L'amministratore di condominio è tenuto a provvedere alla opere di riparazione delle parti comuni dello stabile e risponde dei danni provaocati dalla propria condotta omissiva

L'amministratore del condominio è titolare di un obbligo di garanzia quanto alla conservazione delle parti comuni dell'edificio condominiale, giusta l'inequivoco disposto dell'articolo 1130, n. 4, del codice civile, onde, laddove non si attivi, può ravvisarsi la sua responsabilità ex articolo 40, comma 2°, del Cp, che stabilisce che «non impedire un evento che si ha l'obbligo giuridico di impedire equivale a cagionarlo»; con la precisazione che l'obbligo di attivarsi a carico dell'amministratore non deriva da alcuna specifica autorizzazione dei condomini, giacché l'articolo 1130, n. 4, del codice civile gli pone come dovere proprio del suo ufficio quello di compiere gli atti conservativi dei diritti inerenti alle parti comuni dell'edificio, prescindendo, anzi, dal fatto che si tratti di atti cautelativi e urgenti e prescindendo, altresì, dal fatto che la situazione di pericolo derivi da beni di terzi e non di pertinenza del condominio. (Nella specie, trattavasi di un pericolo di incendio riconducibile al difetto di installazione di una canna fumaria non appartenente al condominio, bensì a terzi).
(Corte di Cassazione Sezione 4 Penale, Sentenza del 13 ottobre 2009, n. 39959)



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REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE QUARTA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MOCALI Piero - Presidente

Dott. ZECCA Gaetanino - Consigliere

Dott. LICARI Carlo - Consigliere

Dott. ROMIS Vincenzo - rel. Consigliere

Dott. BLAIOTTA Rocco Marco - Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso proposto da:

1) GI. GA. N. IL (OMESSO);

avverso la sentenza n. 805/2004 CORTE APPELLO di MILANO, depositata il 22/05/2008;

visti gli atti, la sentenza e il ricorso;

udita in PUBBLICA UDIENZA del 23/09/2009 la relazione fatta dal Consigliere Dott. VINCENZO ROMIS;

Udito il Procuratore Generale in persona del Dott. Francesco Mauro Iacovilello, che ha concluso per l'accoglimento del ricorso;

Udito, per la parte civile, l'Avv. Martini Richard che ha concluso per il rigetto del ricorso;

Uditi per l'imputato l'Avv. FUMAGALLI EDOARDO, l'avv. Moscatelli Fausto, che hanno concluso per l'accoglimento del ricorso.

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Gi. Ga. veniva tratto a giudizio per rispondere del reato di cui agli articoli 113 e 449 c.p., secondo la seguente contestazione: perche' quale amministratore del condominio sito in (OMESSO) ai civici numeri (OMESSO), concorreva, con Ro. It. , Za. Ma. e Va. An. - il Ro. quale legale rappresentante della pizzeria (OMESSO), lo Za. quale incaricato dal Ro. del riposizionamento della canna fumaria della pizzeria, il Va. quale tecnico incaricato, a dire del Ro. , di verificare la corretta esecuzione del lavoro - a cagionare, per colpa, un vasto incendio, al tetto e sottotetto dello stabile del predetto condominio, che si propagava all'intero edificio; canna fumaria a proposito della quale, con relazione peritale a firma dell'ing. Lo. datata (OMESSO) indirizzata al Gi. , il detto perito aveva segnalato che non erano state seguite le indicazioni previste nel progetto originario illustrato nell'assemblea condominiale (in particolare, la canna fumaria risultava quasi completamente sprovvista di qualsiasi limitazione del calore prodotto, con conseguente possibilita' di incendi); colpa consistita in negligenza e violazione degli obblighi e dei doveri correlati all'ufficio ricoperto: sia avendo omesso, a seguito della suddetta segnalazione, di controllare e verificare la corretta esecuzione dei lavori risultati eseguiti in modo non idoneo attraverso l'utilizzo di un tubo flessibile non coibentato, posizionato peraltro in aderenza al sottotetto ed in violazione al Regolamento Locale di Igiene Tipo del Comune di Lecco, sia avendo omesso, per lungo tempo, di attivarsi per rimuovere la suddetta situazione di pericolo interessando le Autorita', gli organi competenti ed il gestore della pizzeria (OMESSO).

Il Tribunale di Lecco assolveva il Va. , e condannava Ro. , Za. e Gi. alle rispettive pene ritenute di giustizia, oltre al risarcimento dei danni in favore delle parti civili costituite.

Interponevano appello i tre imputati condannati; la Corte d'Appello di Milano concedeva al Gi. il beneficio della non menzione della condanna nel certificato del casellario giudiziale, confermando nel resto l'impugnata sentenza, disattendendo nel merito le tesi difensive prospettate dagli appellanti. Con riferimento alla posizione del Gi. , la Corte territoriale dava conto del proprio convincimento, circa la ritenuta colpevolezza dello stesso, con argomentazioni che possono cosi sintetizzarsi: a) la canna fumaria della pizzeria, di proprieta' esclusiva del gestore ( Ro. ) di tale esercizio e/o del proprietario ( Be. ) dei relativi locali, intercettava nel suo tragitto parti comuni dell'edificio di cui il Gi. era amministratore; b) rilevava la posizione di garanzia del Gi. il quale aveva non solo l'obbligo di eseguire le deliberazioni dell'assemblea dei condomini, ma altresi', ai sensi dell'articolo 1130 c.c., l'obbligo di compiere gli atti conservativi dei diritti inerenti alle parti comuni dell'edificio; c) a fronte di deliberazioni assembleari e relazioni tecniche che prospettavano il pericolo di incendio del solaio condominiale e della copertura dell'edificio, l'amministratore Gi. , anziche' attivarsi nei confronti del Ro. , gestore della pizzeria, adottando i provvedimenti necessari ed eventualmente agire in via di urgenza (ex articoli 1133 e 1131 c.c.) nei confronti del medesimo, a tutela delle parti comuni dell'edificio minacciate dal pericolo di incendio, era rimasto inerte per circa un anno; d) le diffide degli enti pubblici non esoneravano l'amministratore dal suo ruolo di garante: il Comune aveva esercitato un potere autoritativo collaterale o additivo riconducibile a fonte diversa: anzi, proprio quelle diffide avrebbero dovuto ancor piu' stimolare il Gi. ad assumere le opportune e necessarie iniziative; e) siffatta colpevole inerzia aveva avuto un ruolo casualmente incidente sulla produzione dell'evento, cooperando con la condotta non meno colposa del Ro. e dello Za. della quale il Gi. era ben consapevole in virtu' del suo ruolo e per quanto si era discusso da lungo tempo nelle assemblee di condominio.

Ha proposto ricorso per Cassazione il Gi. deducendo violazione dell'articolo 40 c.p., e vizio motivazionale in ordine all'affermazione di colpevolezza con censure che possono cosi' riassumersi: a) insussistenza per il Gi. di qualsiasi obbligo di intervenire per impedire l'evento posto che il cattivo posizionamento della canna fumaria doveva ritenersi riconducibile al proprietario della stessa, non costituendo una proprieta' condominiale; dopo le verifiche effettuate sulla canna fumaria dal tecnico di fiducia del condominio, ing. Lo. , l'assemblea condominiale aveva invitato formalmente il proprietario dei locali della pizzeria, Dott. Be. , a rimuovere la situazione di pericolo ritenendolo responsabile di eventuali danni, mentre alcun mandato era stato conferito al Gi. affinche' si attivasse nelle sedi competenti per la messa a norma dell'opera; il Dott. Be. aveva invitato sia il geom. Va. che il Ro. ad ottemperare a quanto ingiunto dal Comune di Lecco, circa l'opera "de qua", con diffida del (OMESSO); non essendo mutata la situazione, per la mancanza di qualsiasi intervento, ed a seguito di ulteriore sopralluogo e di una comunicazione della ASL, sollecitata dallo stesso Gl. , il Comune con diffida del (OMESSO) aveva assegnato al Dott. Be. ed al Ro. il termine di 15 giorni - poi prorogato di ulteriori 20 giorni - per adeguare la canna fumaria alla sua messa in sicurezza, con l'avvertimento che in caso di inerzia il Comune avrebbe proceduto secondo legge: in sostanza, il Gi. era solo un terzo come qualsiasi altro condomino, non gravato dell'obbligo di impedire l'evento; b) avrebbe errato la Corte di merito nell'attribuire una posizione di garanzia al Gi. che invece non la rivestiva, tenuto conto delle funzioni dell'amministratore condominiale e dei suoi poteri, tali da ricondurre l'obbligo dell'amministratore stesso alla sola protezione per le parti comuni o per gli impianti comuni dell'edificio, anche in base a principi enunciati dalla Suprema Corte in materia: la canna fumaria responsabile del sinistro non era condominiale, ed anche il fenomeno di surriscaldamento che aveva determinato l'incendio rientrava nell'ambito del privato, essendo risultato accertato che l'incendio era stato determinato dalla combustione di residui di fuliggine del condotto fumario del forno pertinente alla pizzeria gestita dal Ro. ; c) alcun mandato era stato conferito dal condominio al Gi. , tenuto conto del verbale dell'assemblea condominiale del (OMESSO) secondo cui, in caso di esito negativo della transazione tra il Dott. Be. ed il Ro. , il Gi. , previa nuova perizia ad opera dell'ing. Lo. , avrebbe dovuto informare gli organi competenti; d) peraltro qualsiasi ulteriore sollecitazione da parte del Gi. sarebbe stata del tutto superflua, posto che ASL e Comune erano al corrente della situazione, ed in particolare il Comune si era attivato specificamente con intimazioni nei confronti del Dott. Be. e del Ro. : il che avrebbe comunque comportato il venir meno di eventuali condotte omissive censurabili da parte dell'amministratore; ne' rileverebbe che la parte finale della canna fumaria attraversasse il sottotetto, posto che la canna stessa non cessava di essere di proprieta' del singolo "per essere i suoi percorsi contigui o interni rispetto a proprieta' comuni" (pag. 13 del ricorso): la stessa diffida del Comune di Lecco aveva avuto quale destinatario il solo Dott. Be. , ed ulteriori intimazioni erano state trasmesse al Gi. solo per conoscenza; e) quanto all'accusa mossa al Gi. , di aver omesso di compiere gli atti conservativi dei diritti inerenti le parti comuni dell'edificio, l'impostazione dei giudici di merito sarebbe errata poiche' quanto prescritto all'amministratore dall'assemblea condominiale del (OMESSO) era stato automaticamente attuato dalla attivazione del Sindaco e della ASL secondo la volonta' espressa dai condomini nella delibera stessa; f) le omissioni del dottor Be. e del Ro. non avrebbero determinato l'insorgenza di una responsabilita' concorsuale del Gi. , trattandosi di condotte autonome ed indipendenti, e l'intervento del Comune di Lecco avrebbe interrotto ogni rapporto di causalita'; g) nella vicenda "de qua" avrebbe dovuto essere implicato a pieno titolo il dottor Be. , quale proprietario dei locali affittati al Ro. nonche' della canna fumaria: di tal che, nel caso di riaffermata responsabilita' del Gi. , dovrebbe essere "concorsualmente ribadita, ovviamente senza alcuna conseguenza di carattere penale, ma unicamente in via di principio, la corresponsabilita' del Dott. Be. , se non altro ai fini meramente civilistici" (cosi' testualmente a pag. 16 del ricorso).

MOTIVI DELLA DECISIONE

Il ricorso e' meritevole di accoglimento nei termini di seguito precisati, risultando sussistente la denunciata violazione dell'articolo 40 c.p., sia pure sotto profili non direttamente evidenziati dal ricorrente, quale ha svolto considerazioni finalizzate prevalentemente a dimostrare l'asserita insussistenza di una posizione di garanzia per il Gi. .

Certamente e' condivisibile l'assunto dei giudici del merito secondo cui, in via di principio generale, l'amministratore di un condominio e' titolare di un obbligo di garanzia, quanto alla conservazione delle parti comuni dell'edificio condominiale: non puo' invero in altro modo interpretarsi il chiaro dettato dell'articolo 1130 c.c., comma 1, n. 4. D'altra parte in tal senso si e' gia' espressa questa Corte, sia in sede penale che in sede civile, enunciando i seguenti principi: "La responsabilita' penale dell'amministratore di condominio va considerata e risolta nell'ambito del capoverso dell'articolo 40 c.p., che stabilisce che non impedire un evento che si ha l'obbligo giuridico di impedire equivale a cagionarlo. Per rispondere del mancato impedimento di un evento e', cioe', necessaria, in forza di tale norma, l'esistenza di un obbligo giuridico di attivarsi allo scopo: detto obbligo puo' nascere da qualsiasi ramo del diritto, e quindi anche dal diritto privato, e specificamente da una convenzione che da tale diritto sia prevista e regolata com'e' nel rapporto di rappresentanza volontaria intercorrente fra il condominio e l'amministratore" (Terza Sezione Penale, n. 4676 del 14/03/1975 Ud. - dep. 14/04/1976 - Rv. 133249); "Sussiste la "legitimatio ad causam" e "ad processum" dell'amministratore del condominio, senza bisogno di alcuna autorizzazione, allorquando egli agisca a tutela di beni condominiali, giacche' i poteri gli vengono direttamente dalla legge e precisamente dall'articolo 1130 c.c., n. 4, che gli pone addirittura come dovere proprio del suo ufficio quello di compiere gli atti conservativi dei diritti inerenti alle parti comuni dell'edificio, potere-dovere da intendersi non limitato agli atti cautelativi ed urgenti ma esteso a tutti gli atti miranti a mantenere l'esistenza e la pienezza o integrita' di detti diritti nella specie l'amministratore del condominio aveva agito nei confronti di terzi che avevano allacciato gli scarichi dei loro immobili nella condotta fognaria dell'edificio condominiale" (Seconda Sezione Civile, n. 6494 del 06/11/1986, Rv. 448662).

Il Gi. era dunque titolare dell'obbligo di garanzia, in relazione alla conservazione delle parti comuni (tetto e sottotetto) dello stabile di via (OMESSO); ne' rileva, ovviamente, che, per quanto concerne il pericolo di incendio riconducibile al difetto di installazione della canna fumaria, questa non appartenesse al condominio, bensi' a terzi: ed invero, l'obbligo di intervento da parte di un amministratore di un condominio, a tutela delle parti comuni dell'edificio condominiale, prescinde dalla provenienza del pericolo.

Cio' posto, mette conto sottolineare che, avuto riguardo al capo di imputazione quale formulato a carico del Gi. , nei confronti di quest'ultimo sono stati ipotizzati profili di condotta colposa omissiva. Di tal che, bisogna verificare - in relazione alla denuncia di violazione dell'articolo 40 c.p., dedotta con il ricorso - se i giudici del merito, muovendo dal presupposto della titolarita' per il Gi. dell'obbligo di garanzia, hanno individuato la specifica condotta che il Gi. stesso avrebbe dovuto porre in essere in concreto, e se hanno poi accertato la sussistenza del nesso di causalita' tra la omissione e l'evento.

Come e' noto, il tema del nesso di causalita' in relazione al reato colposo per condotta omissiva, oltre ad essere stato oggetto di un vivace dibattito in dottrina, aveva anche determinato un contrasto nell'ambito della giurisprudenza di legittimita', che, non avendo trovato spontanea composizione, aveva reso necessario - sia pure con specifico riferimento alla materia della colpa professionale del medico - l'intervento delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione. Queste ultime si sono quindi pronunciate nel 2002 con la sentenza n. 27/2002 (ud. 10 luglio 2002, ric. Franzese) con la quale sono stati individuati i criteri da seguire perche' possa dirsi sussistente il nesso causale tra la condotta omissiva e l'evento, e sono stati enunciati taluni principi che, pur affermati, come detto, con specifico riferimento alla responsabilita' colposa (per condotta omissiva) del medico chirurgo, valgono evidentemente in generale per quel che riguarda la ricostruzione del nesso causale - quale elemento costitutivo del reato - in qualsiasi caso di reato colposo per condotta omissiva. I principi enucleabili dalla sentenza Franzese possono cosi' riassumersi: 1) il nesso causale puo' essere ravvisato quando, alla stregua del giudizio controfattuale condotto sulla base di una generalizzata regola di esperienza o di una legge scientifica - universale o statistica -si accerti che, ipotizzandosi come realizzata dal medico la condotta doverosa impeditiva dell'evento "hic et nunc", questo non si sarebbe verificato, ovvero si sarebbe verificato ma in epoca significativamente posteriore o con minore intensita' lesiva; 2) non e' consentito dedurre automaticamente dal coefficiente di probabilita' espresso dalla legge statistica la conferma, o meno, dell'ipotesi accusatoria sull'esistenza del nesso causale, poiche' il giudice deve verificarne la validita' nel caso concreto, sulla base delle circostanze del fatto e dell'evidenza disponibile, cosi' che, all'esito del ragionamento probatorio che abbia altresi' escluso l'interferenza di fattori alternativi, risulti giustificata e processualmente certa la conclusione che la condotta omissiva e' stata condizione necessaria dell'evento lesivo con "alto o elevato grado di credibilita' razionale" o "probabilita' logica"; 3) l'insufficienza, la contraddittorieta' e l'incertezza del riscontro probatorio sulla ricostruzione del nesso causale, quindi il ragionevole dubbio, in base all'evidenza disponibile, sulla reale efficacia condizionante della condotta omissiva rispetto ad altri fattori interagenti nella produzione dell'evento, comportano la neutralizzazione dell'ipotesi prospettata dall'accusa e l'esito assolutorio del giudizio; 4) alla Corte di Cassazione, quale giudice di legittimita', e' assegnato il compito di controllare retrospettivamente la razionalita' delle argomentazioni giustificative - la c.d. giustificazione esterna - della decisione, inerenti ai dati empirici assunti dal giudice di merito come elementi di prova, alle inferenze formulate in base ad essi ed ai criteri che sostengono le conclusioni: non la decisione, dunque, bensi' il contesto giustificativo di essa, come esplicitato dal giudice di merito nel ragionamento probatorio che fonda il giudizio di conferma dell'ipotesi sullo specifico fatto da provare. Puo' dunque affermarsi che le Sezioni Unite hanno ripudiato qualsiasi interpretazione che faccia leva, ai fini della individuazione del nesso causale quale elemento costitutivo del reato, esclusivamente o prevalentemente su dati statistici ovvero su criteri valutativi a struttura probabilistica, in tal modo mostrando di propendere, tra i due contrapposti indirizzi interpretativi delineatisi nella giurisprudenza di questa Suprema Corte, maggiormente verso quello piu' rigoroso (favorevole alla necessita' dell'accertamento del nesso causale in termini di certezza) delineatosi in tempi piu' recenti. L'articolato percorso motivazionale seguito nella sentenza Franzese, induce a ritenere che le Sezioni Unite, nel sottolineare la necessita' dell'individuazione del nesso di causalita' (quale "condicio sine qua non" di cui agli articoli 40 e 41 c.p.) in termini di "alto o elevato grado di credibilita' razionale" o "probabilita' logica", abbiano inteso riferirsi non alla certezza oggettiva (storica e scientifica), risultante da elementi probatori di per se' altrettanto inconfutabili sul piano della oggetti vita, bensi' alla "certezza processuale" che, in quanto tale, non puo' essere individuata se non con l'utilizzo degli strumenti di cui il giudice dispone per le sue valutazioni probatorie: "certezza" che deve essere pertanto raggiunta dal giudice valorizzando tutte le circostanze del caso concreto sottoposto al suo esame, secondo un procedimento logico - analogo a quello seguito allorquando si tratta di valutare la prova indiziaria, la cui disciplina e' dettata dall'articolo 192 c.p.p., comma 2, - che consenta di poter ricollegare un evento ad una condotta omissiva "al di la' di ogni ragionevole dubbio" (vale a dire, appunto, con "alto o elevato grado di credibilita' razionale" o "probabilita' logica"). Invero, non pare che possa diversamente intendersi il pensiero che le Sezioni Unite hanno voluto esprimere allorquando - con riferimento alla colpa professionale del sanitario - hanno testualmente affermato che deve risultare "giustificata e processualmente certa la conclusione che la condotta omissiva del medico e' stata condizione necessaria dell'evento lesivo con alto o elevato grado di credibilita' razionale o probabilita' logica".

In applicazione dei principi di diritti enunciati da questa Corte, quali appena ricordati, i giudici del merito, ai fini dell'affermazione di colpevolezza del Gi. in ordine al reato ascrittogli, avrebbero dovuto dunque procedere ad un duplice accertamento: 1 ) individuare la condotta in concreto esigibile dal Gi. in relazione alla posizione di garanzia dello stesso; 2) accertare se, una volta posta in essere dal Gi. la condotta cosi' individuata, e (secondo la contestazione) colposamente omessa, l'evento non si sarebbe verificato: e cio' al fine di poter giungere, sulla base del compendio probatorio disponibile - ed esclusa altresi' l'interferenza di fattori alternativi - alla conclusione che la condotta omissiva del Gi. era stata condizione necessaria dell'evento con "alto o elevato grado di credibilita' razionale"o "probabilita' logica" (c.d. giudizio controfattuale).

Cio' posto, non resta ora che verificare se, nel caso che ne occupa, l'"iter" argomentativo seguito dai giudici di seconda istanza - posto a fondamento del convincimento della responsabilita' del Gi. - sia in sintonia con i principi di cui sopra affermati dalle Sezioni Unite.

La risposta e' negativa.

In primo luogo, la Corte territoriale, avendo individuato nel verbale dell'assemblea condominiale del (OMESSO) un elemento probatorio idoneo a dimostrare la esistenza di una concreta ed attuale condizione di pericolo tale da rendere doveroso un intervento del Gi. riconducibile alla posizione di garanzia di quest'ultimo, avrebbe dovuto puntualmente indicare le circostanze di fatto, desumibili da detto verbale, rivelatrici di una situazione di allarme, avvertita come tale anche dai condomini, in presenza della quale il Gi. avrebbe dovuto attivarsi a tutela delle parti comuni dell'edificio esposte al pericolo derivante dalla difettosa posa in opera della canna fumaria: tenendo conto, al riguardo, del testo completo del verbale in argomento (richiamato dal ricorrente), e non della sola parziale formulazione evidenziata a pag. 13 dell'impugnata sentenza, nonche' valutando la stessa volonta' dell'assemblea condominiale quale desumibile da tale verbale. Sulla base degli elementi di valutazione cosi' raccolti, la Corte distrettuale avrebbe dovuto poi specificamente indicare quale sarebbe stata in concreto la specifica condotta esigibile dal Gi. : un'azione giudiziaria (e quale?), il diretto e piu' pregnante coinvolgimento di Autorita' locali (peraltro gia' a conoscenza della situazione, per come si rileva dagli atti), una diffida (ed in quali termini?) nei confronti del titolare della pizzeria e del proprietario dei locali della stessa, o altro ancora. In proposito, la Corte d'Appello ha ipotizzato due condotte asseritamente esigibili dal Gi. - una delle quali, peraltro, solo come eventuale - sottolineando (cfr. pag. 13 della sentenza) che il Gi. era rimasto inerte per circa un anno "anziche' attivarsi immediatamente presso Ro. prendendo i provvedimenti necessari (articolo 1133 c.c.) ed eventualmente agire in giudizio in via di urgenza (neppur necessitava di previa investitura assembleare: articolo 1131 c.p.)".

Ancor piu' evidente appare poi il vuoto motivazionale, nell'impugnata sentenza, in punto di accertamento del nesso causale, elemento costitutivo del reato.

Ed invero, una volta individuata la condotta (ritenuta) doverosa del Gi. , in base ai criteri di accertamento ed ai canoni interpretativi indicati dalle Sezioni Unite con la sentenza Franzese, i giudici del merito avrebbero poi dovuto procedere al giudizio controfattuale, e verificare quindi - indicando compiutamente le ragioni del convincimento espresso, onde consentire a questa Corte di poter effettuare il controllo di legittimita' sul contesto giustificativo della decisione - se sussistevano le condizioni per poter giungere alla conclusione, sulla base del compendio probatorio disponibile, ed esclusa altresi' l'interferenza di fattori alternativi, che la condotta omissiva del Gi. era stata condizione necessaria dell'evento con "alto o elevato grado di credibilita' razionale" o "probabilita' logica". In proposito, la Corte ha ritenuto di poter motivare la ritenuta sussistenza del nesso causale cosi' testualmente esprimendosi: "Tale colpevole inerzia ebbe dunque un ruolo casualmente incidente sulla produzione dell'evento dannoso, "cooperando" con la condotta non meno colposa di Ro. e Za. , di cui si e' detto, della quale Gi. era ben consapevole in virtu' del suo ruolo e per quanto s'era ormai da lungo tempo dibattuto nelle assemblee di condominio" (pag. 14 della sentenza). Non puo' certo dirsi che la Corte d'Appello abbia puntualmente seguito il rigoroso schema motivazionale richiesto dalle Sezioni Unite: appare di tutta evidenza, "ictu oculi", che, al riguardo, si tratta di una motivazione apparente, caratterizzata da formulazioni assertive.

Resta solo da aggiungere, per mera completezza argomentativa, che le doglianze del ricorrente relative al mancato coinvolgimento del dottor Be. nella vicenda "de qua", in alcun modo potrebbero rilevare in questa sede di legittimita', trattandosi di mera "quaestio facti".

Conclusivamente, l'impugnata sentenza deve essere annullata, con rinvio, per nuovo esame, ad altra Sezione della Corte d'Appello di Milano che si atterra' ai principi di diritto sopra enunciati, e provvedera' altresi' alla regolamentazione delle spese tra le parti.

P.Q.M.

Annulla la sentenza impugnata e rinvia per nuovo giudizio ad altra Sezione della Corte d'Appello di Milano cui rimette anche la regolazione delle spese tra le parti.


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