In tema di condominio l'apertura di luci e vedute è lecita e non sottoposta ai limiti di cui agli articoli 900-907 Cc

In tema di condominio, l'apertura di finestre ovvero la trasformazione di luci in vedute su un cortile comune rientra nei poteri spettanti ai singoli condomini ai sensi dell'art. 1102 cod. civ., considerato che i cortili comuni, assolvendo alla precipua finalità di dare aria e luce agli immobili circostanti, sono utilmente fruibili a tale scopo dai condomini stessi, cui spetta la facoltà di praticare aperture che consentano di ricevere, appunto, aria e luce dal cortile comune o di affacciarsi sullo stesso, senza incontrare le limitazioni prescritte, in materia di luci e vedute, a tutela dei proprietari degli immobili di proprietà esclusiva. In proposito, l'indagine del giudice di merito deve essere indirizzata a verificare esclusivamente se l'uso della cosa comune sia avvenuto nel rispetto dei limiti stabiliti dal citato art. 1102, e, quindi, se non ne sia stata alterata la destinazione e sia stato consentito agli altri condomini di farne parimenti uso secondo i loro diritti: una volta accertato che l'uso del bene comune sia risultato conforme a tali parametri deve, perciò, escludersi che si sia potuta configurare un'innovazione vietata.

Corte di Cassazione Sezione 2 Civile, Sentenza del 9 giugno 2010, n. 13874



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REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ODDO Massimo - Presidente

Dott. GOLDONI Umberto - Consigliere

Dott. BURSESE Gaetano Antonio - Consigliere

Dott. MIGLIUCCI Emilio - rel. Consigliere

Dott. CORENTI Vincenzo - Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 28072/2004 proposto da:

COND. (OMESSO) in persona dell'Amministratore pro tempore P.IVA (OMESSO), CI. VI. (OMESSO), CI. IP. MA. AN. (OMESSO), elettivamente domiciliati in ROMA, VIAL VAL PUSTERIA 2010 22/15, presso lo studio dell'avvocato CORREALE MERCEDES, rappresentati e difesi dall'avvocato CORREALE Eugenio Antonio;

- ricorrenti -

contro

BA. MA. (OMESSO), MI. SI. (OMESSO), elettivamente domiciliati in ROMA, VIA CRIVELLUCCI 21, presso lo studio dell'avvocato LAMPIASI ANDREA, rappresentati e difesi dall'avvocato GABETTA Fernando;

- controricorrenti -

avverso la sentenza n. 1975/2004 della CORTE D'APPELLO di MILANO, depositata il 06/07/2004;

udita la relazione della causa svolta nella Pubblica udienza del 13/04/2010 dal Consigliere Dott. EMILIO MIGLIUCCI;

udito l'Avvocato Stefano GATTAMELATA, con delega depositata in udienza dell'Avvocato CORREALE Eugenio difensore dei ricorrenti che ha chiesto di riportarsi agli scritti ed insiste sull'accoglimento;

udito l'Avvocato LAMPIASI Andrea, con delega depositata in udienza dell'Avvocato GABETTA Fernando, difensore dei resistenti che ha chiesto di riportarsi anch'egli;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. CENICCOLA Raffaele, che ha concluso per il rigetto del ricorso con riserva di rimessione alle S.U..

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Ba.Ma. conveniva in giudizio dinanzi al Tribunale di Milano il Condominio sito di quella citta' (OMESSO) per sentire annullare la delibera con cui l'assemblea gli aveva negato la possibilita' di ampliare la finestra del bagno dell'appartamento di sua proprieta' ubicato in quel Condominio.

Il convenuto, costituendosi in giudizio, chiedeva il rigetto della domanda.

Nel corso di causa spiegava intervento volontario Mi.Si. , che nelle more si era resa acquirente dell'immobile dell'attore ed otteneva di chiamare in causa i terzi Ci.Vi. e Ci. Ip. Ma. An. proprietari degli appartamenti verso i quali avrebbe guardato la progettata finestra.

Con sentenza depositata del 22 maggio 2002 il Tribunale annullava la impugnata delibera.

Con sentenza del 12 maggio 2004 la Corte di appello di Milano rigettava l'impugnazione proposta dal Condominio, da Ci. Vi. e Ci. Ip.Ma. An. .

In primo luogo era disattesa l'eccezione di carenza di interesse ad agire del Be. e della Mi. sollevata con il primo motivo dell'appello sul rilievo che, per quanto riguardava l'originario attore, la successione a titolo particolare nel diritto controverso non opera alcun effetto sul rapporto processuale attuando, ai sensi dell'articolo 111 cod. proc. civ., una sostituzione processuale dell'avente causa che diventa parte del processo; per quel che concerneva la Mi. , non vi era stata alcuna dichiarazione di disinteresse alla pronuncia ne' cio' era desumibile dalla linea difensiva tenuta dalla predetta che aveva dichiarato di non volere realizzare l'ampliamento della finestra.

Poiche' l'opera progettata comportava un uso individuale della cosa comune veniva escluso quindi che si fosse in presenza di un ipotesi di litisconsorzio necessario nei confronti dei condomini, posto che in materia di azioni concernenti le parti e i servizi comuni la legittimazione passiva spetta all'amministratore del condominio.

L'ampliamento della finestra, che insisteva sulla rientranza del fabbricato completamente aperta sul cortile, era considerata legittima, tenuto conto che le finestre degli appartamenti siti al primo e al secondo piano erano state ampliate ed adeguate a quelle degli appartamenti di fronte; 1 opera non determinava alcun pericolo per la statica dell'edificio; la distanza della veduta era rispettosa delle prescrizioni di cui agli articoli 905 e 906 cod. civ.. L'uso della cosa comune non impediva il pari uso agli altri condomini che, come del resto gia' fatto dai proprietari degli appartamenti siti al primo e al secondo piano, avrebbero potuto in futuro realizzare aperture simili.

Avverso tale decisione propongono ricorso per cassazione affidato a cinque motivi il Condominio di (OMESSO), Ci. Vi. e Ci. Ip.Ma. An. , che hanno depositato memoria illustrativa. Resistono con controricorso gli intimati.

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo i ricorrenti, lamentando violazione e falsa applicazione degli articoli 1102, 1130, 1131 e 1135 cod. civ., nonche' omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia (articolo 360 cod. proc. civ., n. 5), denunciano la mancata integrazione del contraddittorio nei confronti di tutti i condomini, mentre era stata disposta la parziale integrazione in relazione soltanto a due condomini.

L'attore aveva chiesto il riconoscimento il diritto di utilizzare le parti comuni e tale pretesa risultava in conflitto con i diritti degli altri condomini al rispetto delle distanze legali: tenuto conto che le opere che l'attore aveva intenzione di realizzare incidevano non soltanto sulle parti comuni ma anche sulle proprieta' esclusive e che il medesimo aveva agito per fare accertate la titolarita' di diritti reali in concorrenza o in contrasto con il diritto del singolo, sarebbe stata necessaria la partecipazione al giudizio di tutti i condomini, secondo quanto al riguardo affermato dalla giurisprudenza di legittimita'.

Il motivo e' infondato.

La domanda proposta dall'attore ha ad oggetto l'impugnativa della delibera condominiale con cui l'assemblea aveva negato l'autorizzazione all'ampliamento della finestra che il Ba. aveva chiesto con riferimento al potere spettante ai comproprietari sui muri comuni: la domanda non aveva ad oggetto l'accertamento o la costituzione di diritti reali in contrasto con quelli degli altri condomini, tenuto conto che l'assemblea del condominio ha il potere di decidere in ordine all'uso e alla gestione delle parti comuni, non rientrando nelle sue attribuzioni quello di dare o meno autorizzazioni che incidano sui diritti esclusivi dei singoli condomini (un'eventuale deliberazione sarebbe affetta da nullita' radicale). Ed appunto e sempre in relazione a quella che era stata la richiesta inoltrata all'assemblea l'attore ha agito, facendo valere l'illegittimita' della delibera in quanto emessa in violazione dei poteri spettanti ai condomini, ai sensi degli articoli 1102 e 1122 cod. civ., nell'ambito dei quali era stato prospettato il diritto di realizzare l'opera. Orbene, poiche' la controversia aveva ad oggetto la verifica in ordine al legittimo uso da parte del condomino dei beni comuni, correttamente l'azione e' stata proposta nei confronti dell'amministratore che e' il soggetto legittimato a rappresentare la collettivita' condominiale relativamente ai beni comuni.

I precedenti di legittimita' richiamati dai ricorrenti appaiono inconferenti, perche' hanno ad oggetto fattispecie del tutto diverse da quella in oggetto: nei casi esaminati dalla Cassazione la partecipazione di tutti condomini si rendeva necessaria in quanto altrimenti la sentenza, incidendo sui diritti dei condomini, sarebbe stata inutiliter data, come ad es. nel caso di arretramento o di demolizione dell'edificio condominiale realizzato in violazione delle distanze, in cui non si sarebbe potuta eseguire la relativa decisione nei confronti di quei condomini che non avessero preso parte al giudizio cosi' come non avrebbe potuto spiegare effetti nei confronti di questi ultimi la pronuncia emessa nell'ipotesi di accertamento della natura condominiale o meno di un bene.

Con il secondo motivo i ricorrenti, lamentando violazione e falsa applicazione degli articoli 111 cod. proc. civ., che non avrebbe dovuto spiegare alcun rilievo nella specie; l'attore non aveva un interesse attuale e concreto alla pronuncia in ordine all'eventuale nullita' della delibera impugnata in considerazione dell'avvenuto trasferimento della proprieta' dell'appartamento che non era piu' suo per quanto riguardava la Mi. , i Giudici non avevano considerato che la medesima aveva dichiarato di non volere realizzare la finestra, l'intervento era stato ammesso solo ai fini dell'insaturazione di una successiva controversia relativa al risarcimento dei danni: il che comportava un' inammissibile scissione fra la pronuncia generica e quella sulla liquidazione del danno. La predetta interventrice era carente di un interesse concreto ed attuale alla decisione, posto che essa acquirente aveva dichiarato di non intendere realizzare il progetto per il quale era stata formulata la richiesta di autorizzazione negata dall'assemblea: il che era confermato dalla circostanza che l'intervento era finalizzato ad ottenere un futuro risarcimento.

Il motivo e' infondato.

L'indagine relativa alla esistenza in concreto di un interesse attuale alla decisione nell'alienante della cosa litigiosa e' del tutto irrilevante, posto che la legittimazione dell'attore ad ottenere la pronuncia richiesta deriva proprio dalla sua qualita' di sostituto processuale ex lege attribuitagli dall'articolo 111 cod. proc. civ., al fine di consentire la prosecuzione del giudizio e l'emanazione della sentenza che spieghera' effetti nei confronti dell'acquirente.

Pere quanto riguarda la Mi. , la circostanza che quest'ultima avesse dichiarato di non avere al momento interesse ad eseguire l'opera, non escludeva un suo interesse ad ottenere una pronuncia che dichiarasse l'illegittimita' della delibera impugnata ed impedisse la formazione di un giudicato che sarebbe stato preclusivo di un eventuale futuro ampliamento e dell'esercizio dei poteri al riguardo spettanti ex articolo 1102 cod. civ., oltre all'eventuale conseguente risarcimento dei danni che - si noti - la Mi. si era riservata di chiedere in altro giudizio: pertanto, il riferimento alla scissione fra an e quantum debeatur e' del tutto fuori luogo, posto che nella specie nessuna domanda risarcitoria e' stata proposta dalla interventrice nel presente giudizio.

Con il terzo motivo i ricorrenti, lamentando violazione e falsa applicazione degli articoli 903 cod. civ., deve essere riconosciuto e salvaguardato anche quando si tratta di stabilire i confini di legittimita' dell'uso delle cose comuni ai sensi dell'articolo 1102 citato; la modifica delle cose comuni non puo' arrecare nocumento agli altri condomini. La sentenza si era limitata a un accenno al concetto di pari uso, peraltro incoerentemente costruito come mero diritto di potere realizzare quanto a propria volta l'altro richiede, senza esaminare quanto si era dedotto in merito ai limiti e al contenuto del diritto del condomino secondo quanto al riguardo elaborato dalla dottrina. Nella specie, era devastante il pregiudizio al diritto alla riservatezza delle signore Ip. e Ce. atteso che, per effetto della trasformazione da luce in veduta dell'apertura (attualmente apribile a vasistas, cioe' con la rotazione solo della parte piu' alta) e con l'altezza del futuro davanzale dall'attuale mt. 1,90 a cm. 94, la questa consentirebbe di guardare nell'appartamento delle Ci. per una profondita' fino a 3,30 mt. La questione non poteva essere esaminata soltanto con riferimento al tema delle distanze legali, posto che la disciplina condominiale esige ben diversi profili di esame e l'adozione di ben diversi parametri. Del resto, la giurisprudenza di legittimita', anche in materia di superamento ed eliminazione delle barrire architettoniche, ha ritenuto che l'installazione dell'ascensore non puo' comportare il sensibile deprezzamento dell'unita' immobiliare e che sono vietate le innovazioni lesive dei diritti di altro condomino sulle proprieta' esclusive indipendentemente da eventuali utilita' compensative.

Con il quarto motivo i ricorrenti, lamentando violazione e falsa applicazione degli articoli 1102, 1122 e 900 cod. civ., nonche' omessa,insufficiente e contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia, deducono che la decisione gravata non aveva esaminato la questione che la istituzione di una nuova veduta integrava una innovazione della cosa comune vietata al singolo, tenuto conto della trasformazione della luce in veduta di cui si era dedotto in comparsa di risposta.

Con il quinto motivo i ricorrenti, lamentando violazione e falsa applicazione dell'articolo 900 cod. civ., e segg., Decreto Ministeriale n. 1444 del 1968, articolo 9, nonche' omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia), deducono che essi ricorrenti avevano lamentato altresi' la violazione delle distanze legali di cui al Decreto Ministeriale n. 1444 del 1968, ed il consulente, pur avendone verificato la sussistenza, aveva ritenuto l'inapplicabilita' al condominio di tali distanze: la Corte si era limitata a recepire acriticamente le conclusioni del consulente e cio' in contrasto con gli insegnamenti della Suprema Corte.

Il terzo, il quarto e il quinto motivo, che stante la stretta connessione possono essere trattati congiuntamente, sono infondati.

In tema di condominio, ai sensi dell'articolo 1102 cod. civ.: qualora il condomino abbia utilizzato i beni comuni nell'ambito dei poteri e dei limiti stabiliti dalla norma sopra richiamata, l'esercizio legittimo dei diritti spettanti al condomino iure proprietatis esclude che possano invocarsi le violazioni delle norme dettate in materia di distanze fra proprieta' confinanti. E, se certamente e' configurabile e meritevole di tutela anche nel condominio il diritto alla riservatezza, il pregiudizio in concreto risentito non puo' prescindere da un valutazione comparativa degli opposti interessi dei condomini, dovendo il diritto di ciascuno proprietario di godere e di utilizzare la proprieta' esclusiva essere naturalmente limitato dalla necessaria contiguita' degli appartamenti, che inevitabilmente comporta restrizioni delle facolta' di godimento che al proprietario spetterebbero, dovendo al riguardo ritenersi connaturate quelle limitazioni che siano l'effetto dell'esercizio legittimo dei poteri spettanti agli altri comproprietari. Pertanto, l'indagine che il giudice di merito deve compiere ha ad oggetto esclusivamente se l'uso della cosa comune sia avvenuto nel rispetto dei limiti stabiliti dal citato articolo 1102, dovendo al riguardo verificarsi se siano contemperate le opposte esigenze, cio' in attuazione di quel principio di solidarieta' cui devono essere informati i rapporti condominiali e che richiede un costante equilibrio tra le esigenze e gli interessi di tutti i partecipanti alla comunione: una volta accertato che l'uso del bene comune sia conforme a tali parametri deve escludersi che sia configurabile una innovazione vietata. E, nella specie, tale valutazione e' stata per l'appunto compiuta dal giudice di merito il quale ha in sostanza escluso il pregiudizio lamentato dalle condomine ricorrenti, avendo ritenuto che non era impedito il pari uso della cosa comune, tanto piu' che analoghi interventi erano stati gia' realizzati sulle finestre degli appartamenti siti al primo e al secondo piano e che l'opera da realizzarsi sarebbe stata eseguita nel rispetto delle distanze prescritte in materia di veduta, cosi' implicitamente ritenendo attuato quel diritto alla riservatezza che il legislatore ha inteso assicurare stabilendo dei parametri obiettivi nel rispetto dei quali si devono ritenere soddisfatte le esigenze del vicino, e cio' tanto piu' nell'ambito del condominio degli edifici ove, come si e' detto, occorre tenere conto del bilanciamento degli interessi in gioco. Ed ancora la peculiarita' del fabbricato condominiale rende del tutto evidente che non puo' trovare applicazione nell'ambito del condominio la disciplina dettata dal Decreto Ministeriale n. 1444 del 1968, articolo 9, in materia di distanze fra edifici.

Le spese della presente fase vanno poste in solido a carico dei ricorrenti, risultati soccombenti.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso.

Condanna i ricorrenti in solido al pagamento in favore dei resistenti delle spese relative alla presente fase che liquida in euro 2.700,00 di cui euro 200,00 per esborsi ed euro 2.500,00 per onorari di avvocato oltre spese generali ed accessori di legge.
 

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