza ai fini del decoro architettonico dell'edificio, il cui gradevole aspetto esterno era essenzialmente dovuto alla presenza di detti muri e dei sovrastanti giardini pensili. Osservava la corte ancora che in nessuno degli atti di acquisto delle proprietà individuali risultava trasferito al singolo condomino la proprietà del muro esterno in pietra e che la funzione preminentemente condominiale dei muri in questione era dimostrata dalla presenza dei tre varchi di accesso al garage cantina e addirittura ad un appartamento, che il solettone a vasca (giardini pensili) sovrastante uno dei varchi risultava essere attribuito in uso esclusivo e non in proprietà e conseguentemente tale elemento confermava la condominialità del muro, che formava un'unica struttura unitaria con i muri in pietra e con la soprastante parte in cemento armato, che in corrispondenza dei varchi si allarga in vari solettoni. In definitiva la corte concludeva per la qualificazione di parte comune dei muri in pietra in questione poiché l'esame dei titoli "induce ad escludere che con il trasferimento - nei casi in cui vi è stato - della proprietà dei giardini i contraenti abbiano inteso cedere anche la proprietà dei corrispondenti tratti di muro"; che le funzioni svolte dai muri in questione, concepiti e realizzati quali pareti necessarie al completamento del complesso immobiliare e come tali destinate all'uso comune rendevano la funzione di contenimento del terreno dei giardini di proprietà esclusiva non determinante ai fini della qualificazione in questione.

Ricorre la signora Im. articolando due motivi. Resiste con controricorso il condominio. Entrambi hanno depositato memoria.

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. I motivi del ricorso

1.1 - Con il primo motivo di ricorso viene dedotta la "violazione e falsa applicazione di norme diritto - art. 1117 del codice civile in relazione all'art. 360 n. 3 c.p.c.".

La corte territoriale avrebbe errato nel ritenere i muri in questione condominiali, applicando il primo comma dell'art. 1117 codice civile, perché avrebbe trascurato di valutare adeguatamente la funzione strumentale assolta dai muri in questione, destinati a contenere i giardini pensili a servizio di proprietà esclusive. Mancherebbe quindi la relazione di accessorio a principale che potrebbe fondarne la qualificazione come beni comuni. Osserva a tal fine che la presunzione di comunione enunciata dall'art. 1117 codice civile non è assoluta e viene meno quando una delle parti considerate da tale norma serve al godimento della porzione condominiale che costituisca oggetto di autonomo e separato diritto di proprietà in quanto la destinazione particolare vince la presunzione legale di comunione alla stessa stregua di un titolo contrario (Cass. 1990 n. 8233).

Il muro, costruito successivamente, non costituisce una struttura unitaria con l'edificio e funge da contenimento dei giardini pensili. Non è sufficiente poi che il muro assuma una rilevanza ai fini architettonici.

1.2 Con il secondo motivo viene dedotta "l'omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione e circa un punto decisivo della controversia in relazione all'art. 1117 e 360 n. 5 c.p.c.". A giudizio della ricorrente non avrebbero i giudici della corte territoriale tenuto conto della ragione per la quale i muri in questione erano stati costruiti i epoca successiva al completamento del fabbricato. L'edificio poteva esistere sotto ogni altro aspetto senza la presenza dei muri in questione, che arricchivano i tre alloggi del piano terra rialzato. I muri sono distinti dai muri perimetrali e hanno l'unica funzione di sorreggere i giardini di proprietà esclusiva.

2. Il ricorso è infondato e va respinto.

Appare opportuno, in primo luogo, riportare per esteso la motivazione della sentenza impugnata, che è la seguente.

A giudizio del collegio fa delibera impugnata non viola né la legge, né il regolamento condominiale.

L'art. 1117 cod. civ. stabilisce che sono (fra l'altro) oggetto di proprietà comune dei condomini dell'edificio, se il contrario non risulta dal titolo, i muri maestri, i vestiboli, gli anditi; i portici; la norma fa poi un generale riferimento a tutte le parti dell'edificio o manufatti di qualunque genere che servano all'uso e al godimento del comune. Tanto premesso, occorre prendere in esame i titoli di proprietà prodotti e il regolamento condominiale, di incontestata natura contrattuale.

Con atto not. Gi. 20/3/71 il costruttore Ca.Lu. vendeva a Sc.Ro. l'appartamento int. (...) con "annessi a detto appartamento l'uso perpetuo di una porzione del lastrico di copertura dei boxes e di un tratto di terreno a giardino rispettivamente posti a ponente e a levante dell'appartamento stesso".

Con atto not. Or. 27/9/1977 il Ca. vendeva a Ta.Ma. l'appartamento int. (...) nonché "un tratto di terreno adibito a giardino della superficie di metri quadrati 140".

Con atto not. Gi. 9/8/1970 il Ca. vendeva a Di Ge.Co. in Ze. l'appartamento int. (...), nonché un tratto di terreno adibito a giardino di mq. 190.

Con atto not. Ba. 24-12-1986 l'appellata Im.Lu. acquistava da Di Lu.Ge. e Ca.Ad. l'appartamento int. (...) con annesso un tratto di terreno adibito a giardino dalla superficie di mq. 237 (atto di provenienza 15/11/70).

Dal regolamento di condominio, richiamato in tutti i rogiti prodotti, risulta (e ciò risulta altresì dalle relazioni di tecnici hinc et hinde prodotte) che la casa si compone: - di un piano interrato suddiviso in sei garages e tre cantine, precisandosi che tra i garages 2 e 3 esiste un corridoio di accesso all'appartamento int. (...); - di un piano rialzato suddiviso in tre appartamenti (int. (...) -); - di un primo piano suddiviso in quattro appartamenti (int. (...) e (...)). Nell'indicare le parti di proprietà comune il regolamento (art. 3) menziona l'area sulla quale sorge la casa entro il perimetro esterno della stessa, la copertura della casa, le fondazioni e le strutture del cemento armato, le tubazioni dell'acqua potabile, le fognature, i pluviali, nonché "tutte le altre parti della casa che per uso, legge e consuetudine sono di proprietà del condominio anche se non sono state espressamente elencate". L'art. 12 parla di giardini e poggioli di proprietà dei singoli condomini. L'art. 13 pone a carico di tutti i condomini le spese relativo al tetto, ai muri maestri e alle altre cose comuni, tali per legge.

L'art. 29 stabilisce che "il condomino che ha acquistato il diritto di proprietà di giardino o distacco, ha il dovere della sua regolare manutenzione, mentre a tutti i condomini (o foro affittuari) incombe l'obbligo di non gettare rifiuti di qualsiasi genere".

Dalle relazioni, redatte da geometri, hinc et inde prodotte, risulta che i muri in pietra "a faccia vista" esistenti a valle del fabbricato hanno la funzione di contenere il terreno dei giardini annessi agli appartamenti del piano rialzato, nonché quella di sostenere i solettoni, sagomati a forma di vasca per contenere terra (giardini pensili), esistenti in corrispondenza dei tre varchi di accesso al piano interrato (o seminterrato) dei garages. I muri vennero costruiti successivamente alla realizzazione del fabbricato e l'unico collegamento tra le due strutture è costituito da ferri agganciati ogni 50/60 cm all'armatura principale del solaio che copre la sottostante intercapedine. Nelle relazioni di cui trattasi si afferma concordemente che i muri costituiscono il piano di spiccato fuori terra della casa da cui misurare foltezza massima di questa.

Tanto premesso, il Collegio osserva quanto segue.

Dalle prodotte fotografie emerge chiaramente come il muro in pietrame a vista costituisca una struttura unitaria la cui funzione preminente appare essere quella di delimitare il comparto edilizio nei lati sud-ovest, nord-ovest, sud-est (indicazioni rilevate dalle fotografie allegate alla relazione del geom. Ca. prodotta dalla Im.). Dato, poi, che esiste un piano seminterrato il cui muro perimetrale è celato dal muro di cui trattasi (e, come si è sopra detto, le due strutture sono tra loro agganciate), il muro in pietrame assume funzione analoga a quella del muro di facciata dell'edificio; dal punto di vista estetico è poi evidentissima la rilevanza del muro in pietra ai fini del decoro architettonico dell'edificio, non potendosi contestare che il gradevole aspetto esterno del complesso condominiale è essenzialmente dovuto alla presenza di detto muro e dei sovrastanti giardini pensili e no. E vero che i titoli attribuiscono per lo più ai singoli condomini la proprietà dei giardini, ma è significativo che in nessun atto risulti trasferita al singolo condomino la proprietà del muro esterno in pietra; e dove il regolamento pone a carico del singolo proprietario la manutenzione del giardino, appare chiaro il riferimento al dovere di tenere in ordine il terreno, non menzionandosi affatto il muro di sostegno. La funzione preminentemente condominiale del muro in pietra è altresì dimostrata dalla presenza dei tre varchi di accesso a garages, cantine e addirittura ad un appartamento. Depone, poi, in favore della condominialità del muro l'attribuzione in uso esclusivo, e non in proprietà, del solettone a vasca (giardino pensile) sovrastante uno dei varchi (non sono prodotti tutti gli atti di acquisto); il solettone, come evidenziano le fotografie, fa parte dell'unica struttura unitaria formata dal muro in pietra e dalla soprastante parte in cemento armato che in corrispondenza dei varchi si allarga in vasti selettoni.

A fronte di tutti gli elementi testé evidenziati, pare al collegio che conclusione obbligata sia quella dell'attribuzione al muro di pietra a vista della natura di parte comune del complesso condominiale. L'esame dei titoli induce ad escludere che con il trasferimento nei casi in cui vi è stato della proprietà dei giardini i contraenti abbiano inteso cedere anche la proprietà dei corrispondenti tratti di muro. Questo, d'altronde, in ragione delle preminenti funzioni sopra evidenziate, ben può essere considerato parte comune ex art. 1117 cod. civ. in quanto concepito e realizzato quale parete necessaria al completamento - sotto i profili sopra evidenziati - del complesso immobiliare come tale destinata all'uso comune; laddove la funzione di contenimento del terreno dei giardini di proprietà esclusiva appare non determinante ai fini della qualificazione di cui trattasi (i muri di tamponamento in corrispondenza degli appartamenti di un edificio sono considerati pacificamente parti comuni pur adempiendo alla funzione essenziale di chiusura delle singole unità immobiliari). Non rileva, conseguentemente che il giardino della Im. sia situato su un altro lato della casa, né rileva che la predetta non abbia la proprietà né di garage, né di cantina (a tale ultimo riguardo si osserva solo che ciò inciderà sui millesimi, comportando una minor quota di spese), né è invocabile il disposto dell'art. 1123 comma 2, cod. civ., poiché il manufatto svolge una funzione unitaria riguardante l'intero complesso immobiliare."

Si tratta di una motivazione nella quale la Corte ha esaminato tutte le censure delle parti e ha analizzato diffusamente tutte le argomentazioni offerte per poter affermare o meno la natura comune dei muri in questione. Ha, in particolare, esaminato i titoli di acquisto delle varie unità immobiliari, il regolamento contrattuale, gli aspetti relativi alla costruzione dei muri e le loro funzioni, le caratteristiche complessive dell'immobile, gli aspetti di natura estetica collegati ai muri e all'edificio visto nel suo complesso. Sulla base dell'argomentato ed analitico esame dell'insieme di tali elementi è giunta poi alla conclusione che si tratti nel caso in questione di muri comuni ai sensi dell'art. 1117 codice civile.

Passando ad esaminare i motivi di ricorso si osserva quanto segue.

2.1 Col primo motivo di ricorso, la condomina Im. lamenta una violazione dell'art. 1117, ritenendo cha la Corte territoriale abbia adottato "una interpretazione non accettabile dell'art. 1117 cod. civile", poiché non avrebbe adeguatamente valutato le caratteristiche funzionali dei muri in questione (di contenimento dei giardini pensili di proprietà esclusiva) sarebbero sottratti alla presunzione di comunione di cui all'articolo citata, anche tenuto conto della circostanza pacifica che i muri in questione furono costruiti in un secondo momento.

Il motivo è infondato e va respinto. Occorre infatti considerare che la motivazione adottata dalla corte territoriale si fonda su una serie di valutazioni, tra loro anche distinte ed autonome, che complessivamente sorreggono la decisione. La ricorrente, invece, concentra il motivo soltanto su due aspetti (la funzione di contenimento dei muri e la costruzione in epoca successiva alla realizzazione dell'edificio), trascurando tutti gli altri (valutazione dei titoli di acquisto, conformazione dell'edificio quanto a giardini e garage e ai relativi accessi, compreso l'accesso all'appartamento int. 1, prevalenza della ulteriore funzione riconosciuta dai giudici dì merito ai muri in questione, oltre a quella pacifica di contenimento dei giardini).

Sicché, così come articolato il motivo, appare inammissibile.

Infatti, questa Corte ha avuto più volte occasione di affermare e di recente anche a SU (Cass. SU 2005 n. 16602) che:

"Nel caso in cui venga impugnata con ricorso per cassazione una sentenza (o un capo di questa) che si fondi su più ragioni, tutte autonomamente idonee a sorreggerla, è necessario, per giungere alia cassazione della pronuncia, non solo che ciascuna di esse abbia formato oggetto di specifica censura, ma anche che il ricorso abbia esito positivo nella sua interezza con l'accoglimento di tutte le censure, affinché si realizzi lo scopo proprio di tale mezzo di impugnazione, il quale deve mirare alla cassazione della sentenza, "in tota" o nel suo singolo capo, per tutte le ragioni che autonomamente l'uno o l'altro sorreggano. Ne consegue che è sufficiente che anche una sola delle dette ragioni non abbia formato oggetto di censura, ovvero, pur essendo stata impugnata, sia respinta, perché il ricorso o il motivo di impugnazione avverso il singolo capo di essa, debba essere respinto nella sua interezza, divenendo inammissibili, per difetto di interesse, le censure avverso le altre ragioni poste a base della sentenza o del capo impugnato."

Occorre, altresì, osservare che la Corte territoriale ha fatto anche corretta applicazione dei principi in materia anche alla luce della giurisprudenza di questa Corte che ha affermato:

"I muri perimetrali dell'edificio in condominio - i quali, anche se non hanno natura e funzioni di muri maestri portanti, delimitano la superficie coperta, determinano la consistenza volumetrica dello edificio unitariamente considerato, proteggendolo dagli agenti termici e atmosferici, e ne delineano fa sagoma architettonica - sono da considerare comuni a tutti i condomini anche nelle parti che si trovano in corrispondenza dei piani di proprietà singola ed esclusiva e quando sono collocati in posizione, avanzata o arretrata, non coincidente con il perimetro esterno dei muri perimetrali esistenti in corrispondenza degli altri piani, come normalmente si verifica per i piani attici." (Cass. 1978 n. 839)

"I muri perimetrali dell'edificio in condominio, pur non avendo funzione di muri portanti, vanno intesi come muri maestri al fine della presunzione di comunione di cui all'art. 1117 cod. Civ. in quanto determinano la consistenza volumetrica dell'edificio unitariamente considerato proteggendolo dagli agenti atmosferici e termici, delimitano la superficie coperta e delineano fa sagoma architettonica dell'edificio stesso. Pertanto, nell'ambito dei muri comuni dell'edificio rientrano anche i muri collocati in posizione avanzata o arretrata rispetto alle principali linee verticali dello immobile." (Cass. 1986 n. 3867)

2.2. Anche il secondo motivo di ricorso è infondato e va respinto. La ricorrente lamenta vizio di motivazione, ma nella sostanza finisce per proporre una propria interpretazione, a sé più favorevole, delle risultanze istruttorie senza invece considerare la complessiva argomentazione della Corte di merito, che appare invece adeguata ed esente da vizi ri levabili in questa sede.

E' opportuno, quindi, richiamare i principi affermati da questa Corte in materia.

La valutazione degli elementi probatori è attività istituzionalmente riservata al giudice di merito, non sindacabile in cassazione se non sotto il profilo della congruità della motivazione del relativo apprezzamento (Cass. 2003 n. 322, Cass. 2005 n. 23286).

E' inammissibile ogni censura di vizio in motivazione proposta con ricorso per cassazione allorquando il giudice di merito abbia deciso correttamente le questioni di diritto sottoposte ai suo esame, potendo l'eventuale inadeguatezza della decisione impugnata comunque dar luogo, ai sensi dell'art. 384, secondo comma, cod. proc. civ., alia correzione della stessa motivazione da parte della Corte di cassazione (Cass. 2005 n. 16640).

Il giudice del merito è libero di attingere il proprio convincimento da quelle prove o risultanze di prove che ritenga più attendibili ed idonee alla formazione dello stesso, essendo sufficiente, al fine della congruità del relativo apprezzamento, che da questa risulti che il convincimento si sia realizzato attraverso una valutazione dei vari elementi probatori acquisiti, considerati nel laro complesso, pur senza un'esplicita confutazione degli altri elementi non menzionati o non accolti, anche se allegati, purché risulti logico e coerente il valore preminente attribuito, sia pure implicito, a quelli utilizzati (Cass. 6/65 del 2002 e successive conformi - Cass. 2772, 3989 e 5673 del 2003 e Cass. 3761 del 2004).

Nel caso in questione, le censune mosse alla decisione del giudice dell'appello si risolvono tutte nella prospettazione di una diversa valutazione del merito della causa e nella pretesa di contrastare il risultato dell'attività svolta dal giudice del merito nell'esercizio dei compiti allo stesso affidati e del suo potere discrezionale di apprezzamento dei fatti e delle risultanze istruttorie. La sentenza impugnata è invece corretta e si sottrae alle critiche avanzate, avendo la Corte territoriale proceduto ad un attento esame delle risultanze istruttorie e delle prove acquisite, specificamente indicate nella sentenza impugnata. All'esito di tale esame il giudice di secondo grado è pervenuto alle sopra riportate conclusioni attraverso argomentazioni complete ed appaganti, sia pur sintetiche, improntate a retti criteri logici e giuridici, nonché frutto di un'indagine accurata e puntuale delle risultanze istruttorie.

Il giudice di secondo grado ha dato conto delle proprie valutazioni, circa i riportati accertamenti in fatto, esponendo adeguatamente le ragioni del suo convincimento.

Alle dette valutazioni la ricorrente contrappone le proprie, ma della maggiore o minore attendibilità di queste rispetto a quelle compiute dal giudice del merito non è certo consentito discutere in questa sede di legittimità, ciò comportando un nuovo autonomo esame del materiale delibato che non può avere ingresso nel giudizio di cassazione.

Il ricorso va, quindi rigettato. Sussistono giusti motivi per disporre la compensazione delle spese.

P.T.M.

La Corte rigetta il ricorso e compensa le spese

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