Il giudizio in merito alla prevalenza delle esigenze dei portatori di handicap su quelle connesse alle distanze legali è già stato dato con la legge n. 13/1989

Le norme contenute nei regolamenti edilizi che stabiliscono le distanze tra gli edifici e tra questi ed i terreni confinanti, poiche' sono volte non solo ad evitare la formazione di intercapedini dannose tra edifici frontistanti ma anche, con lo stabilire una distanza tra le costruzioni superiori a quella prevista dall'articolo 873 c.c., a tutelare l'assetto urbanistico del territorio, vanno osservate a prescindere dal fatto che gli edifici si fronteggino, in quanto conservano carattere integrativo delle norme del codice civile anche qualora siano inserite in un contesto normativo come il piano regolatore, volto a tutelare il paesaggio o regolare l'assetto del territorio, poiche' tendono a disciplinare i rapporti di vicinato e ad assicurare in modo equo l'utilizzazione edilizia dei suoli privati. Pertanto, la loro violazione consente al privato di ottenere la riduzione in pristino dello stato degli immobili" (ex plurimis Cass., sez. 6 - 2 , ordinanza n. 3854 del 2014; sez. 2 , sentenza n. 24013 del 2008).

Corte di Cassazione, Sezione 2 civile, Sentenza 10 aprile 2015, n. 7273



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REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PICCIALLI Luigi - Presidente

Dott. NUZZO Laurenza - Consigliere

Dott. PETITTI Stefano - Consigliere

Dott. PICARONI Elisa - rel. Consigliere

Dott. ABETE Luigi - Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 18506/2009 proposto da:

(OMISSIS) (OMISSIS), (OMISSIS) (OMISSIS), elettivamente domiciliati in (OMISSIS), presso lo studio dell'avvocato (OMISSIS), rappresentati e difesi dall'avvocato (OMISSIS);

- ricorrenti -

contro

(OMISSIS) (OMISSIS), (OMISSIS) (OMISSIS), (OMISSIS) (OMISSIS), (OMISSIS) (OMISSIS), elettivamente domiciliati in (OMISSIS), presso lo studio dell'avvocato (OMISSIS), che li rappresenta e difende;

- c/ric. e ricorrenti incidentali -

contro

(OMISSIS) (OMISSIS), (OMISSIS) (OMISSIS), elettivamente domiciliati in (OMISSIS), presso lo studio dell'avvocato (OMISSIS), rappresentati e difesi dall'avvocato (OMISSIS);

- controricorrenti all'incidentale -

e contro

(OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS);

- intimati -

avverso la sentenza n. 322/2008 della CORTE D'APPELLO di MESSINA, depositata il 12/06/2008;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 12/02/2015 dal Consigliere Dott. ELISA PICARONI;

udito l'Avvocato (OMISSIS), difensore dei controricorrenti e ricorrenti incidentali, che si e' riportato agli scritti ed ha insistito sull'inammissibilita' o, in subordine, sul rigetto del ricorso principale;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. CELESTE Alberto, che ha concluso per l'accoglimento del ricorso principale, per l'inammissibilita' del primo motivo e per l'assorbimento del secondo motivo del ricorso incidentale condizionato.

RITENUTO IN FATTO

1. - E' impugnata la sentenza della Corte d'appello di Messina, depositata il 12 giugno 2008, che ha riformato parzialmente la sentenza del Tribunale di Messina resa nella causa promossa da (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS) nei confronti di (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS).

1.1. - I sigg. (OMISSIS)- (OMISSIS) - usufruttuari dell'appartamento sito al piano terra dell'edificio ubicato in localita' (OMISSIS), e proprietari di alcune superfici di terreno non edificate poste ai lati nord ed est del medesimo edificio - avevano agito nei confronti di (OMISSIS) e di (OMISSIS), proprietari del primo e del secondo piano del suddetto edificio, per sentirli condannare alla rimozione delle aste e dei fili di ferro che avevano installato sulle ringhiere dei balconi aggettanti per stendere la biancheria. Gli attori avevano lamentato la sottrazione di luce ed aria, l'impedimento al pieno esercizio dei loro diritti, i danni da stillicidio, e l'indebito esercizio da parte dei convenuti del diritto di superficie.

1.2. - I coniugi (OMISSIS)- (OMISSIS) avevano rivendicato, in via riconvenzionale, la comproprieta' condominiale della zona di porticato acquistata dagli attori, chiedendo che fosse ordinata la demolizione di due manufatti costruiti senza il rispetto della distanza legale dall'edificio principale, nonche' di un vano interrato posto sotto un'area condominiale e della recinzione di un'area comune che era stata adibita a parcheggio.

1.3. - Si era costituito (OMISSIS) deducendo che gli attori avevano costruito manufatti senza rispettare la distanza legale dalla veduta, e ne aveva chiesto la rimozione.

1.4. - Il Tribunale aveva rigettato le domande proposte dagli attori, e, accertato che manufatti da essi realizzati (vano in muratura, tetto tegolato esterno all'edificio, muro in laterizi tipo frangisole) non rispettavano le distanze legali, ne aveva ordinato la rimozione, compensando parzialmente le spese di lite.

1.5. - Proponevano appello i sigg. (OMISSIS)- (OMISSIS); resistevano con autonome difese gli appellati (OMISSIS)- (OMISSIS) e (OMISSIS)- (OMISSIS).

2. - La Corte d'appello accoglieva parzialmente il gravame osservando, in primo luogo, che il muro di cinta realizzato in laterizi tipo frangisole doveva essere demolito solo in parte, e cioe' fino al raggiungimento della distanza di tre metri dalla veduta, da calcolarsi dalla parte piu' esterna del balcone.

2.1. - Quanto alla costruzione esterna all'edificio, posta a distanza inferiore da quella minima di dieci metri tra pareti finestrate, si trattava di vano che presentava caratteristiche tali da risultare indispensabile per lo svolgimento di attivita' primarie di vita per l'attore (OMISSIS), portatore di handicap, il quale utilizzava il vano in oggetto per svolgere l'attivita' di radioamatore, che gli consentiva di mantenere contatti e relazioni. Inoltre, nello stesso vano era stato realizzato un servizio igienico appositamente predisposto per le esigenze di (OMISSIS), come risultava dalla certificazione sanitaria. Trovava dunque applicabile, al caso di specie, la deroga alle norme sulle distanze legali prevista dallaLegge n. 13 del 1989.

2.2. - Era confermato il rigetto delle domande di rimozione degli stenditoi, riproposta dagli appellanti.

3. - Per la cassazione della sentenza d'appello hanno proposto ricorso (OMISSIS) e (OMISSIS), sulla base di tre motivi.

Resistono con controricorso (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS), e propongono ricorso incidentale condizionato, sulla base di due motivi, al quale resistono con controricorso (OMISSIS) e (OMISSIS).

I sigg. (OMISSIS)- (OMISSIS) hanno depositato memoria in prossimita' dell'udienza, e note di replica in esito alle conclusioni rassegnate in udienza dal P.G..

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. - Preliminarmente deve essere rigettata l'eccezione di inammissibilita' del ricorso principale, formulata nel controricorso e ribadita nella memoria illustrativa e nelle note dr udienza.

1.1. - In disparte la parziale genericita' del quesito di diritto che conclude il primo motivo di ricorso, i rimanenti motivi, che denunciano limiti motivazionali, sono ammissibili.

1.2. - La contestuale prospettazione della omissione e della insufficienza della motivazione deve essere intesa in senso alternativo e non cumulativo, proprio in ragione della impossibilita' logica che la motivazione sia, ad un tempo, omessa ed insufficiente. Egualmente e' a dirsi, mutatis mutandis, in riferimento alla censura di contraddittorieta' della motivazione.

Si deve affermare, inoltre, che la censura di omessa motivazione costituisce lo strumento specifico attraverso il quale la parte puo' contestare il mancato esame, in tutto o in parte, di una questione sottoposta al giudice del merito, e quindi l'inadeguatezza della pronuncia sul punto, laddove con il motivo di ricorso ex articolo 360 c.p.c., n. 4, si censura l'assenza di pronuncia.

Quanto ai limiti del sindacato di legittimita', essi sono interni alla struttura del motivo configurato dall'articolo 360 c.p.c., n. 5, e pertanto l'inammissibilita' colpisce il motivo che si risolva nella critica pura e semplice alla decisione impugnata, senza evidenziarne l'inadeguatezza ovvero la contraddittorieta', nel rispetto del principio dell'autosufficienza (ex plurimis, Cass., Sez. U., sentenza n. 24148 del 2013).

E infine, non sussiste l'inammissibilita' del terzo motivo del ricorso principale, con il quale e' contestata la valutazione della sussistenza, nel caso concreto, dei requisiti richiesti dal legislatore per l'applicazione della deroga prevista dalla Legge n. 13 del 1989, articolo 3. La censura concerne la completezza dell'esame della fattispecie concreta, e quindi della motivazione con la quale la Corte d'appello ha giustificato l'applicazione della disciplina derogatoria.

2. - Passando al merito dei ricorsi, va rilevato che il ricorso incidentale, pure se condizionato, prospetta nel primo motivo la questione dell'erronea applicazione dell'articolo 873 c.c., che deve essere trattata prioritariamente, perche' potenzialmente assorbente -

2.1. - Con il primo motivo del ricorso incidentale e' dedotta violazione dell'articolo 112 cod. proc. civ. e dell'articolo 873 c.c., in relazione all'articolo 360 c.p.c., nn. 3 e 4.

2.1.1. - Si contesta l'omessa pronuncia sul secondo motivo di appello, testualmente riportato in ricorso, nel quale i sigg. (OMISSIS)- (OMISSIS) avevano chiesto la riforma della sentenza di primo grado sul rilievo della inapplicabilita', nella specie, dell'articolo 873 c.c.. Come era emerso dalla etra, il fabbricato in contestazione non aveva creato alcuna intercapedine, non trovandosi in posizione frontistante alla parete condominiale dell'appartamento di proprieta' (OMISSIS)- (OMISSIS).

In ossequio al disposto di cui all'articolo 366 bis c.p.c., applicabile ratione temporis, sono formulati i seguenti quesiti di diritto: "se la sentenza della Corte d'appello di Messina ... debba essere cassata per non avere valutato ed accolto la prima parte del secondo motivo di appello, con il quale si era dedotto che erroneamente il giudice di primo grado aveva applicato l'articolo 873 c.c., senza considerare che tale disposizione presuppone che si tratti di edifici frontistanti - e tali non sono quelli oggetto di esame - e che conseguentemente non si e' creata alcuna intercapedine o situazione di pericolo"; e "se l'articolo 873 c.c., in ragione delle finalita' che ne costituiscono il fondamento di impedire intercapedini dannose, non debba essere applicato alla fattispecie controversa ove si consideri che i due edifici non sono frontistanti, con la conseguenza che non si e' determinata alcuna intercapedine dannosa".

2.2. - Il motivo e' infondato.

2.2.1. - La Corte d'appello ha esaminato il motivo di appello richiamando la descrizione dei luoghi contenuta nella relazione Gentiluomo, dalla quale risultava che il vano - libero su tre lati - era posizionato a circa 6,10 metri dall'opposta facciata a piano terra, ed ha concluso che lo stesso doveva considerarsi frontistante a detta facciata. La stessa Corte ha quindi proceduto all'esame della questione, logicamente subordinata, della applicabilita' della deroga prevista dalla Legge n. 13 del 1989, articolo 3.

Non sussiste, quindi, la denunciata omissione di pronuncia.

2.2.2. - Risulta infondata anche la censura di violazione di legge. Secondo l'orientamento consolidato della giurisprudenza di legittimita', "le norme contenute nei regolamenti edilizi che stabiliscono le distanze tra gli edifici e tra questi ed i terreni confinanti, poiche' sono volte non solo ad evitare la formazione di intercapedini dannose tra edifici frontistanti ma anche, con lo stabilire una distanza tra le costruzioni superiori a quella prevista dall'articolo 873 c.c., a tutelare l'assetto urbanistico del territorio, vanno osservate a prescindere dal fatto che gli edifici si fronteggino, in quanto conservano carattere integrativo delle norme del codice civile anche qualora siano inserite in un contesto normativo come il piano regolatore, volto a tutelare il paesaggio o regolare l'assetto del territorio, poiche' tendono a disciplinare i rapporti di vicinato e ad assicurare in modo equo l'utilizzazione edilizia dei suoli privati. Pertanto, la loro violazione consente al privato di ottenere la riduzione in pristino dello stato degli immobili" (ex plurimis Cass., sez. 6 - 2 , ordinanza n. 3854 del 2014; sez. 2 , sentenza n. 24013 del 2008).

3. - Il ricorso principale e' fondato por quanto di ragione.

3.1. - Con il primo motivo e' dedotta violazione e falsa applicazione della Legge n. 13 del 1989, del Decreto Ministeriale 14 giugno 1989, n. 236, degli articoli 871, 872 e 873 c.c., dell'articolo 28 del PRG del Comune di Messina, dell'articolo 11 preleggi.

3.2. - Si contesta l'applicazione della normativa per il superamento delle barriere architettoniche, sulla base dei seguenti rilievi: a) la Legge n. 13 del 1989, riguarderebbe soltanto le opere direttamente e strettamente necessarie a consentire il comodo e sicuro accesso delle persone con ridotta o impedita capacita' motoria negli edifici privati; b) laLegge n. 13 del 1989, non sarebbe applicabile retroattivamente, ma solo alle opere realizzate dopo la sua entrata in vigore; c) la stessa legge non autorizzerebbe la costruzione di edifici ex novo, ma soltanto interventi su edifici preesistenti o innovazioni sulle parti comuni, finalizzate a rimuovere gli ostacoli per l'accesso da parte delle persone con ridotta o impedita capacita' motoria.

3.2.1. - Si assume che il fabbricato in contestazione - realizzato nel 1986 (quando la normativa edilizia locale prescriveva un distacco tra edifici non inferiore a 10 metri), e quindi prima dell'entrata in vigore della Legge n. 13 del 1989, - non potrebbe fruire del regime derogatorio previsto dalla citata normativa perche', pur contenendo strutture o servizi che utili, comodi o perfino necessari alla persona disabile, non sarebbe assimilabile ad un intervento diretto al superamento delle barriere architettoniche.

In ossequio al disposto di cui all'articolo 366 bis c.p.c., applicabile ratione temporis, e' formulato il seguente quesito di diritto: "se la deroga alle norme sulle distanze fissate dal codice civile e dai regolamenti edilizi locali integrativi, prevista dalla Legge n. 13 del 1989, articolo 3, non possa operare con riferimento ad interi fabbricati costruiti anteriormente all'entrata in vigore della predetta legge e per finalita' del tutto diverse da quelle perseguite dalla legge medesima".

3.3. - La doglianza e' infondata nella parte in cui il quesito di diritto e' specifico, e quindi ammissibile.

3.3.1. - Occorre distinguere l'irretroattivita' della Legge n. 13 del 1989, recante "Disposizioni per favorire il superamento e l'eliminazione delle barriere architettoniche negli edifici privati", dall'applicazione della stessa, e in specie dell'articolo 3, ad interventi edilizi realizzati antecedentemente, dei quali sia chiesta la rimozione. L'accertamento della illegittimita' di un intervento edilizio per violazione delle distanze legali, qualora venga in rilievo il tema del superamento delle barriere architettoniche, deve essere effettuato necessariamente alla luce della normativa in oggetto.

L'ordinamento non puo', ad un tempo, dettare norme a favore del superamento delle barriere architettoniche e consentire la rimozione di interventi edilizi che tale finalita' realizzino.

Il punto cruciale risiede, come e' evidente, nella valutazione della riconducibilita' dell'intervento edilizio antecedente al 1989 alle previsioni della legge citata, la cui ratio risiede nel garantire "l'accessibilita', l'adattabilita' e la visitabilita'" degli edifici privati da parte di soggetti con disabilita' motorie o visive (Legge n. 13 del 1989, articoli 1 e 2, che richiama, per la nozione di barriere architettoniche, laLegge n. 118 del 1971, articolo 27, e ilDecreto del Presidente della Repubblica n. 384 del 1978, articolo 1, successivamente sostituito dal Decreto del Presidente della Repubblica n. 503 del 1996, articolo 1).

4. - Con il secondo motivo e' dedotto vizio di motivazione circa un fatto controverso e decisivo.

4.1. - Si assume che la Corte d'appello avrebbe omesso di esaminare la contestazione dei documenti prodotti soltanto nel giudizio d'appello (documentazione dell'AUSL n. (OMISSIS) e perizia giurata a firma dell'ing. (OMISSIS), riguardanti, tra l'altro, la necessita' del sig. (OMISSIS) di effettuare frequenti bagni), che riguardava anche il contenuto dei documenti, con la conseguenza che le circostanze di fatto da essi risultanti non potevano considerarsi pacifiche.

4.2. - In ogni caso, i ricorrenti lamentano l'incongruita' o illogicita' della motivazione circa il fatto controverso e decisivo della sussistenza di ragioni idonee a conferire al fabbricato la qualita' di opera realizzata per superare le barriere architettoniche, individuate nelle circostanze risultanti dalla contestata documentazione, vale a dire la necessita' per la persona portatrice di handicap di effettuare frequenti bagni e l'Impossibilita' di collocare la vasca da bagno nell'appartamento di residenza.

5. - Con il terzo motivo e' dedotto vizio di motivazione circa un fatto decisivo e controverso.

5.1. - Si lamenta che la Corte d'appello non avrebbe valutato i requisiti della necessarieta' ed indispensabilita' dell'opera in assunto realizzata per il superamento delle barriere architettoniche, non essendo sufficiente - ai fini dell'applicazione della deroga alle distanze legali - il riconoscimento che la costruzione soddisfi qualsiasi esigenza della persona portatrice di handicap. In particolare, la Corte d'appello non avrebbe considerato che l'attivita' di radioamatore - rispetto alla quale non sarebbe configurabile la sussistenza di barriere architettoniche - puo' essere svolta nell'appartamento di abitazione dei sigg. (OMISSIS)- (OMISSIS), posto al pianterreno, e che, perimenti, la vasca da bagno, avrebbe potuto essere collocata nell'appartamento principale.

6. - Le doglianze prospettate con i due motivi richiamati, da esaminare congiuntamente per l'evidente connessione, sono fondate.

6.1. - Si deve rilevare la complessiva inadeguatezza della motivazione con cui la Corte d'appello ha giustificato l'applicazione, al caso di specie della disciplina in tema di superamento ed eliminazione delle barriere architettoniche, risultando assente sia la ricognizione del quadro normativo di riferimento, sia l'individuazione della ratio legis, sia la verifica della sussumibilita' della fattispecie concreta in quella astratta.

6.2. - Come affermato dalla stessa Corte d'appello, il giudizio di prevalenza delle esigenze dei soggetti portatori di handicap su quelle connesse alle distanze legali e' stato gia' formulato, una volta per tutte, dal legislatore, alla Legge n. 13 del 1989, articolo 3, che infatti prevede la deroga alla disciplina sulle distanze.

Si tratta, come e' evidente, di un giudizio che sottende valori fondamentali della vita dei soggetti portatori di handicap, ai quali deve essere garantito - e questa e' la finalita' della legge - sia l'accesso agli edifici privati, sia la mobilita' al loro interno.

6.3. - All'interno di tale contesto normativo, la sentenza impugnata non da conto delle ragioni per le quali il manufatto in contestazione costituisca intervento edilizio per il superamento, ovvero l'eliminazione di impedimenti che rientrano nella nozione di "barriere architettoniche", quale risulta dalla stessa Legge n. 13 del 1989, attraverso i richiami in essa previsti.

L'affermazione secondo cui il vano in questione "presenta caratteristiche oggettive che lo rendono indispensabile per lo svolgimento di attivita' primarie di vita per (OMISSIS) e che, per converso, le esigenze dedotte dagli appellati sono meno pressanti e rilevanti ..." non puo' valere a giustificare l'applicazione alla fattispecie in esame della deroga prevista dallaLegge n. 13 del 1989, articolo 3, perche' si risolve nell'inutile ripetizione del giudizio di prevalenza di cui la norma applicata costituisce l'espressione.

7. - Il ricorso incidentale condizionato e' infondato anche in riferimento al secondo motivo, con il quale e' dedotta violazione e falsa applicazione dell'articolo 91 c.p.c. e ss., nonche' vizio di motivazione.

7.1. - Si contesta la decisione della Corte d'appello, che ha compensato integralmente le spese del giudizio di secondo grado ed ha confermato la statuizione, sul punto, del giudice di primo grado, sul rilievo che gli appellanti (OMISSIS)- (OMISSIS) erano la parte prevalentemente vittoriosa a seguito della sentenza d'appello.

In ogni caso, si lamenta la mancata indicazione delle ragioni a supporto della decisione e l'omessa considerazione del fatto controverso, consistito nella posizione dei sigg. (OMISSIS)- (OMISSIS) rispetto all'esito del giudizio.

A corredo del motivo, e' formulato il seguente quesito di diritto: "se la sentenza della Corte d'appello di Messina ... debba essere cassata per avere fatto carico ai sig.ri (OMISSIS) della maggior parte dell'onere delle spese di primo grado ed avere compensato integralmente quelle di secondo grado, senza peraltro alcuna motivazione in ordine alle ragioni di tale pronuncia, nonostante che per effetto della decisione di appello, i predetti sig.ri (OMISSIS) debbano ritenersi prevalentemente vittoriosi nel giudizio".

7.2. - La doglianza e' infondata.

La Corte distrettuale ha motivato la decisione sulle spese di lite richiamando non solo la soccombenza reciproca delle parti, che riguardo al giudizio d'appello e' in effetti inesistente, ma anche la complessita' della valutazione oggetto del predetto giudizio, e cio' e' sufficiente a giustificare la compensazione delle spese.

8. - All'accoglimento del ricorso principale, segue la cassazione della sentenza impugnata e il rinvio ad altro giudice, individuato come in dispositivo, il quale provvedera' a riesaminare la questione riguardante l'applicabilita' dellaLegge n. 13 del 1989, articolo 3, al manufatto realizzato dai sigg. (OMISSIS)- (OMISSIS), ed a regolare le spese del giudizio di cassazione.

P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso principale per quanto di ragione; rigetta il ricorso incidentale; cassa e rinvia, anche per le spese del presente giudizio, alla Corte d'appello di Catania.

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