Il proprietario dell'ultimo piano in condominio non può ampliare e ristrutturare un locale posto sul terrazzo senza l'autorizzaizone dei condomini

Il proprietario dell'ultimo piano in condominio non può ampliare e ristrutturare un locale posto sul terrazzo e destinato a stenditoio e lavatoio in base al divieto imposto dal regolamento di condominio, salvo che, in sede assembleare, non abbia il consenso di tutti gli altri condomini interessati.
(Corte di Cassazione Sezione 2 Civile, Sentenza del 16 aprile 2008, n. 10040)



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REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PONTORIERI Franco - Presidente

Dott. MENSITIERI Alfredo - Consigliere

Dott. SCHETTINO Olindo - Consigliere

Dott. MALZONE Ennio - Consigliere

Dott. MAZZACANE Vincenzo - rel. Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso proposto da:

FR. FR., MA. BI., elettivamente domiciliati in ROMA VIA MARIO SAVINI 7 presso lo studio dell'avvocato ROMAGNA EGIDIO, che li difende unitamente all'avvocato LINO ITALO NATALE, giusta delega in atti;

- ricorrenti -

contro

SA. RE., FA. VI.;

- intintati -

avverso la sentenza n. 3892/02 della Corte d'Appello di ROMA, depositata il 06/11/02;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 27/06/07 dal Consigliere Dott. MAZZACANE Vincenzo;

udito l'Avvocato ROMAGNA Egidio, difensore dei ricorrenti che ha chiesto l'accoglimento del ricorso;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. RUSSO Rosario Giovanni, che ha concluso per l'accoglimento del ricorso.

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con atto di citazione notificato il 16 ed il 17.11.1990 i coniugi Fr.Fr. e Ma.Bi. convenivano in giudizio dinanzi al Tribunale di Roma i coniugi Sa.Re. e Fa.Vi. e, premesso di essere comproprietari dell'appartamento interno (OMESSO) al piano attico dello stabile sito in (OMESSO), assumevano che i convenuti, proprietari dell'appartamento interno (OMESSO) attiguo a quello degli attori e del sovrastante locale stenditoio e lavatoio, avevano ampliato e modificato quest'ultimo locale destinandolo ad uso abitativo senza richiedere l'autorizzazione del Condominio - prescritto dall'articolo 9 del regolamento - e con pregiudizio sia del decoro architettonico dello stabile sia dell'originario standard di abitabilita' dell'appartamento degli esponenti.

Gli attori chiedevano quindi la condanna del Sa. e della Fa. V. al ripristino dello stato dei luoghi ed al risarcimento dei danni.

I convenuti costituendosi in giudizio sostenevano che la contestata ristrutturazione non aveva comportato alcun pregiudizio a terzi e chiedevano il rigetto delle domande attrici.

Con sentenza 1382/1997 il Tribunale adito condannava il Sa. e la Fa. V. alla demolizione del manufatto in muratura da essi realizzato sul loro terrazzo posto al quinto piano dello stabile condominiale inglobando il preesistente locale stenditoio - lavatoio. Proposto gravame da parte del Sa. e della Fa. V. cui resistevano il Fr. e la Ma. la Corte di Appello di Roma con sentenza del 6.11.2002, in riforma della decisione di primo grado, ha rigettato la domanda formulata dal Fr. e dalla Ma. con l'atto di citazione notificato il 16/19.11.1990.

Per la cassazione di tale sentenza il Fr. e la Ma. hanno proposto un ricorso articolato in due motivi; il Sa. e la Fa. V. non hanno svolto attivita' difensiva in questa sede.

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo i ricorrenti, deducendo violazione di norme di diritto e vizio di motivazione, censurano la sentenza impugnata per aver ritenuto che il Sa. e la Fa. V. erano stati autorizzati dalla assemblea condominiale ad eseguire opere di ristrutturazione ed ampliamento del locale stenditoio - lavatoio in cambio dell'intero rifacimento del terrazzo condominiale e della messa in opera, a loro cura e spese, di una rastrelliera porta - antenna.

I ricorrenti assumono che in realta' nel corso dell'assemblea del 7.3.1986 (di cui hanno trascritto nel ricorso il relativo verbale) il Sa. aveva chiesto all'assemblea medesima "il permesso di ampliare il manufatto costruito sul suo terrazzo" e che peraltro nessuna delibera era stata adottata su tale istanza che oltretutto non risultava essere stata inserita nell'ordine del giorno; pertanto il Sa. e la Fa. V. avevano edificato sul terrazzo di loro proprieta' esclusiva un manufatto in muratura che aveva inglobato il preesistente locale stenditoio e lavatoio realizzando una nuova porzione abitativa di mq. 36,50, con un aumento di cubatura di mq 102 senza alcuna autorizzazione da parte dell'Assemblea Condominiale, che anzi in data 12.1.1990 aveva deliberato la sospensione dei lavori intrapresi dalle attuali controparti; sussisteva pertanto la violazione dell'articolo 11 del Regolamento di Condominio che vietava la costruzione di "qualsiasi manufatto provvisorio o permanente sui giardini privati o condominiali e sui terrazzi privati e condominiali senza autorizzazione dell'assemblea".

La censura e' fondata.

La sentenza impugnata ha rilevato che dagli atti di causa risultava che gli appellanti erano stati autorizzati dalla assemblea condominiale ad eseguire opere di ristrutturazione ed ampliamento del locale stenditoio - lavatoio in cambio dell'intero rifacimento del terrazzo condominiale e della messa in opera, a loro cura e spese, di una rastrelliera porta - antenna.

Orbene il riferimento agli atti di causa dai quali emergerebbe la suddetta autorizzazione per l'esecuzione delle opere richieste dal Sa. e dalla Fa. V. si rivela estremamente generico in quanto non consente di individuare gli elementi probatori sulla base dei quali il Giudice di Appello ha maturato la sua decisione; in particolare la mancata indicazione della delibera assembleare in ipotesi autorizzativa dei lavori suddetti (delibera necessaria ai sensi dell'articolo 11 del Regolamento di Condominio richiamato dalla stessa Corte Territoriale) si risolve in un evidente difetto di motivazione, considerato che il Fr. e la Ma., nel convenire in giudizio dinanzi al Tribunale di Roma il Sa. e la Fa. V., a sostegno della domanda introdotta, avevano dedotto che le opere eseguite da costoro erano prive di autorizzazione assembleare, come da essi ribadito in sede di ricorso per Cassazione anche mediante la trascrizione del verbale dell'assemblea del 7.3.1986; pertanto non vi e' dubbio che l'evidenziata insufficienza delle argomentazioni addotte dal Giudice di Appello a fondamento del suo convincimento attengono ad un punto decisivo della controversia.

Con il secondo motivo i ricorrenti, denunciando violazione e falsa applicazione di norme di diritto, censurano la sentenza impugnata per aver ritenuto la richiesta di indennizzo ex articolo 1127 c.c., avanzata in sede di conclusioni inammissibile ai sensi dell'articolo 346 c.p.c., in quanto nuova rispetto alle conclusioni precisate in primo grado, considerato altresi' che sul punto non era stato proposto appello incidentale.

Il Fr., e la Ma. assumono in proposito che, essendo rimasta assorbita la domanda di indennizzo ex articolo 1127 c.c., all'esito del giudizio di primo grado gli esponenti non avevano l'onere di proporre al riguardo appello incidentale.

La censura e' fondata.

La domanda avente ad oggetto l'indennizzo ai sensi dell'articolo 1127 c.c., proposta dal Fr. e dalla Ma. nel giudizio di primo grado era stata ritenuta assorbita dal Tribunale di Roma a seguito dell'accoglimento della domanda formulata in via principale; pertanto si osserva da un lato che la suddetta domanda, gia' introdotta in primo grado, non era nuova in appello, e dall'altro che gli attuali ricorrenti non avevano l'onere di formulare in proposito appello incidentale, ma soltanto di riproporre tale domanda nel giudizio di appello ai sensi dell'articolo 346 c.p.c., come invero ha dato atto la stessa sentenza impugnata nel rilevare che la domanda di indennizzo ex articolo 1127 c.c., era stata avanzata in sede di precisazione delle conclusioni; invero secondo l'orientamento consolidato di questa Corte la parte integralmente vittoriosa in primo grado che abbia proposto, oltre alla domanda principale, anche una domanda subordinata non esaminata dal primo giudice in quanto ritenuta assorbita, e' tenuta, in caso di appello, a riproporre espressamente nel giudizio di impugnazione detta domanda subordinata per non incorrere nella presunzione di rinuncia di cui all'articolo 346 c.p.c., (Cass. 20.2.1998 n. 1788; Casso 17.10.2001 n. 12696), senza quindi alcun onere di formulare al riguardo appello incidentale.

In definitiva il ricorso deve essere accolto, la sentenza impugnata deve essere cassata e la causa deve essere rinviata anche per la pronuncia sulle spese del presente giudizio ad altra Sezione della Corte di Appello di Roma.

P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia la causa anche per la pronuncia sulle spese del presente giudizio ad altra Sezione della Corte di Appello di Roma.

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