Il condomino portatore di handicap ha diritto ad installare servoscala o strutture mobili facilmente amovibili anche se in tal modo venga alterata la destinazione di talune parti comuni dell'edificio

In tema di condominio di edifici, per effetto del disposto dell'art. 2 della l. 9 gennaio 1989, n. 13, deve riconoscersi il diritto del singolo condomino di installare servoscala o strutture mobili facilmente amovibili anche se in tal modo venga alterata la destinazione di talune parti comuni dell'edificio o venga impedito il diritto degli altri condomini di fare parimenti uso di dette parti comuni, purché non sia pregiudicata la stabilità o la sicurezza o il decoro architettonico del fabbricato e non si rendano talune sue parti comuni inservibili all'uso o al godimento anche di un solo condomino. (Tribunale Firenze Civile, Sentenza del 10 novembre 2004, n. 4385)



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SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con citazione in appello ritualmente notificata il 26 novembre 2003 il sig. E. S., proprietario di un appartamento posto al secondo piano di uno stabile posto in Fi., via (...), chiedeva la riforma della sentenza n. 3055/03 emessa dal Giudice di Pace di Firenze in data 24 settembre 2003 e depositata il 25 settembre 2003, con la quale tale giudice, in accoglimento delle domande proposte dalle signore S. e M. A., condomine del medesimo stabile, lo aveva condannato, tra l'altro, a rimuovere un servoscala che egli aveva fatto installare nelle scale condominiali dell'edificio per consentire alla propria madre, invalida al cento per cento, di raggiungere il suo appartamento.

Rilevava l'appellante che erroneamente il primo giudice aveva ritenuto che la fattispecie ricadesse nella previsione dell'art. 1120 c.c. in quanto, trattandosi di innovazione che esso S. aveva pagato in proprio, la norma applicabile era quella dettata dall'art. 1102 c.c.

L'appellante concludeva quindi perché il Tribunale, in riforma della sentenza di primo grado, dichiarasse il suo diritto alla installazione ed al mantenimento della struttura per disabili di cui si discute.

Si costituivano entrambe le convenute, contestando le argomentazioni giuridiche svolte dall'appellante, e concludendo per il rigetto dell'appello; la sola signora M. A. spiegava appello incidentale contro il capo di sentenza che poneva a carico di entrambe le parti (invece che a carico del solo S., interamente soccombente in primo grado) le spese di C.T.U.

La causa non richiedeva istruttoria e veniva trattenuta in decisione all'udienza del 27 maggio 2004, con assegnazione dei termini di legge per conclusionali e repliche.

MOTIVI DELLA DECISIONE

In via preliminare occorre chiarire quali siano i differenti ambiti applicativi dell'art. 1102 c.c. e dell'art. 1120 c.c.

L'articolo 1102 cc (dettato in materia di comunione in generale e applicabile alle parti comuni degli edifici condominiali ai sensi dell'articolo 1139 cc) attribuisce al singolo comunista il potere di apportare modifiche alla cosa comune, a proprie spese e senza necessità del consenso degli altri comproprietari, e fissa a tale potere il duplice limite della non alterazione della destinazione della cosa e del non impedimento al pari uso degli altri comunisti.

L'articolo 1120 cc (dettato in materia di condominio di edifici) attribuisce alla compagine condominiale (le cui delibere, secondo gli ordinari meccanismi di formazione della volontà degli organi collegiali, vincolano anche i dissenzienti e li obbligano a contribuire alle spese, salvo il disposto dell'articolo 1121 cc) il potere di disporre innovazioni sulle cose comuni e fissa a tale potere il triplice limite del pregiudizio alla stabilità o alla sicurezza del fabbricato, dell'alterazione del decoro architettonico e dell'inservibilità di talune parti comuni all'uso o al godimento anche da parte di un solo condomino.

Vedi, sui rapporti tra articolo 1102 cc e 1120 cc., Cassazione civile sez. Il, 10 aprile 1999, n. 3508: La norma di cui all'art. 1120 c.c., nel prescrivere che le innovazioni della cosa comune siano approvate, dai condomini con determinate maggioranze, tende a disciplinare l'approvazione di quelle innovazioni che comportano oneri di spesa per tutti i condomini; ma, ove non debba procedersi a tale ripartizione per essere stata la spesa relativa alle innovazioni di cui si tratta assunta interamente a proprio carico da un condomino, trova applicazione la norma generale di cui all'art. 1102 c.c., che contempla anche le innovazioni, ed in forza della quale ciascun partecipante può servirsi della cosa comune, a condizione che non ne alteri la destinazione a non impedisca agli altri condomini di farne uguale uso secondo il loro diritto, e, pertanto, può apportare a proprie spese le modificazioni necessarie per il miglior godimento della cosa comune. Ne consegue che, ricorrendo dette condizioni, il condomino ha facoltà di installare a proprie spese nella tromba delle scale dell'edificio condominiale un ascensore, ponendolo a disposizione degli altri condomini, e può far valere il relativo diritto con azione di accertamento, in contraddittorio degli altri condomini che contestino il diritto stesso, indipendentemente dalla mancata impugnazione della delibera assembleare che abbia respinto la sua proposta al riguardo.

E' opportuno sottolineare che, con riferimento al diritto di realizzare innovazioni o modificazioni della cosa comune, la legge pone al singolo condomino limiti più stringenti di quelli che essa pone alla compagine condominiale, poiché è evidente che una determinata modificazione o innovazione su una parte comune di un edificio può alterare la sua destinazione o impedire agli altri condomini il pari uso della stessa (e quindi essere vietata al singolo condomino ai sensi dell'articolo 1102 cc) senza tuttavia renderla inservibile per alcun condomino e senza pregiudicare la stabilità o la sicurezza o il decoro architettonico del fabbricato (e quindi senza essere vietata alla compagine condominiale ai sensi dell'articolo 1120 cc).

Tanto premesso, in ordine ai rapporti tra gli artt. 1102 e 1120 c.c., si deve ora considerare la portata delle disposizioni introdotte in materia con l' art. 2 legge n. 13/1989.

Il primo comma di tale articolo introduce una deroga al principio, fissato nel quinto comma dell'art. 1136 c.c., secondo cui le delibere condominiali in materia di innovazioni devono essere approvate a maggioranza qualificata, stabilendo che, ove si tratti di innovazioni destinate al superamento di barriere architettoniche, per la relativa deliberazione assembleare è sufficiente la maggioranza ordinaria.

Il comma 2 dell'art. 2 legge n. 13/1989 prevede, per il caso di rifiuto o inerzia del condominio in ordine alla deliberazione delle innovazioni necessarie per il superamento di barriere architettoniche, il diritto dei portatori di handicap di installare a proprie spese servoscala o strutture mobili.

Il comma 3 dell'art. 2 legge n. 13/1989 fa espressamente salve le disposizioni di cui agli artt. 1120, comma 2, e 1121, comma 3, c.c.

Dall'analisi del costrutto normativo contenuto nei tre commi dell'articolo 2 L. 13/89 risulta chiaro che il secondo ed terzo comma attribuiscono al singolo condomino il diritto di installare servoscala o strutture mobili destinate a superare le barriere architettoniche senza vincolarlo al rispetto dei limiti di cui all'articolo 1102 cc, bensì nel rispetto dei (meno stringenti) limiti di cui all'articolo 1120 cc. Ciò risulta dal duplice rilievo che:

a) II secondo comma evidentemente esenta l'installazione di servoscala e strutture mobili dal rispetto dei limiti di cui all'articolo 1102 cc, perché, se così non fosse, si tratterebbe di norma inutiliter data, posto che, nel aspetto di quei limiti, già l'articolo 1102 autorizzava tale (e qualunque altra) modificazione delle parti comuni di un fabbricato condominiale ad opera e spese di un singolo condomino.

b) II comma terzo dell'articolo 2 L. 13/89 è evidentemente collegato al comma secondo e non al comma primo del medesimo articolo; vale a dire, esso tende a disciplinare il potere del singolo condomino di installare a proprie cure e spese servoscala e strutture mobili e non a disciplinare il potere dell'assemblea condominiale di disporre innovazioni tendenti al superamento delle barriere architettoniche. Il potere dell'assemblea condominiale di disporre innovazioni (di qualunque contenuto e scopo e, quindi, anche dirette alla eliminazione di barriere architettoniche) era infatti comunque già disciplinato dall'intero corpo di disposizioni rinvenibili negli articoli 1120 e 1121 cc, cosicché non ci sarebbe stata alcuna necessità di un espresso richiamo ad alcune di tali disposizioni nell'ambito dell'articolo 2 della legge 13/89. A tale richiamo si può invece attribuire senso chiaro ed incisivo se lo si riferisce al potere del singolo condominio di porre in essere le opere di cui al secondo comma dell'articolo 2 L. 13/89. In tal guisa appare chiaro che il terzo comma dell'articolo 2 L. 13/89 è stato dettato per assegnare al potere del singolo condomino di collocare servoscala e strutture mobili i limiti (meno stringenti di cui all'articolo 1102 cc) dettati dall'articolo 1120 secondo comma cc e la disciplina di cui all'articolo 1121 terzo comma cc; limiti e disciplina che, nel sistema del codice, riguardano il potere di realizzare innovazioni che spetta alla assemblea condominiale e non quello che spetta al singolo condomino. Va in proposito sottolineato che, mentre il primo comma dell'articolo 2 L. 13/89 fa riferimento a qualunque possibile innovazione destinata al superamento delle barriere architettoniche (nella casistica l'ipotesi più frequente è quella dell'ascensore), il secondo comma dello stesso articolo ha un oggetto ben più limitato, in quanto contempla esclusivamente servoscala e strutture mobili facilmente rimovibili (oltre che modifiche delle porte di accesso); in sostanza, il secondo comma indica un minum di opere che il singolo condomino ha diritto di realizzare -anche al di fuori dei limiti di cui all'articolo 1102 cc (ma entro i limiti di cui al secondo comma dell'articolo 1120 cc) - quando la compagine condominiale abbia ricusato l'adozione di qualunque opera idonea a superare le barriere architettoniche.

In definitiva, per effetto del disposto dell'art. 2 legge n. 13/1989, deve riconoscersi il diritto del singolo condomino di installare servoscala o strutture mobili facilmente amovibili anche se in tal modo venga alterata la destinazione di talune parti comuni dell'edificio o venga impedito il diritto degli altri condomini di fare parimenti uso di dette parti comuni, purché non sia pregiudicata la stabilità o la sicurezza o il decoro architettonico del fabbricato e non si rendano talune sue parti comuni inservibili all'uso o al godimento anche di un solo condomino.

Tanto premesso, si osserva che dalla C.T.U. effettuata in primo grado emerge che il servoscala installato dal sig. S. non pregiudica né la stabilità, né la sicurezza, né il decoro dell'edificio, né, infine, rende le scale "inservibili all'uso o al godimento" dei condomini o anche di uno solo di loro. Ovviamente il servoscala restringe, con la sua presenza, la larghezza del vano scale, la quale, da 100 cm, si riduce, nel punto occupato dal servoscala, a 54 o a 32 cm, a seconda che il macchinario sia fermo o già in funzione (quindi con le parti ribaltabili abbassate). Ma si tratta di un restringimento che interessa solo lo spazio occupato dal macchinario, in quanto, per il resto della scala, l'unico ingombro è quello costituito dalla sbarra a cremagliera su cui il macchinario si appoggia; ingombro, quest'ultimo, non misurato dal C.T.U. ma che, dalle fotografie, allegate alla relazione di consulenza, si evidenzia come molto modesto.

La presenza del servoscala determina dunque, in definitiva, una riduzione della larghezza utile del vano scale; riduzione quasi irrilevante per quanto concerne il modestissimo ingombro della sbarra a cremagliera, ma obiettivamente assai incisiva per quanto concerne la strozzatura che si determina nel punto in cui il servoscala staziona quando non è in uso, anche perché si deve tenere conto della ulteriore riduzione della larghezza utile del vano scale che deriverà dall'esecuzione del capo non impugnato della sentenza di primo grado, nel quale il Giudice di Pace ha ordinato il "ripristino del corrimano nel tratto che risulta agganciato al muro con la conseguente e piena liberazione dei contatori del gas".

Tanto premesso, si osserva che il sacrificio concretamente imposto agli altri condomini dalla presenza del servoscala si risolve nei seguenti disagi:

a) impossibilità di salire o scendere per le scale quando il servoscala sia in funzione, con conseguente necessità di attendere che esso abbia compiuto la sua corsa prima di impegnare le scale;

b) impossibilità di scambio tra chi sale e chi scenda, o di sorpasso tra chi proceda nella stessa direzione, nel punto delle scale in cui il macchinario è stabilmente collocato quando è fermo;

c) per il caso di transito con bagagli o carichi ingombranti, necessità di compiere manovre più o meno scomode o faticose per attraversare la strozzatura corrispondente al punto di stazionamento stabile del macchinario, nonché possibilità di fastidi derivanti dalla presenza della sbarra a cremagliera.

I disagi ora elencati, pertanto, rappresentano quelli minimi indispensabili per garantire l'accessibilità dell'appartamento del S. ad un disabile, poiché, come risulta dalla C.T.U. svolta in primo grado, il servoscala installato dall'appellante è tra quelli di minore dimensioni disponibili in commercio e, d'altra parte, lo stesso Consulente ha escluso l'esistenza di soluzioni alternative.

Tanto premesso, si osserva che la presenza del servoscala in questione determina indubbiamente una riduzione, ma non una eliminazione, della possibilità degli altri condomini di godere ed usare delle scale; la presenza del servoscala, dunque, riduce la utilizzabilità delle scale condominiali da parte degli altri condomini, ma non rende le scale stesse "inservibili", come recita l' art. 1120 comma 2, c.c.

Nella fattispecie non risultano dunque superati i limiti di cui al secondo comma dell'art. 1120 c.c., che sono quelli a cui l' art. 2 legge n. 13/1989 ancora il bilanciamento legale tra le esigenze di tutela della proprietà e i principi di solidarietà sociale. Vedi, in argomento, App. Genova 03-02-1999, Lazzari c. Cond. via Vittorio Veneto n. 8 S. Margherita Ligure: "Non contrasta con l'art. 1120 comma 2 c.c., la deliberazione condominiale con cui viene decisa l'installazione nel vano scala comune di un servoscala di tipo "skilift" che non rende inservibile l'uso della scala, ma determina soltanto il restringimento del precedente passaggio sui gradini."

Deve dunque in definitiva affermarsi il diritto del S. di mantenere in opera il servoscala da lui installato.

Due precisazioni, peraltro, sono ancora necessarie, in relazione ad alcuni passaggi argomentativi della sentenza del Giudice di Pace che sono stati ripresi dalle parti nelle difese spiegate in questa sede.

La prima riguarda l'affermazione, contenuta nella sentenza impugnata, secondo cui la situazione dedotta in giudizio non sarebbe riconducibile nella previsione dell'articolo 2 L. 13/89, perché il servoscala è stato installato per sopperire all'handicap che affligge la madre del sig. S., non residente nell'appartamento del figlio; detto servoscala, quindi, non sarebbe necessario per un uso quotidiano, ma solo saltuario, legato alle occasioni in cui il figlio ospita in casa la madre per accudirla. In proposito si osserva che tali circostanze (in linea di fatto pacifiche) non giustificano la non applicazione nella fattispecie del secondo comma dell'articolo 2 L. 13/89. L'interpretazione costituzionalmente orientata di questa disposizione impone infatti di ritenere, sulla scorta della ratio legis risultante anche dal sistema complessivo della legislazione in materia di disabilità, che il diritto del singolo condomino di installare servoscala o strutture mobili e facilmente amovibili prescinda dalla sua qualità di portatore di handicap o di esercente la tutela o potestà su un portatore di handicap. L'attribuzione di tale diritto tende infatti a soddisfare esigenze extrapatrimoniali che non si esauriscono nella sfera degli interessi dominicali ma concernono la salvaguardia di diritti I fondamentali della persona, tra i quali rientra il diritto del portatore di handicap di svolgere una vita di relazione completa e, quindi, di frequentare -per le più varie ragioni- le persone che abitino in un immobile condominiale.per lui inaccessibile (vedi, in argomento C. Cost. 167 /99, in motivazione, che parla del "diritto del portatore di handicap ad una normale vita di relazione, che trova espressione e tutela in una molteplicità di precetti costituzionali: evidente essendo che l'assenza di una vita di relazione, dovuta alla mancanza di accessibilità abitativa, non può non determinare quella disuguaglianza di fatto impeditiva dello sviluppo della persona che il legislatore deve, invece, rimuovere"). Esigenza che deve ritenersi tutelata dal sistema -nel contemperamento delle ragioni della proprietà con le imprescindibili ragioni di solidarietà sociale tutelate direttamente dagli articoli 2 e 3 della Costituzione- con l'attribuzione al proprietario di tale immobile del potere di chiedere ai condomini l'adozione delle deliberazioni di cui al comma primo dell'articolo 2 L. 13/89 (validamente approvabili con maggioranza non qualificata) o, in difetto, di realizzare gli interventi di cui al comma secondo dello, stesso articolo, al fine di consentire l'accesso all'immobile a portatori di handicap che nel medesimo vivano o che il medesimo frequentino. Vedi, in argomento,

Le agevolazioni consentite dalla legge n. 13 del 1989 in tema di eliminazione delle barriere architettoniche sono applicabili anche senza la presenza nell'edificio interessato di handicappati che vi abitino, posto che la "ratio" degli interventi della legge n. 118 del 1971 (richiamata espressamente dall'art. 2 della legge n. 13 del 1989) è proprio quella di consentire la visitabilità degli edifici medesimi da parte di tutti coloro che hanno occasione di accedervi e che i portatori di handicap possono avere relazioni con l'immobile anche di natura diversa dalla proprietà (si pensi agli inquilini, ai loro parenti, agli abituali frequentatori, eccetera). La presenza nello stabile di abitanti handicappati vale invece a rendere operanti le provvidenze di ordine economico previste dalla legislazione regionale.

Tribunale Milano, 22 marzo 1993

II disposto dell'art. 2 comma 1 L. 9 gennaio 1989 n. 13, che richiede per le innovazioni dirette ad eliminare le barriere architettoniche negli edifici privati maggioranze inferiori a quelle dettate dall'art. 1136 comma 4 c.c. trova applicazione anche se in un condominio non risiedono persone portatrici di handicap.

Tribunale Milano 19 settembre 1991,

La seconda precisazione riguarda l'affermazione del Giudice di Pace secondo cui la situazione dedotta in giudizio non sarebbe riconducibile nella previsione del secondo comma dell'articolo 2 L. 13/89 perché tale disposizione prevede che i portatori di handicap possano installare servoscala o strutture mobili "nel caso il Condominio rifiuti di assumere o non assuma entro tre mesi dalla richiesta fatta per iscritto le deliberazioni" di cui al primo comma dello stesso articolo; laddove, nella specie, non risulta che il S. abbia in alcun modo investito l'assemblea condominiale della questione relativa alla accessibilità del suo appartamento per i disabili.

In proposito si osserva che è pacifico il S. non chiese per iscritto al Condominio l'installazione del servoscala, né convocò alcuna assemblea con tale ordine del giorno, ma ciò è irrilevante ai fini dell'affermazione del suo diritto a tale installazione. Al riguardo si deve infatti rilevare che la ratio della norma per la quale il diritto di installare un servoscala sorge in capo al singolo condomino solo dopo l'inutile decorso del termine dilatano di tre mesi dalla sua richiesta scritta al Condominio di rimuovere le barriere architettoniche è quella di assegnare alla compagine condominiale uno spatium deliberandi in ordine alla eventuale realizzazione, a spese comuni, di opere funzionali all'eliminazione delle barriere architettoniche. Ciò posto, si osserva che nella specie:

a) per un verso, non è possibile installare nel palazzo un ascensore e, comunque, non esiste alcuna "soluzione alternativa che in qualche modo possa migliorare lo stato dei luoghi (così pag. 6 della CTU);

b) per altro verso, la maggioranza condominiale non è disponibile ad installare a spese comuni un servoscala (unica innovazione tecnicamente possibile per garantire l'accessibilità dell'appartamento del S. ai disabili), come fatto palese dalla opposizione sia del condomino J. B. (vedi la lettera da costui inviata al S. in data 20.3.01, prodotta nel fascicolo dell'appellata M. A.), sia delle condomine M. e S. A. alla installazione di un servoscala, pur se a spese esclusive del S.

Nella situazione dedotta in giudizio risulta dunque con certezza la volontà della compagine condominiale di non realizzare l'unica innovazione tecnicamente possibile per il superamento delle barriere architettoniche, ossia quel servoscala che il S. ha installato a spese proprie; ciò equipara perfettamente la fattispecie in esame all'ipotesi dell'inutile decorso di tre mesi dalla richiesta scritta di deliberazione assembleare in materia e rende ininfluente, ai fini della integrazione della fattispecie costitutiva del diritto del S. di installare il servoscala, l'omessa formulazione di tale richiesta scritta da parte sua.

Deve quindi in definitiva riformarsi il capo impugnato della pronuncia di primo grado -recante la condanna del S. alla rimozione del servoscala de qua o, in alternativa, la autorizzazione ad installarlo solo nel momento di insorgenza del bisogno- e, in accoglimento dell'appello, dichiararsi il diritto del S. stesso all'installazione e mantenimento di tale struttura.

Va inoltre respinto l'appello incidentale presentato, dalla sig.ra M. A. in ordine al capo della pronuncia di primo grado concernente il riparto delle spese di CTU. In questa sede si devono infatti regolare le spese di entrambi i gradi di giudizio e, in considerazione della obbiettiva complessità ed opinabilità delle questioni trattate (nonché della soccombenza del S. sul capo non impugnato della sentenza di primo grado), si stima equo compensare interamente tra le parti le spese di entrambi i gradi di giudizio, ponendo le spese di CTU, conformemente a quanto disposto in primo grado, per metà a carico del S. e per metà a carico delle Sig.re A.

P.Q.M.

Il Tribunale di Firenze, in composizione monocratica, definitivamente pronunciando, in accoglimento dell'appello principale proposto da S. E. avverso la sentenza n. 3055/2003 del Giudice di Pace di Firenze, in riforma del capo impugnato di detta sentenza, dichiara che il sig. E. S. ha diritto all'installazione e mantenimento del servoscala di cui è causa.

Rigetta l'appello incidentale proposto dalla sig.ra M. A. avverso la regolazione delle spese di C.T.U. operata in primo grado e dichiara interamente compensate tra le parti le spese di entrambi i gradi di giudizio, ponendo le spese della CTU svolte in primo grado per metà a carico del S. e per metà a carico delle signore M. e S. A.

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